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Biografilm Festival Bologna - Pillola 1:  Nuove e Vecchie Schiavitù

Biografilm Festival Bologna - Pillola 1: Nuove e Vecchie Schiavitù

Due documentari del Biografilm Festival di Bologna che illustrano perfettamente come i nuovi lavoratori della rete non abbiano diritti e siano a dir poco sfruttati come i lavoratori africani sono trattati ancora oggi dalle multinazionali del Nord del mon

Venerdi, 25/06/2021 - Biografilm Festival (www.biografilm.it)
Bologna 4 -14 giugno 2021

Pillola 1: Nuove e Vecchie Schiavitù

di Manuela Foschi

Il Biografilm Festival reso possibile dai contributi dell'assessorato alla Cultura e al Paesaggio della Regione Emilia Romagna e da tanti altri enti e dalla collaborazione di tantissime associazioni e circoli culturali di Bologna, si è concluso da pochi giorni proponendo una serie di film e documentari eccezionali. Avendo solo dieci giorni per visionarli è stato difficile scegliere per le tante tematiche trattate tutte interessanti su diritti umani, diritti degli animali e sulla vita artistica di alcune star della letteratura, della musica e dell'arte.
Alla fine della visione quello che sicuramente si può dire è che l'umanità è ancora molto arretrata e l'impegno civile e lottare per i propri diritti unendosi con altre persone può rappresentare una via d'uscita da sistemi culturali ed economici asfissianti. Si può dire che se in questa epoca molte merci raggiungono ogni angolo del pianeta, non è lo stesso per il rispetto dei diritti umani di tutti i tipi. Tutti questi film non dovrebbero essere solo appannaggio di giornalisti, appassionati del settore e delle elite ma passare come documentari in tv o online per far conoscere agli abitanti di Europa, Usa, Canada, Cina e Australia e tutti i Paesi benestanti perché tante persone stanno fuggendo dai loro Paesi d'origine e perché bisogna accogliere queste persone per non condannarle a una morte prematura o ad una vita di soprusi. Ho seguito in prevalenza, ma non solo, film dove le protagoniste sono donne che hanno scelto di lottare per i loro diritti e di cambiare la cultura e le tradizioni che da millenni le condannano a vivere come persone inferiori con l'unico ruolo di generare figli e prendersi cura di tutta la famiglia. Il denominatore comune di questi film è che la classe dominante benestante direttamente o tramite le proprie aziende e agenzie continua a non dar valore alle persone in quanto persone e lo sfruttamento per gli interessi economici di pochi colpisce sempre i più poveri. Sono cambiati i nomi dei re e delle regine che espropriavano terre per farne piantagioni o miniere sostituiti ora da nomi di multinazionali finanziarie, ma il sistema è sempre lo stesso e soprattutto porta sempre agli stessi risultati. Il mondo avanza a livello tecnologico, cambiano i confini, ci sono più paesi indipendenti, ma la possibilità di una vita dignitosa nel rispetto dei diritti umani è una chimera per molti, per troppi. Questo discorso che sembra riguardare solamente i Paesi in via di sviluppo riguarda anche l'Occidente.

