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‘Rumba’: lo spettacolo di Ascanio Celestini al Teatro Vittoria diverte e smaschera i pregiudizi

‘Rumba’: lo spettacolo di Ascanio Celestini al Teatro Vittoria diverte e smaschera i pregiudizi

Questa volta è Francesco, il poverello d'Assisi, al centro delle storie raccontate dal narratore romano, ma insieme a lui i tanti personaggi di una umanità disgraziata e quotidiana, che non riesce ad affrancarsi dalla miseria morale

Martedi, 16/04/2024 - “Quante stelle ci stanno in cielo? tante che non si possono contare”: Ascanio Celestini inizia e conclude così l’ultimo spettacolo da lui scritto e interpretato, ‘Rumba – L’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato’, andato in scena con grande successo di pubblico (come sempre quando si tratta del cantastorie più amato della Capitale) al Teatro Vittoria di Roma dal 7 al 14 aprile.

Terzo atto della trilogia composta da ‘Laika’ (2015) e ‘Pueblo’ (2017), ‘Rumba’ ha come filo rosso la storia di San Francesco D’Assisi, “un uomo contro corrente che, pur essendo ricco, scelse non solo di essere povero, ma di farsi servo dei poveri, un cavaliere che non volle più fare la guerra e che, da frate, in tempo di crociate, si recò in Terra Santa predicando la pace e la fratellanza”, del suo rifiuto della ricchezza, del contagio alla aristocratica Chiara, che diventerà Santa pure lei, ed alle sue sorelle. A Francesco si deve l’invenzione del Presepe, che il santo allestì per la prima volta a Greccio: perché ‘serviva mostrare che Gesù era nato povero, in un paese povero, in un posto di poveri”.

Soprattutto Celestini riflette, con la sua modalità narrativa tra poesia e prosa, ironia e serietà, con gli intercalari romani che tanto lo rendono simpatico al pubblico, sul paradosso di chi era tanto ricco ed ha scelto di lasciare tutto, mentre i poveri, che non avevano e non hanno niente, non possono scegliere se non di rimanere come sono.

Ma, trattandosi di uno spettacolo di Celestini, è qualcosa di più e di diverso che il racconto di come nacque l’ordine dei francescani e di come visse e morì Francesco, e segue il tipico andamento iterativo del teatrante di Morena, l’estrema periferia romana cui Ascanio è fiero di appartenere e che ritorna nella sua visione di artista, nella descrizione delle ingiustizie e della assurdità della quale si è quotidianamente circondati. Sempre, rigorosamente, dalla parte dei poveri e degli sconfitti.

È un costante riandare alle umili origini familiari, alle quali Celestini attinge per tratteggiare il quadro frammentato delle contraddizioni e dei contrasti in cui si dibatte una umanità contemporanea, animata al suo grado più basso solo dagli impulsi consumistici che portano le masse a pascolare nei centri commerciali tirati a lucido e a curiosare tra gli oggetti da pochi euro dei negozietti cinesi.

Celestini descrive con ironia lo stereotipo dell’italiano pieno di pregiudizi, scosso da passioni collettive solo quando gioca la Roma o c’è da inveire contro un nemico immaginario, il diverso per eccellenza: lo Zingaro che puzza, che ruba, che è l’unico a non preoccuparsi per il traffico o lo sciopero “dii mezzi” perché tanto mica ci va quello, a lavorare!

In scena, insieme ad Ascanio Celestini, nei panni del personaggio-narratore, c’è Gianluca Casadei che suona una pianola di strada e la fisarmonica: i due personaggi sono gli stessi in tutti e tre gli spettacoli della trilogia, vivono in un condominio di qualche periferia e si raccontano in strada quello che gli succede. Nella povera gente del loro quartiere riconoscono facce e destini analoghi a quelli degli ultimi che Francesco ha incontrato otto secoli fa. Una ridda di incredibili personaggi usciti dalla fantasia di Celestini che non si dimenticano, tanto sono scolpiti nei dettagli.

Fra questi Giobbe, il magazziniere analfabeta che ha organizzato il magazzino senza nemmeno una parola scritta; Joseph, che è partito dal suo paese in Africa, ha attraversato il deserto, è stato schiavo in Libia e poi naufrago nel mare, forse si è salvato, ma in Italia è finito in carcere: appena uscito è stato un facchino, ma adesso è un barbone; lo zingaro, che ha cominciato a fumare a otto anni e sta ancora lì che fuma, accanto alla fontanella, davanti al bar.

«Ma perché Francesco ci affascina ancora dopo otto secoli? E dove lo troveremmo oggi? Tra i barboni che chiedono l’elemosina nel parcheggio di un supermercato? Tra i facchini africani che spostano pacchi in qualche grande magazzino della logistica?»

Ponendosi queste domande, Ascanio Celestini racconta il Francesco di oggi, che trova i propri personaggi in strada, tra le case popolari, tra coloro che, oggi come ieri, nessuno vede: «Guarda in basso, nel parcheggio davanti alla finestra della sua casa popolare. I personaggi sono tanti e condividono lo stesso asfalto, la stessa condizione umana».
Grazie Ascanio per ricordarci che siamo tutti sotto uno stesso cielo, pieno di stelle, tante che non si possono contare, tutti accomunati dalla stessa, transitoria, condizione umana.

Scritto e realizzato da Ascanio Celestini lo spettacolo ha la musica di Gianluca Casadei, la voce di Agata Celestini, le immagini dipinte di Franco Biagioni, il suono di Andrea Pesce, le luci di Filip Marocchi, l’organizzazione di Sara Severoni.

Produzione Fabbrica Srl, Fondazione Musica Per Roma, Teatro Carcano commissionato dal Comitato Greccio 2023 in occasione dell'ottavo centenario del presepe di Francesco a Greccio, 1223 – 2023. Distribuzione Mismaonda contributi allo Spettacolo dal Vivo per l'annualità 2023 della Regione Lazio sostegno del Ministero della Cultura, tramite la Direzione Generale Spettacolo, per Progetto Speciale Teatro

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