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"Come vento cucito alla terra" di Ilaria Tuti

Da una parte ci sono le donne chirurgo, dall’altra gli uomini soldato e ricamatori dall’altra, entrambi «condividevano sforzi e destini». Tutto si mescola, tutto si confonde tra le orlature fatte di fili di cotone

Lunedi, 06/02/2023 -

Ilaria Tuti fa capire con la lapidaria sentenza «noi donne non siamo mai chiamate a decidere della guerra, solo a riparare a ciò che fa», che si legge nelle prime pagine di "Come vento cucito alla terra" (Longanesi editore, 2022) come alle donne e in particolare per Cate Hill madre di una bambina e senza marito, italiana (quando essere italiani era una vergogna), ginecologa e chirurga non ci siano grandi opportunità, nelle società inglese del 1914, a pochi mesi dalla Prima Guerra Mondiale.

Andare in Francia come chirurga che opera nelle zone di guerra con le Women's Hospital Corps (WHC), la prima unità medica fondata da Flora Murray e Louisa Garrett Anderson, è l’unica possibilità che Cate ha, per provvedere dignitosamente alla figlia.

Cate è una donna che svolge il suo lavoro con diligenza e con una certa passione. «Riparare. Ricucire. Correggere il destino, quando era possibile. Serviva vocazione, serviva l’ambizione folle di diventare ciò che a una donna veniva ripetuto di non poter essere», scrive l’autrice quando parla di Cate. La giovane donna salva vite, ricuce ferite di varia natura, parla con i feriti. E percepisce, come tutti, che quella sarà una guerra lunga e faticosa.

Ilaria Tuti descrive Cate con grande interesse, ma anche con grande sensibilità. E dimostra come la sua vita non sia solo quella di essere una buona chirurga o di essere una medica, ma anche una madre dedita alla propria figlia, che durante la Grande Guerra ha dovuto lasciare.

Nonostante lo sconforto che devono provare quando si trovano sole in mezzo alla guerra. «Quando le prime barelle furono adagiate a terra, per le donne fu uno shock. Nessuno doveva aver prestato aiuto a quegli uomini da quando avevano lasciato il fronte. Indossavano ancora le divise sporche di sangue e fango, spesso strappate. L’odore era immondo, annunciava ferite lasciate macerare per giorni, fino a suppurare. Su alcuni di loro camminavano indisturbati grassi pidocchi», si legge ad un certo punto.

La vita di Cate si lega con quella di un giovane tenente di nome Alexander dell’esercito che si trova in piena battaglia. E che ad un certo punto rimane ferito. No, non si tratta di una prevedibile storia d’amore. Il tenore del libro prescinde da questo (alla fine sapremo che i due si sposeranno e che formeranno una famiglia, ma è una specie di nota finale, che non toglie nulla alla narrazione vera e propria), per raccontare un’altra storia: quella dei soldati convalescenti che diventano ricamatori, uomini che trovarono ristoro per i loro pensieri e sollievo nell’arte del ricamo. Cosa che all’inizio guardano con sospetto, ma che poi riesce a persuaderli. (Oggi una cosa del genere si fa con la lettura dei libri, con la musica, ad esempio)

Lo stesso tenente, che si sente responsabile della vita dei suoi uomini feriti come lui, diffida da quelle “cure dell’anima”, per poi comprenderne il valore.

Ma Ilaria Tuti racconta anche la solidarietà e il profondo legame che questi uomini, che hanno condiviso il campo di battaglia, hanno costruito tra di loro. Uomini di estrazioni sociali diverse che si spalleggiano e si proteggono. E proteggono anche chi, come il giovane soldato, all’apparenza omosessuale, dovrebbero discriminare.

Due storie, dunque, due realtà che la scrittrice friulana ‘rammenda’ con maestria, tanto da risultare piacevoli e interessanti. Forse a un certo punto si avrà l’impressione di aver iniziato a scorrere le righe di un altro romanzo, poiché si passa dal campo di battaglia alla pace e alla desolazione della convalescenza nell’Endell Street Militar Hospital.

Da una parte ci sono le donne chirurgo, dall’altra gli uomini soldato e ricamatori dall’altra, entrambi «condividevano sforzi e destini». Tutto si mescola, tutto si confonde tra le orlature fatte di fili di cotone. Questo perché «ai soldati ricamatori, come avevano iniziato a chiamarli le donne di Endell Street, era stata assegnata una stanza [...] Erano state predisposte sedute adeguate e un lungo tavolo di noce [...] cestini colmi di scampoli di tessuto, fili di cotone e seta e lana di ogni sfumatura immaginabile, aghi di diverse misure, modelli ricalcabili tra i quali scegliere, gessi e matite per tracciare i contorni della fantasia. [...] C’era chi ricamava il proprio figlio in arrivo, chi per ricordare un compagno caduto, chi Dio, chi il paese di nascita, o la guerra. Alexander aveva scelto la speranza che camminava con il passo del cambiamento».

Ilaria Tuti investiga su una storia poco nota.

Durante la Grande Guerra la Croce Rossa Francese, che all’epoca necessitava di un’urgente assistenza sanitaria, per l’elevato numero di soldati feriti, diede un’opportunità alle donne medico inglesi di diventare chirurghi.

Essere donna e chirurgo era vista con un certo sospetto in Inghilterra, lì dove, sì, si dava alle donne il permesso se paganti e se con una solida preparazione, frequentare Università specializzate, solo per donne ma non la possibilità di esercitare la professione, se non nell’ombra di luoghi malfamati e periferici.

In Francia alle WHC vennero affidati ben due ospedali: il primo improvvisato presso l'Hôtel Claridge di Parigi, e il secondo in un piccolo albergo vicino Boulogne. 

Ad un anno dallo scoppio della guerra, le lady doctors, come venivano chiamate, convinsero anche il British War Office.

Nel 1915 Sir Alfred Keogh, capo della Royal Army Medical Corps (RAMC), invitò Murray e Anderson a fondare un ospedale militare a Londra: l’Endell Street Military Hospital (ESMH), a Convent Garden, dove risuonava a gran voce il motto delle suffragette, “Deeds not words” (fatti non parole).

Alcuni personaggi sono d’invenzione, ovvio. Altri come l’attore britannico Ernest Thesiger (ha interpretato il dottor Septimus Pretorius nel film di James Whale, Bride of Frankenstein) è stato il personaggio storico che ha permesso alla scrittrice di conoscere la storia delle donne medico e quella dei soldati ricamatori. «Mi stavo documentando per una storia completamente diversa, quando mi sono imbattuta per caso nella vita di Ernest Thesiger e in particolare nella sua attività di ricamo svolta presso gli ospedali militari durante la Prima guerra mondiale. [...] A quel punto, avevo bisogno di un’ambientazione ed è stato naturale cercare notizie su un ospedale qualsiasi, purché realmente esistito - che potesse fare da sfondo alle vicende», dice alla fine del libro la scrittrice.

 


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