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Aborto e obiezione di coscienza. Un diritto al bando

Aborto e obiezione di coscienza. Un diritto al bando

La Regione Lazio indice un bando ad hoc per medici non obiettori. Un modello da seguire per garantire l'accesso all'Interruzione Volontaria di Gravidanza?

Martedi, 28/02/2017 - Si discute, e molto, in questi giorni dell’assunzione di due medici non obiettori presso il presidio ospedaliero San Camillo-Forlanini di Roma. La nomina è figlia di un bando che aveva come obiettivo quello di potenziare un servizio, quello dell’IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza), spesso in sofferenza per scarsità di personale non obiettore di coscienza e per il grande numero di richieste a cui il nosocomio è costretto a rispondere anche per arrivi di donne da altre aree geografiche. Il concorso, fortemente voluto dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e dalla dirigenza del San Camillo, prevede la stabilizzazione, con un contratto a tempo indeterminato, di due figure professionali destinate all’applicazione della legge 194/78 e all’IVG, e i due dirigenti medici, come si legge nell’articolo 12 del bando, “verranno assegnati al settore del Day Hospital e Day Surgery per l’applicazione della legge 194”. Il direttore generale del San Camillo-Forlanini, Fabrizio d’Alba, ha parlato di un riequilibrio nell’applicazione della 194, “oggi depotenziata dal ricorso all’obiezione”, e ha spiegato che “se chi ha vinto il concorso farà obiezione nei primi sei mesi dopo l’assunzione, potrebbe rischiare il licenziamento, perché sarebbe inadempiente rispetto al compito specifico per cui è stato chiamato”.

Immediata la reazione della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), che parla di snaturamento del l’impianto “della legge 194 che non aveva l’obiettivo di indurre all’aborto ma prevenirlo” e dell’Ordine dei medici che ha chiesto la revoca di un atto considerato “iniquo” in quanto discriminatorio ai danni di chi esercita il diritto, sancito dalla legge, all’obiezione di coscienza. La ministra della Salute Beatrice Lorenzin è intervenuta a fianco dei detrattori bocciando l’iniziativa: “È evidente che abbiamo una legge che non prevede questo tipo di selezione. Prevede invece la possibilità, qualora una struttura abbia problemi di fabbisogno, per quanto riguarda singoli specifici servizi, di poter chiedere alla Regione di attingere anche in mobilità da altro personale”.

Ma il bando, come hanno sottolineato i promotori, “non esclude gli obiettori. Semplicemente esplicita chiaramente la funzione che si deve svolgere quando si è assunti e che ovviamente sarà parte del contratto. L’obiezione di coscienza è garantita al 100%. Chi legittimamente è obiettore non ha partecipato a questo bando e potrà portare le sue professionalità in altri campi”, ha concluso Zingaretti.

Del resto il nostro paese, meno di un anno fa, e precisamente l’11 aprile del 2016, aveva ricevuto un richiamo dal Comitato europeo dei diritti sociali, che aveva accolto il ricorso n. 91/2013 della CGIL che lamentava come la disciplina dell’obiezione di coscienza dei medici in relazione all’aborto non fosse applicata adeguatamente nella pratica. Il Comitato europeo dei diritti sociali aveva riscontrato due ordini di violazioni: da una parte quella del diritto delle donne ad accedere ai servizi abortivi, e dall’altra quella del diritto al lavoro e del diritto alla dignità nel lavoro dei medici non obiettori. Le osservazioni del Comitato riguardavano carenze nell’offerta di servizi di IVG in Italia a causa dell’obiezione di coscienza e difficoltà pratiche di accesso a tali servizi. Si rilevava inoltre la mancanza di adozione da parte delle strutture sanitarie di misure necessarie per compensare tali carenze e una insufficiente vigilanza da parte delle autorità competenti. Le conclusioni del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa denunciavano in sostanza che in Italia “le donne che cercano accesso ai servizi di aborto continuano ad avere di fronte una sostanziale difficoltà nell'ottenere l'accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto dalla legge" e che “in alcuni casi, considerata l'urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture (rispetto a quelle pubbliche), in Italia o all'estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie, oppure possono essere dissuase dall'accedere ai servizi di aborto a cui hanno invece diritto in base alla legge 194/78".

Secondo gli organi di vigilanza europei quindi, in Italia interrompere una gravidanza è difficile.

Il Ministero della Salute, e la Ministra Beatrice Lorenzin, invece non la pensano così e si barricano dietro i dati della Relazione contenente i dati definitivi relativi agli anni 2014 e 2015 sull’attuazione della L.194/78; l’ultima è stata trasmessa al Parlamento il 7 dicembre 2016. Si tratta di dati raccolti dal Sistema di Sorveglianza Epidemiologica delle IVG, che svolge un monitoraggio a partire dai modelli D12 dell’Istat che devono essere compilati per ciascuna IVG nella struttura in cui è stato effettuato l’intervento. Dai dati emerge che nel 2015, in Italia, il numero di IVG è inferiore a 90.000, con una diminuzione del 9,3% rispetto al dato del 2014. Riguardo l’esercizio dell’obiezione di coscienza e l’accesso ai servizi IVG, la Relazione riporta che su base regionale e, per quanto riguarda i carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore, anche su base sub-regionale, non emergono criticità nei servizi di IVG. In particolare, emerge che le IVG vengono effettuate nel 59.6% delle strutture disponibili, con una copertura adeguata, tranne che in Campania, Molise e P.A. Bolzano. Questi numeri tranquillizzano la ministra Lorenzin e, a suo parere, garantiscono l'applicazione della legge 194 sull’IVG.

