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“Fiabe Moderne”: non temiamo le streghe ma il principe azzurro!

“Fiabe Moderne”: non temiamo le streghe ma il principe azzurro!

Marianna Galati, giovane artista laziale femminista, commenta il tragico epilogo di certe “Fiabe Moderne” e le Cenerentole dei nostri giorni

Martedi, 06/01/2015 -
Al termine dell'expo della camera-studio, presso il Manzù di Ardea, abbiamo l'occasione di presentare e raccontare il lato più femminista di Marianna Galati, artista laziale che, come già ricordato, difende con veemenza tutte le donne. Tra queste, volge un'attenzione particolare a quelle infelici principesse di “Fiabe Moderne”, quelle donne, cioè, che non temono streghe, fattucchiere o befane, ma finiscono per avere paura proprio dell'amato principe azzurro.



“Fiabe Moderne” è il titolo di una delle sue opere più significative in senso femminista: come ha avuto l'idea di una morente Cenerentola dalle scarpette rosse? Cosa l'ha spinta a creare questa opera?

E' stato inevitabile pensare alla fiaba di Cenerentola quando il Mad (Museo d'Arte Diffusa) mi ha invitato a partecipare al flash-mob “Scarpe rosse”. L'evento era chiaramente collegato al progetto di arte pubblica itinerante, un movimento nato nel 2009 a Ciudad Juárez in Messico (“Zapatos rojos”) grazie all'impegno di Elina Chauvet. "Scarpe rosse" è stato così forte e comunicativo che ha immediatamente invaso anche le piazze d’Italia. Pensare alla fiaba di Cenerentola è stato inevitabile, come dicevo, perché la scarpa più famosa è indubbiamente quella di Cenerentola; e poi, perché le scarpe sono proprio “il simbolo” della donna e, in particolare, nella fiaba, della donna che ama e sogna il principe azzurro.



E' forse interessante dire di più sul simbolo delle scarpe e, ancora, sul simbolo della scarpetta di Cenerentola, che poi è una scarpetta persa in una fuga. Del resto, la fuga di "Cenerella" è ben diversa da tante altre fughe che servono a mettere in salvo le vite di donne minacciate e perseguitate.

E' vero, per la Chauvet, infatti, la scarpa è la memoria di un’assenza, la sua installazione di scarpe (33 paia inizialmente ed il loro numero è cresciuto ad ogni piazza) era tutta costituita di scarpe raccolte tra amiche e conoscenti attraverso il passaparola. Questa raccolta, questa collezione rappresenta proprio le donne vittime di violenza in tutto il mondo: è impressionante il numero delle donne che perdono la vita al confine tra il Messico e gli Stati Uniti - a Ciudad Juárez i femminicidi sono talmente tanti che la città viene spesso chiamata "la città che uccide le donne”. La scarpetta di cristallo della fiaba si tinge di rosso quando scende nelle piazze, il rosso è il colore del sangue che ogni giorno le donne versano per mano di uomini bestiali talvolta sconosciuti, ma non solo. Spesso si tratta proprio di violenze commesse dai mariti, dai "compagni", da quegli uomini a cui queste donne avevano e hanno dato tutto. Uomini che queste donne e ragazze reputavano e credevano dei veri “principi azzurri”. Da qui nasce la mia illustrazione, esposta durante una delle tappe di questa installazione collettiva organizzata dalla Cgil di Latina, che sta a rappresentare l’epilogo di una moderna fiaba “d’amore”. Per tante, troppe (anche una sola è già troppa!) Cenerentole dei nostri giorni la favola non è a lieto fine e quindi vediamo la protagonista riversa a terra, la sagoma contornata dal segno di un gesso ad indicare che ci troviamo sulla scena di un crimine.



Dà moltissima amarezza notare come la "Fiaba Moderna" dell'amore principesco e "cortese" vada proprio a rovescio rispetto alla storia di Cenerentola. Si passa dall'abito bianco, dal ballo a corte ai piatti sporchi, agli stracci per terra, alla deprivazione... e troppo spesso alla violenza. Ma forse l'arte può, un po', riportare in vita, tenere vive nella memoria tutte le donne che non siamo riuscite a salvare.

Esattamente, infatti la partecipazione al flash-mob di Latina era stata molto coinvolgente. Penso che le foto di Paola Acciarino, preziosa testimonianza dell'evento, possono tuttora certificarlo. Mi permetto allora di omaggiarla, citando e riportando più precisamente le parole stesse della fotografa, mia amica: «l’empatia, il dolore, le mani, i nastri, le candele... tutte quelle scarpe rosse disseminate sull’asfalto - identiche alle migliaia che ordinatamente invadevano altre piazze in altri posti del mondo - facevano capire bene tutte le "assenze", tutte quelle vite strappate via. La gente si stringeva in cerchio, accendeva le candele, faceva silenzio, mentre una voce leggeva il racconto assurdo dei delitti, l’elenco dei nomi di quelle donne... Credo che insieme a noi, quella sera ci fossero anche loro».

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