“The Gig is Up” regia di Shannon Walsh, Canada-Francia - 2021
(a very human tech doc)

Il primo docufilm che ho visto “The Gig is Up” tratto dal libro “Ghost Work: How to stop Silicon Valley from Building a New Global Underclass” Houghton Mifflin Harcourt, 2019, di Mary L. Gray, antropologa e co- autrice con il ricercatore Siddharth Suri, scoperchia i falsi miti della Gig-economy, del Crowdwork, del Crowdsourcing. In pratica si tratta di piattaforme che per conto di aziende chiedono consigli, suggerimenti, contributi per la soluzioni di problemi da masse di persone esterne all'azienda in cambio di misere remunerazioni. Questi tipi di lavoro a cui stanno aderendo milioni di persone stanno cambiando la vita delle persone e delle loro comunità illudendole che con il lavoro online ci sia più libertà e più guadagno. A dirlo nel film ci sono alcune vittime della Gig-economy che vivono negli Stati Uniti, in Francia e nei Paesi sottosviluppati. La scena iniziale riprende un'ammasso gigantesco di biciclette e man mano la cinepresa si alza da terra è sempre più vasto, e il narratore solo alla fine ci darà una spiegazione di quelle immagini. Si stima che nel 2025 più di 540 milioni di persone cercheranno lavoro attraverso le piattaforme on line. Ogni Gig worker protagonista del film inizia parlando degli aspetti positivi e delle sue speranze rispetto il lavoro intrapreso. Leila Quadad lavora per la Uber-eats e Deliveroo a Parigi. Annette Rivero invece lavora a Los Angeles per la Uber e poi per la Lift driver lo stesso per l'autista yemenita da 12 anni a San Francisco. Invece Jason Edwards ripreso sempre davanti al suo computer dentro e fuori casa è il lavoratore che nessuno vuole, così si descrive per il fatto che ha tutti i denti d'oro e dice di aver guadagnato anche 30mila dollari facendo sondaggi online. Lui che deve sostenere la madre dipendente dal gioco è il filo rosso conduttore di tutto il documentario. Jason conduce una vita solitaria e da emarginato. Vive nella gigantesca e sperduta periferia nel Nord America favoloso bacino di risorse umane per la Gig economy.
Annette Rivero vive a Los Angeles e faceva un lavoro ben remunerato che le lasciava tempo per la famiglia e le vacanze ma è stata attratta dal nuovo lavoro parlandone con un'amica: “le piattaforme come Uber quando arrivano in una città allettano gli autisti con paghe molto alte ma quando diventano quasi un monopolio dettano le loro regole e tagliano gli stipendi.” Annette è diventata una schiava della piattaforma non può rifiutare i clienti, per avere una paga decente lavora 10/12 ore al giorno ma non ha più tempo per la famiglia, per una piccola vacanza, per fare visita ai genitori e si è molto impoverita. “Da 2000 dollari a settimana iniziali ora ne guadagno 1000 se va bene. Uber ha esternalizzato tutti i costi e costringono i lavoratori ad essere liberi professionisti. Devo stare molto attenta ai punteggi. se sono inferiore a 4,7 ti disattivano l'account e rimani senza lavoro.” Disperata piange davanti alla cinepresa per aver cambiato lavoro e aver creduto in questa opportunità. La rider francese Leila Quadad, che percorre centinaia di chilometri per le strade di Parigi era felice all'inizio di andare tutto il giorno in bicicletta perché le piace fare sport e rimanere in forma, in più come Annette pensava di guadagnare bene, di non avere un capo, di poter stabilire gli orari e ciò significa stare più tempo con la famiglia e non stare tra le mura di un ufficio. Ma poi Leila dichiarerà. “Fare la rider è uno sporco lavoro, molti ristoranti ti trattano come merde e attendiamo tanto tempo. Vorrei stare un po' di tempo con i miei figli e non fare più 100 km al giorno. La gente che è nata con la camicia, non sa cosa vuol dire venire dal basso e quello che dobbiamo fronteggiare. Il cellulare è diventata la cosa più importante, più dell'appartamento. Se lo perdo, perdo il lavoro, perdo tutto.”
Derek Thom studioso delle nuove tecnologie ci spiega che un aspetto della tecnologia è la massimizzazione delle comodità per i consumatori nel senso che devono offrire un buon servizio ad un ottimo prezzo. Il cliente è la cosa più importante e l'applicazione deve esaudire ogni loro desiderio. Ma tra i clienti e la piattaforma chi c'è? C'è una massa di lavoratori schiacciati tra l'algoritmo che li comanda e gli chiede l'impossibile e i clienti che spesso sono molto esigenti: i Ghostworkers.
