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Dietro la cornetta: mi chiamo Elena e lavoro in un call center

Dietro la cornetta: mi chiamo Elena e lavoro in un call center

Il primo giorno di prova mi dissero "O prendi un appuntamento, o vai casa". Una voce e la sua storia...

Martedi, 25/07/2017 -
Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza.

Rita Levi Montalcini



Sono Elena, ho 24 anni e vivo in Veneto da quasi 6 anni. Ho studiato moda, un mondo che non mi ha mai appassionata particolarmente. Se non fosse che le mie insegnanti delle medie reputavano fossi più portata per un futuro pratico che teorico. Insegnanti che non mi hanno trasmesso la voglia dello studio, o meglio, la curiosità per la conoscenza del mondo. Sottovalutando la mie capacità di apprendimento hanno "deciso" che io non fossi portata allo studio. Il tempo, la scuola, la mia dedizione e voglia di rimettermi in gioco hanno poi messo in discussione tutto. La scuola, assieme ad alcuni professori e ad un ambiente, sebbene movimentato, mi ha permesso di diplomarmi con il massimo dei voti. Mi sono appassionata alla matematica, al francese, alla storia del costume e a Brunelleschi.



Dopodichè, sempre indirizzandomi verso qualcosa che fosse più pratico, sono andata alla ricerca di un corso di disegno che migliorasse le mie capacità e potesse far fruttare qualcosa di concreto. Così, conobbi la Comics. Un'accademia privata, con corsi a pagamento di diversi generi. Una realtà colorata e un pò di nicchia, che si scostava decisamente con quelle dei miei coetanei, che, a differenza mia, erano alle prese con test d'ingresso in diverse Università.



Entrare in quel mondo è stata un'esperienza che probabilmente non dimenticherò. I miei compagni erano entusiasti, strani, appassionati. E in quei tre anni, ho pensato veramente di poter diventare qualcuno. Purtroppo i sogni e i desideri spesso non coincidono con le necessità, le spese e i bisogni. Essendo una fuorisede a malapena riuscivo a farmi da mangiare e spesso non riuscivo a prendere il materiale che mi veniva chiesto. Riuscì a prendere un attestato come Illustratrice e, salutato quel mondo, mi ritrovai "confusa e felice" a pensare "e adesso?"

Il mio desiderio era quello di continuare su quella strada, prendere un master, studiare grafica, scrivere. Alla fine però, mi sono ritrovata ad essere costretta a cercare un lavoro per potermi pagare l'affitto.



E' stata un'impresa ardua. Dopo un anno di attese, viaggi in autobus, stampe, il cercare di avere un aspetto "carino e simpatico", informarmi sull'origine di un famoso marchio di gelati, studiare le diverse tipologie di vini per un colloquio, far finta di essere realmente interessata alleloro aziende e di avere passione per il ruolo da cameriera, cimentarmi anche nella parte, riuscendo a non versare un solo calice di prosecco e sentirmi rifiutare "perchè sai, il loro dipendente di fiducia è tornato dalle ferie " è un qualcosa che mi ha provocato un'amarezza e uno stato di depressione che non avrei pensato di poter provare a 22 anni.



Dopo una seri di sfortunati eventi, dopo il mio 23esimo compleanno, fui contattata da un'azienda di telemarketing. Per quanto avessi scartato quel settore per le mie scarse capacità comunicative, ero felicissima. Mi presento al colloquio in un ambiente di sole donne che mi esaminano dalla testa ai piedi. La capotelefonista mi interroga e mi spiega in cosa si caratterizza il lavoro. Avrei lavorato dalle 9, alle 15/ 15,30. dal lunedì al giovedì. Il primo giorno di prova mi disse "O prendi un appuntamento, o vai casa", con tono di minaccia. "Va bene" le risposi, inespressiva. Il secondo giorno, con lo stesso tono, "Con un apputamento al giorno non concludiamo nulla, devi darti da fare". "Va bene" le risposi, di nuovo. Fatto sta che un po' per le pressioni che mi metteva, un po' per la fortuna del principiante, decise che meritavo il posto.



Ed ecco che ebbe inizio la mia fantastica avventura nel mondo dei call center.

