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Cambiare il mondo. Nonostante tutto

Cambiare il mondo. Nonostante tutto

- L’Occidente è in ritardo sull’analisi dei fenomeni attuali e come donne non contiamo abbastanza anche se in Europa abbiamo fatto i conti con il patriarcato.

Giancarla Codrignani Venerdi, 08/01/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2016

 Il 2015 si è presentato proiettando sul nuovo anno le conseguenze di tre eventi, destinati a condizionare ancora a lungo non solo noi italiani: l'attentato del 13 novembre a Parigi, la Conferenza sul clima finita l'11 dicembre, la minaccia di Marine Le Pen sulle amministrative francesi. Anche volendo, noi, donne di buonissima volontà ma piene di problemi (anche "Noi Donne" sta sempre più in crisi), non potremo dimenticarcene.



Anche perché sono tutti segnali di trasformazioni del mondo in cui la cultura femminile - ancora politicamente poco riconosciuta - deve potersi manifestare prima che fatti "imprevedibili" ci cadano addosso come folgori improvvise. Pazienza i cittadini normali; ma i governi, le istituzioni internazionali, i partiti politici dovevano capire che la sicurezza era in pericolo almeno dal 2001, quando sono state abbattute le "torri gemelle". Contro il fanatismo islamista che ha massacrato 129 francesi, Hollande ha fatto subito partire i Rafale a bombardare Raqqa: senza consultare il Parlamento e gli altri governi europei, e senza una strategia adatte a forme di guerra totalmente inedite.

Sull'ambiente l'allarme rosso era scattato alla Conferenza di Kyoto del 1997: purtroppo siamo ancora fermi alla favola di chi sente gridare al lupo e aspetta che il lupo arrivi. Le modificazioni ambientali reclamano urgenti soluzioni unitarie, dato che il clima non si adegua alle frontiere; ma l'Europa non ha unità politica. Così anche la nuova Conferenza mondiale ha deliberato risoluzioni che non vincolano le scelte nazionali.

Le elezioni francesi sono "andate bene" e il Front national ha perso. Le vicende viste da lontano si leggono meglio: si è constatato che la sinistra ha perso così tanto consenso da essere stata esclusa dal ballottaggio, aver dovuto ritirare i propri candidati ed essersi ridotta a chiedere al proprio elettorato di votare Sarkozy (come se da noi si dovesse votare Berlusconi). Memorizziamo la lezione: si vota secondo regole che sono democratiche anche se non piacciono, non si votano principi non negoziabili e non ci si astiene, anche se la sofferenza, la rabbia o l'ignoranza inducono a reazioni autolesioniste.



Essere responsabili non significa rassegnarsi. Se Tony Blair ha chiesto scusa per aver imbrogliato il popolo per seguire Bush contro l'Iraq petrolifero con la scusa di "portargli la democrazia", non possiamo più cedere a nessuna voglia di guerra. Cercando di capire il terrorismo, ricordiamo che anche le brigate rosse credevano di dovere abbattere uno Stato che gli faceva schifo. Oggi altri, di altre culture, purtroppo fondamentaliste, si sentono giustificati se vogliono distruggere un sistema che sfrutta, emargina e danneggia il futuro con la sua immoralità. In Italia non ci potevano essere indulgenze per i "compagni che sbagliano" ai tempi dell'uccisione di Aldo Moro; nemmeno per i musulmani ci possono essere "islamici che sbagliano", ma alle loro incertezze non si può rispondere bombardando i loro paesi. Si rafforza l'odio.

Sotto tutti questi aspetti, la sinistra occidentale rischia molto, insidiata com'è dai movimenti populisti che, loro sì, sono il nuovo fascismo. Già ai tempi di Craxi in Italia finiva il socialismo dell'Ottocento; oggi finisce anche la socialdemocrazia perfetta dei paesi nordici, vittime della globalizzazione e passati alla destra e ai partiti nazionalisti. Il ritardo nel rinnovare analisi e progetti paralizza; ne pagano il prezzo soprattutto i giovani, privi di sostegni anche solo morali e non sempre consapevoli di vivere dentro un'economia finanziarizzata a beneficio del profitto, lecito e illecito, che insegna corruzione, egoismo proprietario e nazionalismi, frontiere, paura dello straniero, ricorso alla violenza. Con l'aggravante di un contesto in cui gli stranieri di origine araba sanno che, dopo la prima guerra mondiale, gli occidentali si spartirono regioni che avevano costituito l'Impero ottomano; e sanno che, quando l'Algeria lottava per l'indipendenza, la polizia di Parigi sparò contro le manifestazioni dei loro padri, algerini francesi, causando decine di morti. Siamo in ritardo e dobbiamo avere il coraggio di guardare avanti per recuperare, sapendo che noi occidentali siamo i più ricchi e i meno amati.



Come donne non contiamo abbastanza, anche se noi europee abbiamo fatto i conti con il patriarcato e ottenuto la parità di genere. In tutti i paesi arabi ci sono gruppi di femministe, ma sono minoranze esigue che si sono fatte conoscere in questi anni negli organismi internazionali che tutelano i diritti delle donne, senza poter incidere sul potere. Purtroppo non siamo state capaci di costruire relazioni concrete nemmeno con le donne che studiano nelle nostre università o lavorano nelle nostre città.

Anche loro, meno ascoltate di noi, a tutti i livelli, in quanto donne, si "fanno carico". Ci sono ragazze che non vogliono essere vittime dell'Occidente e si fanno vittime volontarie dell'Isis; ma in generale, nei paesi musulmani restano tutte "sottomesse", pur non volendo nemmeno loro subire la violenza e la guerra. Noi avremo da sostenere l'attraversamento della crisi senza conformarci troppo all'esistente. Nei passaggi storici le cose possono cambiare: basta avere la tenacia del "fare femminile", che non si adegua alla necessità. Un puntare alto che per noi non è egoistico, significa puntare al bene comune.

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