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art a part of cult(ure), straordinario caso di imprenditoria al femminile

art a part of cult(ure), straordinario caso di imprenditoria al femminile

Lunedì 12 dicembre - ore 17.00 - Isabella Moroni, direttora di art a part of culture interviene al convegno L’Unità delle donne. Centocinquanta anni di lavoro femminile in Italia

Lunedi, 12/12/2011 -
In questi giorni di dicembre ecco gli ultimi appuntamenti legati alle celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Lunedì 12 dicembre, il MiBAC, ospita il convegno “L’Unità delle donne, Centocinquanta anni di lavoro femminile in Italia”, e contestualmente la mostra “Lavoro di donna. Tra necessità e virtù, chiaroscuri del lavoro femminile”, che raccoglie le immagini delle Biblioteca di Archeologia e storia dell’arte presentate da Ida Barberio. A fianco della mostra, si terrà l’incontro dal titolo “L’imprenditoria e la cultura al femminile”, al quale è stata invitata anche Isabella Moroni, direttrice responsabile di “Art apart of cult(ure)”, rivista di arte e cultura contemporanea in rete edita da un'associazione no profit. Un'impresa "sociale" che si pone, dunque, all'interno di un mercato diverso da quello imprenditoriale classico. Isabella giornalista, critica teatrale e letteraria, collabora dal 1976 con numerose riviste, e si è concessa con entusiamo alle domande di noidonne sul suo lavoro e su cosa significa “imprenditoria femminile”.



1. Che significa essere "imprenditrici donne"? Quanti sono gli ostacoli che una donna, rispetto a un uomo, incontra quando sceglie di fare un percorso di lavoro autonomo?



Vorrei fare una premessa, e riguarda la considerazione in cui la cultura è tenuta in Italia, ancora oggi sinonimo di superfluo, raramente considerata un'attività imprenditoriale. Sulla cultura aleggia sempre quest'aura di gioco, di divertimento e di gratuità. Mi sento spessissimo ripetere: "beata te che fai un lavoro divertente". Ma in realtà, pur se gli argomenti sono appassionanti e piacevoli, quello culturale, come tutti i lavori, è molto faticoso, perennemente ostacolato dalle burocrazie, che necessita di attenzione e continuo aggiornamento. Un sfida bellissima, insomma. Per venire alla tua domanda ho la sensazione che sempre più frequentemente essere donna nel mondo del lavoro sia una cosa difficile. E non solo per i vari gender-gap statistici evidenziati dal Rapporto del Word Economic Forum (che colloca l'Italia al 74° posto), ma soprattutto per l'abitudine, nata e acquisita in questi ultimi 20 anni di abbassare quotidianamente il livello di considerazione delle donne mediante la creazione di modelli estetici e comportamentali che non tengono in alcun conto le loro competenze. Insomma a me pare che le donne vengano sempre più spesso "tollerate" nel mondo del lavoro e non solo; si tollera la loro presenza attiva, l'intelligenza, la capacità creativa o la loro attitudine a dirigere, soltanto se in cambio si fanno incasellare nelle solite categorie trite e ritrite (la vecchia megera, la madre, la puttana, etc.) o in quelle create ultimamente e forse ancor peggiori, come la "raunch": tacchi a spillo, lingerie e tre lauree. E pensare che basterebbe essere quello che realmente siamo invece di interpretare quello che qualcun altro pensa che dovremmo essere. Quando si sceglie di fare un percorso di lavoro autonomo la situazione delle differenze cambia un po' perchè si spostano i piani e ci si confronta sulla capacità di muovere consensi, di acquisire clienti e dunque economie. A quel punto il genere passa in secondo piano rispetto alla capacità di fare numeri. Ed ormai questo accade anche nel no-profit visto che, nella difficile situazione dell'economia occidentale, il "terzo settore" guadagna quotidianamente credibilità e spazi di azione. Gli ostacoli, comunque, sono sempre molti: si parte dalle ataviche difficoltà di accedere al credito ed ai finanziamenti, oltretutto sempre più esigui, alla complessità degli adempimenti burocratici; dalla impossibilità di entrare in contatto con governo e istituzioni, alla carenza di servizi che permettano di gestire lavoro e famiglia, fino alla discriminazione culturale di cui abbiamo poco prima accennato.