Ce lo spiega ancora meglio Jérome Pirot, cofondatore del Collettivo dei Lavoratori Autonomi di Parigi, nato in seguito agli incidenti in cui hanno perso la vita dei riders o sono stati gravemente feriti, che si sono organizzati per ottenere i diritti che non hanno. Jerome è anche sindacalista dei rider che lavorano per Deliveroo e dichiara: “Il capoufficio lo vediamo a prendere il caffé una volta alla mattina. L'algoritmo è sempre presente nelle nostre tasche. Ed è molto più preciso sulla distanza, sulla direzione, sulla velocità. Se non accettiamo un ordine sa tutto di noi ci controlla. Ma infine ti tratta come se tu fossi niente.” Eppure questi lavoratori si sacrificano per i clienti e per la piattaforma per cui lavorano e non hanno diritti. La coautrice di Ghostwork, Maria L. Gray, afferma: “Per le aziende è legittimo eliminare chi fa il lavoro peggiore, chi è più in basso nella classifica. Questi sistemi di valutazione portano il potere da una parte sola del mercato quella del consumatore e il lavoratore che sta in mezzo è annientato.”
L'ingegnere informatico indiano Prayag Narula fondatore di LeadGenius Tech Entrepeneur a Berkeley in California, che è un software privato che combinando l'Intelligenza Artificiale con la Computazione Umana trova clienti mirati per chi usa i suoi servizi, dichiara: “Sostituiremo la teoria del capo con quella dell'algoritmo ed è molto peggio ve lo garantisco da tecnico informatico.”
Mary L. Gray racconta: “Quando sono venuta a fare ricerca alla Microsoft volevo capire come funziona l'Intelligenza Artificiale, com'è costruita. Ho iniziato a chiedere agli ingegneri e hanno iniziato a descrivermi la Computazione Umana. Ci sono tantissimi casi in cui l' Intelligenza Artificiale non può, non riesce a prendere una decisione da sola. Una caratteristica davvero unica degli esseri umani è la capacità di prendere una decisione senza informazioni precedenti. Quando chiedevo chi assumete per farlo ricevevo delle non risposte ed erano molto a disagio. Ma se da questa forma di lavoro tutte le piattaforme on line (dalle più conosciute come Google a Facebook e via dicendo) traggono tanti benefici e profitti mi sembrava molto importante capire chi sta facendo questo lavoro.
Cambio Immagine: Lagos in Nigeria, clacson che suonano nel traffico cittadino pieno di persone che vanno e vengono nelle strade senza marciapiedi. Inquadratura su Mitchell Amewieye mezzo sdraiato su un letto improvvisato accando a una parete mal dipinta per un occidentale. E' un Artificial Intelligence Gig worker e le sue parole sono illuminanti perché proprio lui ci svela i segreti dell'Intelligenza Artificiale e di chi sta dietro ad essa. “La maggior parte dei lavori che eseguo riguardano l' I.A.” Sul computer le appare un ragazzo che ride immerso in una vasca con molta schiuma. “Credo che stiano cercando di valutare un sistema di I.A. Probabilmente riguarda un sito di incontri. Quindi devo rispondere a una serie di domande come – Se vedessi questa persona penserei che è intelligente? Affidabile? Attraente? E mi chiedono un suggerimento per migliorare la foto. Ecco tutto il lavoro. Ho appena guadagnato 10 centesimi”. Penso ma è pochissimo dato che l'I.A. È un'opera collettiva di tanti esseri umani. Mitchel sul taxi in mezzo al traffico apre il cellulare e dice: “Essere di Lagos significa trascorrere molto tempo nel traffico. Perché sprecare tanto tempo prezioso. Una volta passato non torna più. Così apro la mia applicazione M-Turk e do un'occhiata se ci sono dei risultati disponibili per me. Mi piace fare le trascrizioni di video o degli audio. Non mi piace fare lavori da meno di 10 centesimi. Vengo pagato in buoni acquisto Amazon che vengono caricati sul mio account Amazon quindi faccio l'acquisto e chiunque viene dagli Usa mi aiuta ad incassarlo” Siete stupiti e non è tutto. Continua Mitchell. “Me ne sono fatto una ragione qui non c'è proprio altro modo per guadagnare. Ci ho provato. I buoni di acquisto non li vedo come soldi veri ma come soldi amazon, si soldi amazon e finisce l'intervista ridendo amareggiato. Tantissimi altri ragazzi e ragazze da ogni continente confessano di fare questo lavoro online c'è chi dice: “E' diventata una dipendenza e mi sento isolato se non lo faccio. Certi giorni lavoro 8 ore e guadagno 10 dollari.” E ancora: “E' un lavoro che ti rende asociale. Passi tutto il giorno al computer.” La retribuzione media su Mechanical Turk è di 2 dollari l'ora.
