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Come distruggere l’immagine di un PM

Come distruggere l’immagine di un PM

Un caso ancora poco chiaro quello del PM Roberto Staffa in un momento politico molto delicato del nostro Paese.

Giovedi, 24/01/2013 - Le immagini che da ieri ridondano su tutti i TG nazionali sono quelle di un uomo, un PM impegnato nella lotta antimafia, accusato di concussione e corruzione. Definito da chi lo conosce bene come “gentiluomo”, ideatore, insieme a altri magistrati e giornalisti, di una band musicale, che allietava le serate a carattere familiare nei tranquillissimi club privati romani. Una vita difficile quella di un PM, o di un giudice, se ricordiamo l’episodio dei “calzini turchesi” presi di mira dai giornali di una corrente politica intollerante al sistema giudiziario. Una vita difficile, quella dei PM impegnati nell’ambito del penale, una vita socialmente selettiva se non si vuole finire con le carriere compromesse. Una vita, spesso interrotta prematuramente, quella di altri magistrati (ad esempio quella di Falcone e di Borsellino), vita immolata, proprio come in un voto religioso, all’ideale giustizia. A chi ha sentito cantare e suonare la band Dura Lex appare subito chiaro che il “narcisismo” riportato dai media per definire l’immagine dell’uomo- PM, riguarda invece la ricerca del bello, intesa in senso artistico, della compensazione alle tante brutture che la devianza comporta in tutti i suoi aspetti. Proprio per questo resta difficile credere alla verticale scissione tra la ricerca della bellezza e del suo doppio, se non, semmai, come immedesimazione empatica nella stessa, fino a rimanerne invischiati nella perdita del sottile confine che segna la normalità dalla devianza. I fatti però sono ancora tutti da chiarire, e qualora l’errore umano fosse verosimile, resta pur sempre la voracità dello stile giornalistico, delle immagini proiettate solo per diritto di cronaca, che possono dilaniare irreversibilmente la vita di una persona e di un’intera famiglia senza che alcun impedimento intervenga a rispettare tutti nella sofferenza di una tragedia o nel dolore della vergogna. Perché non pubblicare allora in prima pagina le foto dei tanti stupratori di donne? Magari qualche altra donna vittima di tali efferate violenze potrebbe riconoscere colui che, senza pentimento, ne ha distrutto senza possibilità di scelta la vita. In questo caso, invece, a chi potrebbe giovare riconoscerlo?

Al di là dei supposti gusti sessuali o dei capi d’imputazione del PM, tutti da chiarire, resta il fatto che in un Paese come il nostro, il terzo nel mondo per la corruzione, si conosce ormai troppo bene la pericolosa macchina del fango, quasi automatizzata in periodi preelettorali o nei momenti che precedono qualche incarico importante delle persone mediaticamente e sistematicamente massacrate.

Forse tra un altro ventennio in tanti conosceranno o si riconosceranno solo quando la devianza organizzata non occuperà più posti strategici nell’ambito istituzionale.

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