Per un anno mi svegliai alle 6.30, prendendo un autobus alle 7.20 e un altro alle 8. Per un anno cercai di arrivare sempre prima delle 9, anche a volte per prendere un caffè. Non ero ben vista da tutte. Diciamo che non mi ero nemmeno impegnata per farmi amare più di tanto. Col senno di poi, credo di non aver sbagliato.Eravamo 14 quando sono arrivata, e già avevo individuato i diversi gruppi. Le lecchine, che si facevano amare dalla responsabile, le maestrine che avevano dei commenti sgarbati per ogni occasione e le anticonformiste, un po' più giovani, più ingenue e meno furbe, di cui facevo parte, restando sempre un po' sulle mie.

Facevamo orari massacranti, dalle 9 fino a quando il lavoro non era terminato. L'entusiasmo che fino a prima mi aveva permesso di percepire uno stipendio molto molto modesto, si era trasformato in ansia e frustrazione. Soffrivo in silenzio ogni volta che le mie colleghe venivano pubblicamente umiliate e spesso anche offese; quando a testa bassa, le vedevo con gli occhi pieni di lacrime. Pensavo a quanto sia ingiusto, poco umano. D'altra parte il mondo, la gente, i media conoscono solo una faccia della medaglia. In quegli stabili adibiti ad ufficio ho visto delle mamme, ho visto delle mie coetanee, ho conosciuto delle donne che non hanno una famiglia su cui contare.

La cattiveria è simile alla fame di una leone che corre e uccide chiunque lo ostacoli. Così, vedevo le mie colleghe, affilare le unghie e combattere per arrivare a fine mese.

Io? Beh, dovetti adattarmi pian piano a quel gioco di sopravvivenza. Il mio muso lungo divenne un sorriso e finsi con successo di essere d'accordo con le dinamiche che dirigeva la responsabile. Dinamiche di una cattiveria inaudita.

Fu così che venni accolta nel suo circolo e per questo riuscì a tenermi stretto quel posto, che in fin dei conti, era la mia unica fonte di guadagno.

Questo, fino a quando quell'ufficio chiuse e io dovetti fare i conti con un contratto d'affitto che sarebbe scaduto di lì a poco e l'impossibilità di potermene permettere un altro.

Trovai dopo circa 6 mesi, una sistemazione temporanea e un nuovo lavoro vicino a casa. Ovviamente non potevo che essere contattata da un call center. Il principio è lo stesso. Si lavora dalle 9 in poi. NON si va in bagno prima delle 11, NON si va prende il caffè prima delle 11, NON bisogna perdersi in chiacchiere. Si mangia UNA ALLA VOLTA. Si prende il caffè UNA ALLA VOLTA. NON bisogna lamentarsi. NON bisogna fare polemica al telefono. BISOGNA sorridere, anche dopo 200 telefonate e 150 vaffanculo.

Il grado di cattiveria è decisamente diminuito, le condizioni che ci vengono imposte e il modo in cui veniamo considerate assolutamente no.



Sono convinta che un giorno riuscirò a realizzare quello che desidero. Ma, nel frattempo, vorrei tanto, per me, per il tempo in cui non avrò altro che questo, per le mie colleghe, per le loro famiglie, i loro figli, che veramente la gente si rendesse conto che dall'altra parte del telefono c'è qualcuno che ha solo bisogno di portare qualcosa a casa.

Fanno in continuazione servizi sulle truffe telefoniche, sulla gente che, povera, viene tartassata da chiamate di ogni genere, sui call center in Albania.

Siamo in un ufficio e sediamo su delle comode sedie e, perchè no, abbiamo climatizzatori d'estate.

Ma posso assicurarvi che c'è ben altro, oltre una sedia, un telefono e delle cuffiette.

Nessuno si è mai soffermato a pensarci. Ma voi fateci caso e siate gentili.

Potremmo essere vostra mamma, vostra sorella o, peggio, vostra figlia.

In attesa che la mia vita prenda una piega diversa e del tutto inaspettata; prendere una bella macchina, scrivere un romanzo;

Spero che le mie parole e le mie esperienze possano farvi riflettere.

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