La stessa dei migranti che lavorano nelle campagne italiane e ci portano i pomodori e tutti gli altri ortaggi e frutti sulle nostre tavole.
Ma cos'è Mechanical Turk e cosa c'entra Amazon?
Mary L. Gray lo spiega: “Amazon nel 2000 si mise a raccogliere tutti i Database che poteva, libri, elenchi di libri, da librerie, da editori per diventare la più grande libreria sulla terra. Si rese conto che questi metadati erano pieni di refusi e titoli da sistemare e se un computer non li riconosce le persone ci mettono un attimo a vederli. Creò così una piattaforma per cercare persone che correggessero questi refusi. Amazon poi offrì questo servio ad altre aziende che avevano bisogno. Quello fu l'inizio di questo mondo Amazon's Mechanical Turk.” Attraverso questa piattaforma chiunque può assumere lavoratori Gig, gli M-Turker, anche per piccoli lavori on line. Taggare immagini, pulire dati, trascrivere audio, fare sondaggi e tante altre piccole mansioni che sono pagate anche solo 1 centesimo. E i poveri del mondo che sono tanti non avendo molta scelta si assogettano a questo sistema di sfruttamento on line.
Jason non accetta lavori per pochi centesimi e si sente superiore per aver raggirato l'algoritmo e fingersi un afroamericano repubblicano ma infine ammette di lavorare giorno e notte. Gli ingegneri di Amazon e di Mechanical Turk, come di tutte le altre piattaforme, hanno inventato un sistema ad hoc per accontentare e guidare i propri clienti azzerando i costi dato che, Amazon con 500mila lavoratori sulla sua piattaforma, paga con prodotti che non sono suoi ma che vende per altre aziende. Gli M-Turker sono obbligati a diventare clienti Amazon.
Iniziano ad essere tantissimi gli effetti sulla salute psichica e fisica degli M-Turker come dei Riders di Deliveroo di Parigi e dei Drivers di Lift di Los Angeles e di San Francisco che si stanno unendo per ottenere diritti e nuove regole dalle piattaforme online e diventare visibili e non essere più dei Ghostworkers. Stanno organizzando scioperi in tutto il mondo. Shannon Walsh il regista che concorre per la sezione Contemporary Lives afferma: “Se non ci si unisce adesso i prossimi 20 anni saranno terribili per un lavoratore medio tanto che il Medioevo sembrerà il Paradiso. Se non prendiamo posizione resterà tutto uguale”. Leila dice infine “La gente deve capire cosa sta succedendo” E c'è da rabbrividire se si pensa che in Cina nel 2020, forse anche grazie alla pandemia, sono stati 410milioni gli utenti di piattaforme di cibo. Numeri enormi che fanno un po' riflettere. Con i lockdown a causa del Covid-19 in tutto il mondo si sono impennate incredibilmente le cifre della Gig economy come mai era successo.
