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“Sola al mio matrimonio”: una giovane Rom e il suo popolo  in cerca di riscatto

“Sola al mio matrimonio”: una giovane Rom e il suo popolo in cerca di riscatto

In arrivo il film di Marta Bergman, storia di una ragazza madre che cerca di cambiare il suo destino

Mercoledi, 12/02/2020 - Presentato nella sezione ACID del Festival di Cannes, il film “Sola al mio matrimonio” (trailer), diretto dalla documentarista e regista rumena Marta Bergman, racconta le vicissitudini esistenziali di Pamela, una giovane Rom che vive in un campo ‘stanziale’ con la figlia piccola e la madre, artista e cantante nota a tutta la comunità Rom. Il desiderio di libertà, di esplorazione del mondo e di una vita migliore, data la povertà di risorse e di possibilità nel villaggio dove vive, inducono la donna a iscriversi ad un’agenzia matrimoniale, in cerca del principe azzurro o, comunque, di una via di fuga dalla miseria, dalla fame e dall’emarginazione. Per muoversi verso la città, Pamela affida la bambina ad un giovane rom Marien, da sempre innamorato di lei. Decisa a rompere con le tradizioni che la soffocano, Pamela intraprende un viaggio verso l’ignoto, prende un volo diretta in Belgio decisa a cambiare il suo destino ma le cose non andranno esattamente come sperato e Pamela sarà costretta a scegliere fra la sua identità, sua figlia e la vita immaginata, attraverso fasi di dolore, speranza e orgoglio per la propria appartenenza. Nel ruolo di Pamela, la brava attrice Alina Serman, attivista e autrice impegnata per la causa del popolo Rom. La regista Marta Bergman, che viene dal mondo del documentario ed ha un approccio di forte prossimità con i suoi attori nell’uso della videocamera - che si sofferma sui protagonisti per coglierne le emozioni e la loro più intima verità – ha scelto di inserire nel film molti attori non professionisti, ‘reclutati’ sul campo: il suo intento infatti era quello di raccontare una realtà sociale non solo con un approccio documentaristico, ma attraverso un racconto fatto di tante fra le storie raccolte, romanzandole, come si vede nelle parole della stessa regista. Il film, che uscirà nelle sale italiane il 5 marzo distribuito da Cineclub Internazionale Distribuzione, ha ottenuto la Menzione Speciale della Giuria e il premio alla protagonista Alina Serban come miglior attrice al Festival RIFF.

Da dove nasce l’ispirazione del film?
 ‘Sola al mio matrimonio’ è in continuità con i film documentari che ho realizzato in Romania e con alcuni personaggi che avevo raccontato e mi avevano colpito molto. Alla fine di “Clejani stories...”, girato nel villaggio di Taraf des Haidouks (gruppo musicale), una ragazza gitana prepara la valigia sotto lo sguardo indifferente dei genitori per andare in Germania a “far bere gli uomini nei bar”. La stessa sera, due altre giovani ragazze vanno a cercarla, a bordo di una macchina scura che parte nella notte...

Che storia volevi raccontare?
Volevo realizzare un film che mantenesse una filosofia documentaristica, perché quando filmo mi piace stare accanto alle persone. Volevo anche raccontare una storia di emancipazione dei personaggi principali, Pamela, Bruno e Marian. Pamela è discriminata due volte, una perché è donna, la seconda perché ha una figlia: anche nelle comunità Rom le ragazze madri sono mal viste ed in più non è scolarizzata. In Romania ci sono tante donne così nei campi e volevo raccontare la storia di un’eroina che volesse sfuggire a un destino prefissato e andare via.


Come hai costruito il personaggio di Pamela?
Questa immagine finale mi ha dato il desiderio di scrivere la storia di una giovane donna che sogna di partire e cambiare il suo destino. Volevo che la mia storia prendesse la sua forza e la sua verità dal reale ma non volevo fare un film appiattito sulla realtà dei fatti. Inoltre volevo rendere omaggio a una comunità complessa, indecifrabile, ricca di persone piene di talento e umorismo. Da tutte queste cose è nato il personaggio di Pamela. Le ricerche I sopralluoghi mi hanno portato in diversi villaggi, in Transilvania e nei dintorni di Bucarest. Lì ho incontrato delle ragazze e dei ragazzi tra i 16 e i 20 anni. Ho domandato alle ragazze quali fossero i loro sogni e desideri più grandi e la maggior parte mi hanno risposto: studiare. Questo perché a 16 anni spesso le ragazze devono smettere di andare a scuola per rimanere a casa a occuparsi dei fratellini o nelle comunità rom più tradizionali, per sposarsi a 14 anni. L'altro desiderio ricorrente è partire alla scoperta del mondo! E poi non sposare un uomo che venga dalle loro parti. Questi incontri preziosi sono stati decisivi per delineare la traiettoria di Pamela. 

Pamela può essere considerato un personaggio universale?
Pamela sogna, si proietta in qualcosa di più grande, in un altrove. È ciò che la distingue dalle altre ragazze del villaggio. Tracciando il suo percorso, scopre l'amore che nutre per sua figlia e trova in sé stessa le risorse per allevarla da sola. Volevo un personaggio che lo spettatore amasse per la sua audacia, la sua gioia di vivere e il suo desiderio di imparare. Inoltre ho voluto che il film trovasse la sua coerenza nel legame forte, che prosegue nonostante l'assenza, tra madre e figlia. Così come sua madre, Bébé fa parte di una tradizione di personaggi femminili che in diverse generazioni, fanno sentire con forza le loro voci. Il loro destino è alla base della storia che racconto. Una storia attuale La storia del film si inscrive nel contesto contemporaneo. L'Occidente e i suoi miraggi di una vita da sogno; nel villaggio di Pamela in ogni casupola c'è un'antenna parabolica aperta sul mondo. Le informazioni televisive che testimoniano della crisi economica del mondo occidentale e delle espulsioni dei migranti non cambiano la loro percezione. Non volevo però fare un film pietista e che bloccasse i personaggi in stereotipi. 

Come hai lavorato con gli attori?
Abbiamo lavorato con gli attori per evitare che cadessero nella trappola del cliché. Appena Alina Șerban è entrata nella stanza per fare il provino, non avevo dubbi che sarebbe stata Pamela. Indipendente, istintiva, esuberante, generosa, ha reso il personaggio pieno di sfumature e complessità. Lo stesso sentimento mi ha spinto a voler lavorare con Tom Vermeir, un attore molto interessante, che ha dato molto al personaggio di Bruno. 

Nel film emerge con forza la cultura Rom …
Per me era molto importante rendere omaggio alla cultura Rom, una vera ricchezza dell'Europa. Abbiamo lavorato molto in questo senso, a livello della messa in scena, delle lingue parlate nel film (romeno, francese, romanì), dell'immagine (Jonathan Ricquebourg), del montaggio (Frédéric Fichefet) e della musica.

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