Ma se si leggono i dati riportati nelle tabelle della stessa Relazione non si può non preoccuparsi: per quanto riguarda i medici obiettori “si è passati dal 58.7% del 2005, al 69.2% del 2006, al 70.5% del 2007, al 71.5% del 2008, al 70.7% nel 2009, al 69.3% nel 2010 e 2011, al 69.6% nel 2012, al 70.0% nel 2013 e al 70.7% nel 2014. Tra gli anestesisti la situazione è più stabile con una variazione da 45.7% nel 2005 a 50.8% nel 2010, 47.5% nel 2011 e 2012, 49.3% nel 2013 e 48.4% nel 2014. Per il personale non medico si è osservata nel 2014 una leggera diminuzione (45.8% nel 2014 rispetto a 46.5% del 2013) dopo l’incremento osservato dal 2005 (38.6%)”.

E se questo è il dato nazionale, che già dovrebbe far pensare, non si può tacere che esistono regioni del nostro paese dove si registrano percentuali di medici obiettori superiori all’80%: Lazio (85,6%), Basilicata (84,1%), Campania (83,9%), Sicilia (83,5%) e Molise (82,8%). La Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione della legge 194) va denunciando una realtà molto complicata ormai da tempo, con le donne costrette a spostarsi, in alcuni casi addirittura all’estero, per ottenere quanto dovuto. La presidente Silvana Agatone segnala che “per le interruzioni nei primi tre mesi solo il 64% degli ospedali italiani è disponibile, mentre la legge prevederebbe che fossero il 100%. Per quelle superati i 90 giorni, che si fanno in presenza di gravi patologie del feto o rischi per la mamma, le strutture disponibili sono molte meno”.

Laiga dice anche che i dati forniti dal Ministero sono falsati, in particolare quelli che si riferiscono ai pochi aborti a settimana per i medici non obiettori: “Ci sono centri che fanno 70 interruzioni a settimana, e altri che mettono a disposizione al massimo due posti letto; è ovvio che risulta che i medici hanno fatto pochi aborti, ma quello che non si vede è che probabilmente le donne sono state costrette ad andare da un’altra parte”. E ancora un dato sui non obiettori nel Lazio: su 16 strutture che forniscono un servizio di IVG i medici non obiettori effettuano in media 4 IVG a testa a settimana, contro una media nazionale dell’1,6. Per non parlare dell’aborto farmacologico, indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come metodo da preferire nelle prime 9 settimane, e costantemente sabotato nella maggioranza delle strutture laziali.

Se la trovata della Regione Lazio e del San Camillo avranno fortuna ce lo dirà solo il tempo. Per adesso si registra una mozione della senatrice Laura Puppato sottoscritta da Stefano Esposito, Laura Cantini, Valeria Fedeli, Patrizia Manassero, Lucrezia Ricchiuti, Maria Spilabotte, Francesca Puglisi, Camilla Fabbri, Donatella Mattesini, Nicoletta Favero, Stefania Pezzopane, Sergio Lo Giudice, Miguel Gotor, Isabella De Monte, Nerina Dirindin, Donatella Albano, Monica Cirinnà, Giorgio Pagliari, Felice Casson, Mario Morgoni, Elena Ferrara e Magda Zanoni, Loredana De Petris, Paola De Pin, Adele Gambaro e Cristina De Pietro e da Lucio Barani che chiede all’Esecutivo un impegno tempestivo per far funzionare i consultori, investire sulla prevenzione e soprattutto “contemperare il diritto all’obiezione di coscienza dei medici con quello delle donne all’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza”.

Non sappiamo se, come spesso avviene nel nostro paese, un conflitto a colpi di carte bollate annullerà il bando, il concorso e l’assunzione. Sappiamo per esperienza che si è capaci di far passare sui corpi delle donne qualsiasi cosa e, in un inciso, non possiamo non citare la terribile vicenda che sta affrontando una giovane donna uruguayana a cui una giudice ha imposto di proseguire la gravidanza, malgrado la sua volontà di abortire, in seguito a un ricorso dell’uomo con cui aveva una relazione.

Quello che è certo è che quest’intervento, e la serena fermezza con il quale lo si sta difendendo, hanno il merito di aver aperto uno spazio per una discussione tra due diritti: quello della donna all’interruzione di gravidanza e quello dei medici all’obiezione. Diritto che l’ordinamento giuridico italiano ha già ordinato stabilendo una priorità a favore della donna, della sua salute fisica e psichica, e della sua autodeterminazione come persona compiuta. Zingaretti e d’Alba si sono presi la responsabilità di aver rimesso al centro della discussione il diritto delle donne come diritto prioritario. Adesso lo stato deve cogliere questa opportunità e pronunciarsi. Quello della Regione Lazio e del San Camillo è un modello che, se seguito, può aprire altri fronti simili in giro nel paese. Ci auguriamo che altri seguano l’esempio.

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