Annette Rivero conclude: “Ci sono società là fuori che cercano di trasformare ogni azienda in una Uber”
E quelle discariche di biciclette? Dove sono e perché? Il bikesharing è nato in Cina nel 2017 e fino a 70 società gareggiano per vincere gli appalti. “E' come esser in guerra, ogni mese ci sono nuove città da conquistare dice la OFO una società di bikesharing”. Il fotografo WU Guouong è l'autore di quelle immagini e li ha chiamati i cimiteri delle biciclette e sono il prodotto del bikesharing solo dopo 3 anni. L'algoritmo non è solo contro l'uomo ma anche contro l'ambiente. Pensiamoci bene prima di affidargli le nostre vite e la sopravvivenza dell'ecosistema da cui siamo nati. The Ghostwork è un ottimo documentario per riflettere su come funzionano e quale può essere l'impatto delle nuove tecnologie sulle nostre vite.

“White Cube” di Renzo Martens, Paesi Bassi, Belgio, Repubblica Democratica del Congo, 2020

“White Cube” di Renzo Martens, il documentario che ha vinto il Festival per la sezione Biografilm Art&Music, ci fa fare un salto nel passato più buio e cupo della colonizzazione europea in Africa che lì non è mai conclusa ma ancora presente.
Le immagini si aprono su una piantagione a Boteka, nella Repubblica Democratica del Congo nell'anno 2012, con un lavoratore che si arrampica coi piedi su una palma da olio alta 20 metri. Alla fine della giornata i lavoratori stremati si presentano di fronte a colui che controlla il lavoro fatto in un giorno. Hanno raccolto 13 tonnellate di bacche di olio da palma e sono pagati un dollaro al giorno. Alcuni di loro lavorano in quella piantagione da 25 anni. Le loro famiglie vivono in delle abitazioni fatiscenti senza nulla dentro, dormono a terra, non c'è scuola, ospedale non c'é nulla, solo la fatica nel viso di questi uomini e delle loro donne. A questa scena assiste un bianco che invita i lavoratori a partecipare a un meeting. Si tratta di un artista visivo olandese Renzo Martens. Sta organizzando una serata in quella piantagione perché è convinto che l'arte può portare capitali anche in mezzo all'Africa in Congo. Lui ha già prodotto un filmato senzazionale “Enjoy Poverty” nel 2008. Ha invitato economisti e artisti in collegamento con l'Europa e René Ngongo un congolese di Greenpeace-Congo esperto di piantagioni.
Ma da cosa ha origine tutto ciò?
Renzo: “Sono stato alla inaugurazione della proiezione del mio film (il terzo Episodio di Enjoy Poverty un lavoro sensazionale) alla Tate Gallery di Londra e dappertutto c'era scritto Unilever, Unilever, Unilever. Così
volevo conoscere chi aveva sponsorizzato il mio lavoro e ho fatto alcune ricerche. Ho scoperto che William Lever nel 1911 fu autorizzato dal Governo belga a distruggere intere foreste vergini del Congo per piantarvi le palme che producono olio.” Quindi l'olio da palma fa parte dei nostri cromosomi da molto tempo ma a parte questa considerazione nutrizionistica, i prodotti ottenuti con l'olio da palma come la margarina Blue Band o il sapone Monsavon, hanno per prima arricchito infinitamente la dinastia Lever ed ora Unilever, un colosso anglolandese, titolare di 400 marchi tra i più diffusi nel mondo nel campo dell'alimentazione, delle bevande e dei prodotti per la casa che ha fatturato oltre 50 miliardi di euro nel 2020. L'Unilever, che finanzia mostre e progetti artistici nelle gallerie d'Occidente più quotate, mantiene in schiavitù nel Sud del mondo i lavoratori delle piantagioni che le procurano le bacche delle palme da olio, come se la colonizzazione non fosse mai finita. Perché i diritti dei lavoratori in Belgio devono essere così tanto differenti dai diritti dei lavoratori in Congo che lavorano per una multinazionale belga? White Cube ci dimostra come la colonizzazione sia tuttora presente nella Repubblica Democratica del Congo.
