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Caregiver familiare tra stereotipi, bisogni e diritti

Caregiver familiare tra stereotipi, bisogni e diritti

Parliamo di bioetica - Per l’Istat sono più di 3 milioni i familiari assistenti, prevalentemente donne, che in Italia si prendono cura di anziani, malati, disabili ...

Paglia Maria Lunedi, 20/06/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2016

La prima cosa che salta agli occhi affrontando il tema del lavoro dei caregivers è che tutti ne parlano, tutti sono convinti che bisogna dar loro sostegno ed altro, che le forze rappresentate in Parlamento sono convinte che si debbano fare leggi ad hoc….. ma poi, nella realtà del quotidiano, viene fatto pochissimo e pressoché tutto rimane immutabilmente sulle spalle di chi questo lavoro con abnegazione e sacrificio lo porta avanti in maniera gratuita, tutti i giorni - ed anche le notti - della propria vita.

Il caregiver - o familiare assistente - nel nostro Paese è soprattutto donna: moglie, madre, figlia, nuora, che in nome di un ruolo storicamente considerato femminile, si fa carico della cura, prima dei bambini e poi degli anziani della famiglia e questo a conferma di stereotipi culturali da un lato e, dall’altro, della assenza di politiche organiche e strutturali di conciliazione.

In una recente ricerca multiscopo Istat si stima che siano oltre 3 milioni i familiari assistenti che in Italia si prendono cura di anziani, malati, disabili. Il dato è certamente sottostimato rispetto alla realtà caratterizzata dalla crescita esponenziale di persone anziane con polipatologie croniche e degenerative, per oltre l’80% assistiti al domicilio a carico dei familiari.

Per non parlare poi dell’assistenza ad un figlio disabile che dura tutta la vita e oltre. Ma anche quando l’assistenza riguarda coniugi o genitori, la durata nel tempo e l’intensità del lavoro di cura impattano pesantemente sulla vita del familiare che si prende cura stravolgendone la quotidianità ed il progetto di vita: chi si prende cura vive una battuta di arresto (o una “vita di arresto”). Infatti, oltre a dover affrontare in prima persona l’impatto emotivo connesso all’accettazione della malattia del proprio caro, il caregiver si trova a dover stravolgere la propria vita quotidiana adattandola alle nuove esigenze (secondo un’indagine AIMA, oltre il 66% dei familiari assistenti ha dovuto abbandonare il lavoro, il 10% ha richiesto un lavoro part-time e il 10% si è orientato verso una mansione meno impegnativa). Stress emotivo, stanchezza fisica, problematiche di conciliazione, di gestione del tempo, di gestione di risorse economiche si sommano a pesanti problemi etici e ad un forte senso di perdita.

In questo difficile e complesso percorso è fondamentale che il riconoscimento del ruolo e il sostegno ai familiari assistenti si accompagnino ad una loro valorizzazione sociale attraverso l’attivazione di servizi professionali di supporto e percorsi di accompagnamento e condivisione proprio per evitare il rischio di facilitare un processo di “familizzazione” che tende a scaricare sulla famiglia l’inefficienza di un sistema di protezione e assistenza.

E poi ancora il tema della rappresentanza dei bisogni e degli interessi: oggi i caregivers non hanno luoghi e strumenti di rappresentanza. Le esperienze europee insegnano che rafforzare le reti di comunità e costruire innovazione sociale richiede, in primo luogo, che i soggetti si sentano ascoltati e rappresentati ma soprattutto è fondamentale che aumenti la consapevolezza da parte degli stessi caregivers dell’importanza che il loro ruolo ha per la collettività sia a livello sociale che economico.

Nel nostro Paese l’interesse nei confronti di chi assiste informalmente persone non autosufficienti, con la legge 104/92 e D.lgs 151/01, ha visto il riconoscimento di alcune facilitazioni sul lavoro quali permessi mensili e congedi biennali retribuiti, ma solo recentemente a livelli di enti locali si è sviluppata una sensibilità atta a valorizzare la solidarietà e la cura familiare come beni sociali. Tuttavia, anche se sono molte le proposte di legge a livello di vari Consigli regionali, solo nella Regione Emilia Romagna è stata approvata una legge sui caregiver, la 2/14 recante “Norme per il riconoscimento ed il sostegno al caregiver familiare (persona che presta volontariamente cura ed assistenza)”. “Con questa legge - sottolinea la relatrice della legge Paola Marani - si danno indicazioni precise e concrete per sostenere queste persone. Tra le novità più importanti, la formazione al lavoro di accudimento e al riconoscimento delle competenze acquisite per favorire successivi sbocchi lavorativi, un supporto psicologico, guide sui servizi, forme di sostegno economico nell’ambito dei contributi destinati alla non autosufficienza (assegno di cura, interventi economici per l’adattamento domestico), prestazioni sanitarie a domicilio, sostituzioni che offrano momenti di sollievo o permettano di affrontare le emergenze, accordi con le associazioni imprenditoriali per una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro, promozione di accordi con compagnie assicurative per la copertura degli infortuni o della responsabilità civile collegati all’attività prestata”. Purtroppo questa resta - al di là di alcuni progetti o sovvenzioni da parte di enti locali e soprattutto di azioni positive da parte di attori privati del terzo settore - l’unica “realtà legislativa” in Italia che si prefigge di garantire formazione e supporto nelle attività di assistenza prestate gratuitamente da familiari ed amici a persone non autosufficienti, mettendo a loro disposizione importanti servizi pubblici. Con la stessa legge si promuove anche una giornata di sensibilizzazione che prende il nome di Caregiver day che si tiene nel mese di maggio.

A livello nazionale, negli ultimi mesi dell’attuale legislatura sono stati presentati una proposta di legge alla Camera concernente “Disposizioni per il riconoscimento e il sostegno dell’attività di cura e assistenza familiare” e al Senato due disegni di legge (“Legge quadro nazionale per il riconoscimento e la valorizzazione del caregiver familiare“ e “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”): segno di un’attenzione al problema, o, come paventano alcuni, non si può escludere che sta prendendo corpo una mentalità di “familizzazione” con una progressiva chiusura degli attuali centri e …..“tutti a casa”?



* Maria Paglia (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche della famiglia)

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