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Cecily Brown al GAM di Torino: un astrattismo che torna sul corpo

Cecily Brown al GAM di Torino: un astrattismo che torna sul corpo

Fino al 1 febbraio la Galleria d'Arte Moderna di Torino ospiterà Cecily Brown, pittrice osannata dai maggiori galleristi del mondo.

Martedi, 20/01/2015 -
Cecily Brown è un'artista londinese nata nel 1969. Un ingegno veramente straordinario, figlio di altri due talenti, una scrittrice affermata e un noto critico d'arte: Shena Mackaye e David Sylvester. Quest'ultimo, appunto - quello che solo più tardi l'artista ormai cresciuta saprà essere suo padre - porta felicemente per mostre Cecily ancora bambina, non senza la compagnia del sodale Francis Bacon. Di Bacon stesso, peraltro (pittore irlandese di fama mondiale), escono diverse interviste, edite da Skira e curate dal critico in persona. 



Dopo aver concluso i suoi studi presso l'attuale University for the Creative Arts, nel Surrey (un tempo la Epsom School of Art), la Brown si laurea in Fine Arts presso la Slade School of Art di Londra. Siamo intorno al 1993-'94. Se interiormente la Brown si sente vicina all'espressionismo astratto americano, se sogna ad occhi aperti ciò che è nelle sue corde e nelle sue possibilità (cioè spostare di un passo più là il traguardo universale dell'arte), di fatto è costretta a vestire i panni della cameriera e a dare sfogo a qualche suo vezzo estetico in uno studio di animazione.



Il 1994 è l'anno del trasferimento a New York. La Brown, trascinata oltreoceano dalla sua vocazione, si allontana dalla Young British Art e abbraccia quello stile che le è proprio e che le garantirà, di qui a breve, delle personali nei musei più prestigiosi del mondo, fra cui: il Solomon R. Guggenheim Museum e il Whitney Museum of American Art. Contesa, ad oggi, dai più grandi galleristi del globo, la Brown è al GAM di Torino fino al primo febbraio.



L'eccezionale appuntamento torinese "Underground Project", a cura di Danilo Eccher, consente al pubblico l'accesso ad opere provenienti dallo studio dell'artista, insieme ad una cinquantina di opere altre, costitutive delle più ricche raccolte private americane: dipinti di grandi dimensioni, disegni su carta, a matita, inchiostro e gouache, poi acquerelli, infine monotipi. Un'expo, insomma, davvero imperdibile. La mano della Brown, lo si deve ammettere, è capace di un certo prodigo: fa sembrare che dalla tela astratta di un Jackson Pollock si possa riplasmare un nudo, riconoscere un intreccio erotico, accertare una serpentina di corpi, ridare vita alla forma più compiuta dei cubisti e dei moderni.



Come scrisse Pia Capelli nel suo elzeviro dell'11 novembre 2011 per il Sole 24 ore: «Il sesso continua a comparire nelle sue tele, corpi più o meno definiti avvinti in abbracci profondi, impegnati a darsi piacere posizionando chi guarda nel ruolo del vouyeur, cieli che riflettono il rosa della carne, paesaggi turbolenti e frenetici con tavolozze accese o cacofoniche. Ma protagonista della pittura di Cecily Brown pare essere sempre, al di là del soggetto, la pittura stessa. Il gesto rapido e potente delle sue pennellate, a volte cariche a volte più leggere, la materia irrequieta del dipinto, il ritmo imprevedibile di forme che impediscono all'occhio di sostare su un punto solo della composizione, tutto questo trasmette il senso di un'intelligenza pittorica che lavora sul processo stesso della creazione.»

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