Renzo con grande facilità coinvolge una parte dei lavoratori delle piantagioni e le loro famiglie, curiose e interessate come forse non ci si aspetterebbe da chi vive isolato dal mondo e lavora tutto il giorno, e decide di dare vita ad un piccolo centro creativo in un vecchio negozio abbandonato della Unilever.
I congolesi lo pitturano e ragazzi, bambini e adulti iniziano a creare disegni, a realizzare pupazzi a cantare tutti insieme grazie ad alcune collaboratrici e collaboratori di Renzo. Vogliono realizzare una piccola mostra e costruiscono per il progetto di Renzo delle palafitte bellissime per ospitare i turisti. Poi una sera arriva una email dalla sede di Londra della Unilever firmata Bill Dry, in cui avvisava che nella piantagione c'erano state delle aggressioni con machete e lance e ciò era la conseguenza dell'ingenuità dell'artista nel procedere con il progetto perché la piantagione è una proprietà privata. Saranno distrutte le palafitte e tutte le opere create nel centro creativo vengono portate via. Renzo in lacrime vuole continuare il progetto ma coloro che vorranno partecipare dovranno lasciare la piantagione.
Due anni dopo a Lusanga – Repubblica Democratica del Congo 2014
Le immagini sul fiume Congo e la foresta sono bellissime, ebbene proprio questo territorio era la ribatezzata Leverville (città di Lever) dove arrivavano da tutto il Congo per lavorarvi fino al 1995 quando fu abbandonata perché i terreni erano troppo sfuttati. 84 anni di tonnellate di bacche di palma raccolti dai lavoratori delle piantagioni congolesi i cui utili sono andati lontano da queste terre.
Anche qui a Lusanga si parte dalla stessa immagine, un uomo che si arrampica sopra una palma per raccogliere bacche ma non lavora per la Unilever, le raccoglie per fare l'olio con un frantoio artigianale con gli altri abitanti della comunità. Quelle terre abbandonate dalla Unilever sono tornate libere. Il raccoglitore è Matthieu Kasiama che diverrà il portavoce del Circolo degli Artisti Lavoratori delle Piantagioni di Lusanga – The Cercle d'Art des Travailleurs de Plantation Congolaise CATPC, il cui obiettivo è creare un luogo d'arte, the White Cube, nel proprio ecosistema naturale e produrre opere per attrarre persone da tutto il mondo.
Renzo inizia il suo progetto di Arte Critica sotto una tenda sorretta da una decina di pali di legno a cui partecipano donne e uomini. Illustra alla lavagna come sfruttando i contadini congolesi la Unilever e così molte altre multinazionali, finanzino poi la costruzione di musei nel mondo e creino il fenomeno della gentrificazione, che è l'aumento dei prezzi degli immobili attorno ai musei e la fuga di chi vi abita. “La disuguaglianza sopravvive attraverso i musei europei. Le difficoltà che i congolesi vivono e si portano dentro ora le possono esprimere con l'arte”. Renzo un giorno mentre gli artisti plasmavano le loro opere con l'argilla del fiume Congo, dona a tutti una tavola di cioccolato incartata e dice loro che quel cacao viene dalle loro terre. Nessuno di loro lo aveva mai assaggiato. A tutti piace molto e sono molto felici di averlo provato. Per chiunque di noi è davvero impensabile che chi vive nella terra del cacao non l'abbia mai mangiato. Renzo incita i suoi artisti lavoratori delle piantagioni di Lusanga “Volete lanciare un messaggio al signor Lever o alla gente che mangia cioccolata?
“Il cioccolato è la chiave per aprire i loro occhi. Le vostre sculture di argilla le faremo di cioccolato.”
E proprio da quella tenda una delle ragazze coinvolte nel progetto scannerizza le sculture per inviare quelle immagini ad una stampate 3D a Londra.
