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Donne e guerre

Donne e guerre

I recenti accadimenti bellici e le scelte conseguenti ci riportano ad interrogarci sulla relazione donne e guerra, Anche in questo caso le donne devono opporsi ad una omologaziome e operare una scelta consapevole in grado di allontanarsi dalla retorica d

Giovedi, 24/08/2023 - DONNE E GUERRE

Già dalla seconda guerra mondiale i conflitti armati riguardano, quanto a morti e feriti, più i civili che i militari. La vita quotidiana nelle zone dove si svolgono i combattimenti, sempre più concentrati nelle città, è pesantemente compromes­sa e le donne sono le principali protagoniste della lotta per la sopravvivenza in queste situazioni estreme.
Nelle zone di guerra donne e ragazze rischiano di subire violenze da parte dei combattenti. In anni recenti, in molti conflitti lo stupro è stato usato deliberatamente come arma di guerra e strumento di pulizia etnica. Spesso nella fuga sono costrette a lasciare indietro mariti e parenti che combattono, che finiscono imprigionati, che sono stati uccisi.
Anche nei campi rifugiati le donne possono trovarsi di fronte a situazioni difficili, specie se sono capofamiglia e devono provvedere da sole ai loro figli.
Donne e bambine attualmente sono circa la metà dei rifugiati, sfollati interni e apolidi nel mondo. Le donne non accompagnate, le madri sole, le donne che aspettano un bambino, le donne anziane o disabili sono fra le più vulnerabili.
Ma la guerra è una situazione limite, di sospensione della normalità, dove tutto è condotto agli estremi e nella storia si moltiplicano casi di donne che usano le armi, sia negli eserciti regolari sia nelle formazioni di guerriglia: la guerra come uno spazio di liber­tà, di azzeramento dei normali vincoli sociali, di superamento delle competenze e spettanze 'femminili'. Una occasione per mostrare i propri talenti.
Miriam Magai a proposito della partecipazione di donne alla Resistenza italiana armata, fa riferimento a“... il desiderio di riconoscimento, di una gratifica­zione, la ricerca di una uguaglianza ottenuta sul campo”. (Mafai M., "Pane nero", Ediesse, 2008)
Ritanna Armeni titola proprio "Una donna può tutto" il suo resoconto su vicende della Seconda guerra mondiale che videro protagoniste delle giovani russe. Erano aviatrici che facevano parte di un reggimento esclusivamente femminile e che sparsero il terrore tra le truppe tedesche occupanti bombardandole solo di notte, perciò vennero soprannominate “streghe della notte”. Una definizione che le riempì di orgoglio, per­ché desideravano ottenere un riconoscimento delle proprie capacità. (Armeni R., "Una donna può tutto. 1941: volano le streghe della notte", Ponte alle Grazie, 2018)
Tuttavia chiusa l’eccezionalità, a guerra finita, la società ha poi rapi­damente ricondotto le donne in armi sui sentieri tracciati per il loro genere. In Italia alle sfilate di formazioni partigiane successive al 25 Aprile, le donne ,che ne avevano fatto parte, non parteciparono. In Russia ugualmente molte nascosero di essere state al fronte, altrimenti non avrebbero mai trovato marito.
Ma il ruolo delle donne e della loro esperienza diventa essenziale soprattutto nei processi di ricostruzione della pace dopo i conflitti militari. La Ruta pacífica de las Mujeres, in Colombia, e i Tribunali delle Donne nel mondo, sono esempi di approcci femministi e femminili alla giustizia in grado di mettere in discussione la tradizionale giustizia istituzionale e colmarne i numerosi vuoti, attraverso metodologie e pratiche alternative.
Queste iniziative dal basso ,grazie al lavoro di raccolta delle testimonianze, si fanno portavoce delle vittime di guerra, cui corpi e vite hanno subito i crimini e le perdite più brutali, e che altrimenti non avrebbero modo di vedere riconosciuta la propria verità., l’esperienza personale e il racconto diventano strumenti di cura collettiva e di incontro, minando le fondamenta della cultura militare e spogliando la guerra di ogni giustificazione o legittimità.
Viriginia Woolf sviluppa la sua riflessione a partire dalla lettera di un avvocato che la interroga su “cosa si deve fare per prevenire la guerra”, sottintendendo cosa possono fare le donne per contribuire a tale progetto. La risposta che Woolf fornisce è precisa e concreta: si mettano a disposizione tre simboliche ghinee: una per costruire il fondo per la istruzione femminile, l’altra per garantire alle donne l’accesso alle libere professioni e l’ultima per creare un’associazione femminile pacifista chiamata “società delle estranee”