2. In cosa, sempre che sia così, si differenzia un'imprenditrice donna da un imprenditore maschio?



La differenza più evidente, a mio avviso, sta nella tenacia e nel credere profondamente nel proprio progetto. I manager maschi, a me sembra siano guidati in gran parte dal senso del profitto. Se quello viene meno, non ha più senso che l'impresa resti quella che era. Si licenzia, si cambia .Le donne, invece, sembrano essere più legate alla loro creazione, alle risorse umane che hanno scelto, al progetto di vita e non solo economico che hanno ideato. Anche qui, non tutte, ma visto che in Italia le imprese femminili sono soprattutto medie e piccole, direi che lo si può dire per la maggioranza di queste. E poi c'è la grande capacità di ideare soluzioni alternative, di saper organizzare in maniera fluida, di saper ascoltare e, nella maggior parte dei casi, anche quella di saper condividere, fare rete.



3. Quali sono le caratteristiche peculiari del tuo progetto "art part of cult(ure)"? Come, attraverso questo mezzo, proponi un modo di comunicare la cultura in maniera differente? Tieni conto della "questione di genere"?



La caratteristica fondamentale di art a part of cult(ure) è la sua indipendenza che, purtroppo, rappresenta anche il suo problema economico. Poi viene l'utilizzo globale del web sia per motivi di impegno sia come tributo ambientale. Art a part of culture è stato infatti uno dei primi esperimenti di giornalismo di approfondimento culturale all’interno della rete, la sua struttura che non impone limiti di spazio a chi scrive, offre al lettore la possibilità di usufruirne a più riprese, come si fa con quelle belle riviste piene di immagini e significati che trattiamo con cura e che torniamo a consultare. Infine il desiderio di fare rete. Con i collaboratori, con i lettori, con i soci, in generale con tutti coloro che animano il dibattito culturale che promuoviamo ogni giorno. Cerchiamo di comunicare arte e cultura con gli approfondimenti, le recensioni, i punti di vista critici, tutte modalità sempre meno utilizzate nel giornalismo contemporaneo e che pure sono necessarie -come lo sono tutti i confronti- allo sviluppo della cultura stessa. Coinvolgiamo i collaboratori (la maggior parte dei quali sono donne) nella sfida a proporre visioni non troppo mainstream o “di moda”, privilegiamo le proposte innovative, la ricerca, i nuovi linguaggi, e tutte le forme di produzione artistica indipendente e il più delle volte “invisibile”. Questo è anche il senso del sottotitolo della rivista, "remove background noise", ovvero: niente comunicazione a tutti i costi, nessuna pubblicità invasiva e poco rumore. Dal punto di vista organizzativo è vincente la fiducia completa e la capacità di delegare l'un l'altra che siamo riuscite a realizzare noi tre amministratrici della rivista (Barbara Martusciello, caporedattore, Giampaola Marongiu, responsabile web e immagine ed io che ne sono Direttore) tutte e tre co-fondatrici del progetto. La stessa fiducia la riponiamo nei collaboratori ai quali offriamo una grande libertà di scrittura. Così riusciamo ad essere rapide, fluide, capaci di trasformarci senza snaturarci, di aggirare gli ostacoli e di reinventarci ogni volta che la rete lo richiede. E devo dire che sono molto orgogliosa di questa forte cooperazione. Nonostante la preponderanza femminile, non abbiamo mai privilegiato le questioni di genere. In parte perchè la cultura è uno dei pochi spazi dove gli apporti maschili e femminili si equivalgono (anche se è uno stato raggiunto recentemente e grazie a grandi donne), ma soprattutto perchè già pensando al femminile creiamo un punto di vista di genere e non possiamo fingere che questa nostra identità non sia di supporto e di sostegno alla realizzazione di una realtà che è ancora lontana, ma che non smetteremo mai di costruire: la realtà in cui ci sia dato di avere le stesse possibilità, gli stessi diritti e gli stessi riconoscimenti. Autonomia ed autodeterminazione sono le parole che mi accompagnano da sempre e sulle quali ho impostato il mio lavoro ed il mio rapporto con gli altri. E sulla condivisione delle conoscenze che rappresenta la chiave per rivoltare ogni deriva. Con la certezza che, per qualunque impresa, puntare sul valore, sull'identità, sulla storia e sulle attitudini delle donne contribuisca a rendere ogni progetto un luogo riconoscibile ed accogliente per tutti.



Di tutto questo e di molto altro Isabella Moroni parlerà al Convegno L’Unità delle donne. Centocinquanta anni di lavoro femminile in Italia, alle 17.00, presso la Sala della Crociera del MiBAC, in Via del Collegio Romano n. 27 a Roma. Un’occasione da non perdere per conoscere meglio una protagonista intelligente e appassionata dell’imprenditoria femminile italiana.

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