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Detenzione domiciliare: la pronuncia della Consulta sulla differente disciplina per madre e padre

Detenzione domiciliare: la pronuncia della Consulta sulla differente disciplina per madre e padre

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 219, depositata l'11 dicembre 2023, ha dichiarato legittima la disciplina della detenzione domiciliare prevista per i padri condannati

Mercoledi, 17/01/2024 - La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata con ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Cosenza, del 12 dicembre 2022, in ordine all'art. 47-ter comma 1, lettere a e b, della L. n. 354/1975 ( Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà), con riferimento agli artt., 3 e 31, comma 2 Cost., nella parte in cui prevedono una disciplina differenziata per la concessione della detenzione domiciliare ordinaria della madre e del padre di minori degli anni dieci.
Dalla lettura, rispettivamente, delle lettere a e b dell'art. 47-ter, comma 1, ordinamento penitenziario, si evince che mentre le madri che convivono con il proprio figlio possono essere ammesse alla misura della detenzione domiciliare allorquando debbano scontare una pena detentiva non superiore a quattro anni, i padri possono accedere alla misura alternativa solo laddove esercitino la responsabilità genitoriale e risulti che la madre sia deceduta, ovvero “assolutamente impossibilitata a dar assistenza alla prole”.
Secondo il giudice a quo, ciò sarebbe in contrasto sia con l'interesse del minore a mantenere un rapporto continuativo con entrambe i genitori, sia con il parametro della ragionevolezza sotto il profilo della intrinseca incoerenza, contraddittorietà ed illogicità rispetto al cosiddetto “ diritto inviolabile alla bigenitorialità”.
La disciplina censurata, inoltre, risulterebbe irragionevole anche in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto favorirebbe il rapporto tra madre e figlio a scapito del padre.
La Corte rileva che le questioni, così come sollevate, investono solo la lettera b del richiamato art. 47-ter, riguardante la situazione del padre detenuto ed il diritto del minore ad una relazione continuativa con entrambe i genitori, come riconosciuto dal nostro ordinamento, agli artt., 315-bis commi 1 e 2 e 337-ter comma 1 nonché da una pluralità di strumenti comunitari ed internazionali.
Il riferimento è all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, (firmata a Roma il 4 novembre 1950 e recepita dall’Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848), il quale nel sancire il diritto al rispetto della vita privata e familiare, impegna gli Stati membri dell’Unione ad assicurare il mantenimento dei legami familiari, anche in situazioni di separazione del genitore dal minore. Si pensi, poi, all’art. 24, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, ( adottato a New York il 19 dicembre 1966 e recepito dall’Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881), secondo il quale ogni fanciullo ha diritto alle misure protettive richieste dal proprio stato minorile, le quali devono essere predisposte non solo dalla famiglia ma anche dalla società e dallo Stato. E, soprattutto, ci si soffermi sull’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, e ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, in forza del quale in tutte le decisioni riguardanti i fanciulli, siano esse di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente nonché, infine, sull’art. 9, comma 3, della stessa Convenzione, il quale riconosce al fanciullo separato da uno o da entrambi il diritto di intrattenere regolarmente con gli stessi rapporti personali e contatti diretti, a meno che ciò risulti contrario all’interesse preminente del fanciullo. Occorre rilevare che l'art. 47 ter comma 1 lettera b relativo alla detenzione domiciliare ordinaria, stabilisce che “il padre esercente la responsabilità genitoriale, di prole inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole”, può espiare nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora (ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza) la pena della reclusione non superiore a quattro anni ( anche se costituente parte residua di maggior pena), nonché la pena dell'arresto. Diversamente, la detenzione domiciliare speciale, introdotta dalla L. n. 40 del 2001, (Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori”), è applicabile “quando non ricorrono le condizioni di cui all'art. 47 ter e quindi quando la pena da scontare è superiore a quattro anni” e consiste nell'esecuzione della pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, in luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza e, solo in caso di donne incinta o madri di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente, di case famiglie protette. La Consulta, nella sentenza in commento, evidenzia che, per costante giurisprudenza, il principio del preminente interesse del minore impone una considerazione attenta degli interessi dello stesso in ogni decisione che lo riguarda – sia essa giudiziaria, amministrativa e legislativa – ma non ne garantisce la prevalenza automatica su ogni altro interesse, individuale o collettivo. “A meno di sostenere che l’esecuzione di una pena detentiva sia sempre costituzionalmente illegittima allorché la persona interessata abbia un figlio minore, è giocoforza ammettere che la compressione dell’interesse di quest’ultimo al rapporto con il genitore detenuto o internato costituisca, a certe condizioni, una conseguenza inevitabile, e costituzionalmente non censurabile, dell’esecuzione della pena”, finalizzata ad assicurare un percorso rieducativo del condannato (art. 27, comma 3, Cost.), essendo garantito l' interesse del minore a godere di una relazione diretta almeno con uno dei due genitori proprio dalla vigente disciplina che assicura al padre che sia stato condannato a pena detentiva ed eserciti la responsabilità genitoriale, uguale possibilità di accesso alla misura alternativa attualmente riservata alla madre, laddove quest’ultima sia deceduta o sia altrimenti impossibilitata a dare assistenza alla prole (art. 47-ter, comma 1, lettera b, e art. 47-quinquies, comma 7, ordin. penit.), a condizione che il condannato o la condannata non presentino una spiccata pericolosità sociale, come richiesto dall’art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit. per quanto concerne la detenzione domiciliare speciale ovvero dalla costante giurisprudenza di legittimità per quanto concerne quella ordinaria (Cass., Sez. I, 27 dicembre 2022, n. 49276).
La Consulta evidenzia che nell'ampliare la possibilità di accesso della madre di figli in tenera età a forme di esecuzione extramuraria, il legislatore ha tenuto conto del numero ridotto di donne in proporzione alla popolazione carceraria complessiva (pari, secondo le statistiche del Ministero della giustizia, al 30 novembre 2023, al 4% totale).
Allo stato attuale, evidenzia la Corte, l'estensione delle stesse regole attualmente vigenti, per le detenute madri anche ai detenuti padri, non può ritenersi “costituzionalmente necessaria” dal punto di vista della tutela degli interessi del minore a mantenere un rapporto continuativo con almeno uno dei genitori, rapporto che la vigente disciplina assicura. In base alle predette considerazioni, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1, lettera b), della legge n. 354/1975, sollevate in riferimento agli artt., 3 e 31, secondo comma.

Avv. Francesca De Carlo

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