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"Cattiva madre": ma chi l'ha detto?

L'ultimo libro di Serena Ballista affronta i lati oscuri della maternità, storie potenti che rifiutano gli stereotipi e raccontano le tante realtà che non vogliamo vedere

Mercoledi, 13/09/2017 - Essere madre o fare la madre? Le pagine scorrono, le storie si dipanano e il quesito si insinua senza trovare risposta. Se un figlio è per sempre - e così è, indipendentemente dalla storia di quella nuova esistenza e dal rapporto che chi l’ha generata instaura con lui/lei - allora la maternità è una modificazione costitutiva dell'esistenza della donna la quale, quindi, si trova ad essere madre sempre e comunque, in ogni gesto, momento o relazione. “Non potevo fare a meno di pensare che per tutta la vita io sarei stata sua madre e lei mia figlia” dice Laura, mamma di Guia, nel racconto che apre la serie dei “nove brani, nove come i mesi che servono per rinascere come madre” di “Cattiva madre” (Giraldi editore). Così scrive Serena Ballista, l’autrice, nella postfazione, pagine in cui spiega la genesi di un libro tanto asciutto quanto profondo.

E provocatorio, perché “la cattiva madre ha ragione di esistere tanto quanto quella che gode di piena approvazione sociale semplicemente perché è parte inscindibile di quest’ultima”.

“Cattiva madre” apre uno squarcio su una prospettiva difficile dell'essere madre, si concentra su una dimensione scandita dall'imperfezione che è (considerata) tale perché non conforme a quelli che vorrebbero - quali? da chi? perché? - essere indicati come canoni. La maternità è avvolta da una insopportabile coltre di ipocrita retorica. Il 'mammismo' italico è morto da un pezzo, anche solo considerando il nostro basso tasso di fertilità, eppure la narrazione ‘ufficiale’ ruota ostinatamente intorno a schemi che non rispondono più alla realtà, popolata da una gamma assai variegata di sentimenti e circostanze lontanissimi da convenzioni sociali o idillici perimetri, schemi ampiamente messi in discussione. L’autrice, non esaminando l’ovvio, si avventura su un terreno insidioso e ci racconta altri modi di vivere la maternità, di percepirla o rifiutarla.

Un “dolore immenso” trafigge il suo cuore, ma Ksenija non rinnega la sua voglia di ricominciare a vivere perché trova la forza di accogliere in sé la verità sublime: “se puoi generare allora puoi distruggere perché la morte fa parte della vita e non può essere diversamente”. Le semplici parole attinte dalla saggezza antica della nonna rincuorano Lavinia, schiacciata da obiettivi forse troppo ambiziosi, “non esistono le madri buone, fiola! E non esistono le madri cattive. Esistono solo le madri. E le madri fanno con quello che hanno”.

La potenza dei ritratti proposti sferza il lettore, ponendolo di fronte ad una complessità che non può essere elusa e con cui si deve confrontare fino in fondo se vuole comprendere e scavare “nel sentire che ruota attorno alla necessità di nuove dimensioni di maternità, e di non maternità, che si sta facendo strada in Italia dopo anni di silenzi costretti e sensi di vergogna”, scrive Stefania Prandi nella prefazione. Un libro che affronta alcuni tabù che non avevamo il coraggio di definire tali e che Ballista opportunamente riporta in evidenza, con il coraggio dello sguardo politico e limpidezza della narrazione letteraria.



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