Una delle scultrici di Lusanga si confessa: “Qui ci sono solo dei capi e non mangi se non lavori la terra. Ci lavoriamo da sempre, specialmente noi donne e non siamo importanti. Ho realizzato un'opera che ho chiamato “Amore forzato”. Se un uomo ti segue nei campi e vuole violentarti o ucciderti può farlo senza essere punito. L'ho vissuto sulla mia pelle.” Un'altra ragazza molto giovane riprodurrà lo strupro da parte di un uomo bianco su una donna congolese che come le ha narrato la nonna fece scoppiare una ribellione nella piantagione di Lusanga.
Le immagini si aprono sulla sala di un museo di Londra gremito di gente vestita elegante, tutti in nero, per una inaugurazione. Le statue di quella comunità congolese che tanto ha sofferto e soffre sono arrivate in una delle capitali dell'Occidente. Le più piccole sono riprodotte in serie coi calchi da due chef cioccolatieri e c'è la fila per acquistarle. A venderle c'è Renzo che aveva promesso di portare ogni utile a chi le aveva create. Porterà a Lusanga un assegno di duemila dollari, una cifra mai vista per queste persone che festeggeranno tutta una giornata e con la quale acquisteranno 65 ettari di terre per risanarle e ripiantumarle.
La mostra sbarca inaspettatamente al The Sculpure Center di New York e il New York Times la proclamerà The Best Art of 2017 con intere pagine dedicate all'evento e a Matthieu Kasiama. Sarà lui a seguirla e a presentarla alla stampa internazionale con la semplicità di chi non ha studiato sui libri ma è interconnesso con la natura, con lo spirito delle cose e dei suoi antenati che lo nutrono di energia e di ottimismo e di amore per la vita nonostante la schiavitù, le violenze e le crudeltà vissute sulla propria pelle e subite dagli avi. Matthieu aveva sempre sperato in una specie di redenzione per la propria gente e quel sogno ora si è realizzato. A New York avrà la possibilità di visitare il Metropolitan Museum e nello specifico le sale dedicate al Congo e alla cultura Pende propria dei suoi villaggi di origine. Sconcertato dal fatto che tutti quei manufatti fossero rinchiusi in delle teche di cristallo e mantenendo anche se con difficoltà la calma chiede alla guida come siano arrivati a NY dall'Africa. “Sono stati donati da Nelson Rockefeller che li ha acquistati da mercanti d'arte europei negli anni '70”: risponde la guida e continua Mathieu: “Acquistati o rubati?”. Si sa purtroppo fin troppo bene come tante opere d'arte africana siano state trafugate o scambiate con vari oggetti di manifattura europea o americana. Alla domanda di un giornalista: “Se dovesse scegliere tra la Terra e le sue operte d'arte cosa sceglierebbe?” Mathieu senza batter ciglio ti spiazza in un baleno: “Se dovessi optare per una sola cosa sceglierei la terra perché dove potrei sedermi per creare la mie sculture se non ci fosse la terra e con cosa le farei. Non esistono altri progetti che uniscano l'arte alla terra come questo e tra l'altro le foreste che stiamo risanando assorbono grandi quantità di carbonio un contributo per l'atmosfera e l'umanità. ”
Renzo Mantens è riuscito in questa grande opera che ha portato allo scoperto con queste statue del collettivo CATPC, come la violenza e lo sfruttamento del nuovo colonialismo nelle piantagioni congolesi abbia finanziato e finanzi i musei: “Quei musei sono in debito con i lavoratori delle piantagioni. Le scuse non sono sufficienti.” Vorrei concludere l'esposizione di questo bellissimo film biografico con le parole di Matthieu alla conferenza nel Sculpure Center di NY :“Venite a vedere cosa succede in Africa”. Queste parole non hanno bisogno di commenti e sono rivolte a chi crede che il proprio benessere sia opera dell' “ingegno imprenditoriale occidentale” e non abbia nulla a che fare con la colonizzazione economica dei paesi ricchi nei confronti dei paesi poveri con tutte le sofferenze, le violenze, i soprusi che ha comportato e causa tuttora per garantirlo. Su Vimeo è possibile visionare White Cube – a postcolonial utopia.

Manuela Foschi (freelance)

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