“Fuori la guerra dalla Storia” si legge nei cartelli di protesta durante le manifestazioni delle Donne in Nero – movimento internazionale di donne contro la guerra e per la “demilitarizzazione” delle menti.“Il militarismo non riguarda solo l’esercito, il servizio militare, ma ci sono anche i valori trasmessi dal militarismo – nazismo, gerarchia, cieca obbedienza, riposo del guerriero, xenofobia, ecc.; sono valori che pervadono la famiglia, la scuola, l’intero ambiente sociale” – così ricordano le Donne in Nero di Belgrado, nel libro “Donne per la Pace” (1997).
La Convenzione mondiale sui diritti umani del 1983 estese il dibattito sulla condizione femminile e per la prima volta si aprì uno spazio per ragionare di donne e conflitti. Le motivazioni che spinsero a interrogarsi sul tema fu fornito dalle guerre jugoslave, che proprio in quegli anni devastarono i territori dei Balcani con violenze sistematiche e massive. Tra le atrocità commesse spiccò la violenza sulle donne, fisica e soprattutto sessuale, usata come vera e propria strategia militare per umiliare ed annientare ulteriormente le popolazioni nemiche.
Il riconoscimento dell’impatto sproporzionato che le guerre hanno sulle donne fu solo il primo passo verso un effettivo sguardo di genere alle questioni che riguardano la sicurezza. Negli anni successivi alla Convenzione di Vienna si sviluppò progressivamente la cosiddetta “Agenda donne pace e sicurezza”, composta da dieci risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tra il 2000 e il 2010 e volte a ottenere l’uguaglianza di genere in tutti gli aspetti di questo ambito specifico. Tra gli obiettivi delineati compaiono con maggiore insistenza l’aumento della rappresentazione e della partecipazione femminile nei processi decisionali e di gestione dei conflitti e il monitoraggio dei casi di violenza sessuale nei contesti di guerra. Con altrettanta frequenza viene enfatizzata l’inestricabile connessione tra pace e donne, come se la realizzazione e il mantenimento di relazioni pacifiche fosse imprescindibile dall’intervento di una donna e dalla sua intermediazione.
Ma la guerra ci riguarda tutti, la sua logica ci appartiene, anche quando sembra lontana, continua ad incidere pesantemente sulla vita delle nazioni. i nostri territori ospitano basi militari, producono armi, i nostri Governi ne autorizzano la esportazione. Il conflitto Russo-Ucraino, trascinatosi per anni ,senza che la diplomazia mondiale se ne curasse ,ed esploso nella invasone della Ucraina da parte della Russia ci ha abituato non solo ad immagini di devastazione e distruzione, ma immagini stereotipate dove ci sono principalmente uomini nei consigli di guerra con le loro mostrine e le tenute da combattimento e donne davanti ai segni di devastazione delle case e delle città.
“La guerra non ha il volto di donna” della bielorussa, Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievic, perseguitata dal regime di Putin, viene speso citata quando si parla della relazione tra donne e guerra. Ma come affermato in un recente articolo di Renata Pepicelli su Il Manifesto “ non è l’essere biologicamente donne che fa rifiutare la guerra, , ma la posizione che la donna ha nella società, nel mondo quando c’è la guerra, Nella storia recente donne di potere come Thatcher, Clinton; Meir, Race hanno sostenuto la necessità di guerre, così come negli ultimi anni movimenti conservatori , e non solo, hanno espresso leadership femminili (Le Pen, Meloni) a favore di logiche di intervento militare e di contrapposizione noi/loro”
Anche in questo caso le donne devono opporsi ad una omologaziome e operare una scelta consapevole in grado di allontanarsi dalla retorica della donna votata all’accudimento, al privato e quindi geneticamente portata a difendere la pace.

In campo contro la guerra sono le donne a cui non è dato diritto di scelta, che subiscono le scelte del potere, che vedono della guerra una fucina ulteriore di diseguaglianze e discriminazioni E’ il sentire da vicino la follia e l’atrocità della guerra, la fragilità delle vittime , lo scempio dei diritti più elementari, mentre dilaga la retorica del nazionalismo, del patriottismo, dell’emergenza nazionale

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