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E se cominciassimo a cedere lo scettro di casa?

E se cominciassimo a cedere lo scettro di casa?

La cura della famiglia in Italia si regge sulle donne e ce ne stiamo accorgendo ancora di più in questo tempo in cui la casa è diventata il fulcro della vita familiare

Giovedi, 23/04/2020 - Leggo la sempre attenta analisi di Chiara Saraceno sulla organizzazione familiare di chi ha figli minorenni, nella fase che, speriamo presto, sarà avviata nel nostro Paese per la ripresa delle attività produttive. La fotografia della sociologa è sempre molto lucida e reale. La cura della famiglia in Italia si regge sul carico mentale e sulle spalle delle donne: le cause per questa situazione che ci portiamo dietro da decenni, se non da secoli, sono molteplici.

A differenza degli anni Cinquanta dove il modello familiare e lavorativo era “…imperniato sull’uomo procacciatore di reddito e donna addetta al lavoro domestico e alla cura.” – come ricorda Saraceno – oggi la situazione è completamente differente perché i due terzi delle donne nelle famiglie sono occupate anche in un lavoro retribuito. Questo però non cambia lo stato delle cose e se non sarà organizzato un piano che aiuti le famiglie con minori ad affrontare questa “fase 2” mettendo in campo strumenti che possano nello stesso tempo dare una risposta ai bisogni dei genitori e garantire un servizio educativo ai ragazzi e alle ragazze, saranno per forza di cose le donne a rischiare maggiormente e a dover forse rinunciare al lavoro retribuito rispetto ai loro compagni perché sappiamo bene che in una coppia il gap salariale, sempre a loro sfavore incide e tanto sulla scelta di chi prende congedi parentali o di chi al limite lascia il lavoro.

Quello che però mi interessa rilevare è che oltre a queste cause reali ed oggettive ce ne sono, come sappiamo, altre meno visibili, legate agli stereotipi e ai modelli culturali che ancora condizionano pesantemente la società e la famiglia. Questa convivenza forzata in cui nella maggior parte dei casi entrambi i genitori sono stati presenti in casa poteva essere una sperimentazione per tante famiglie di una divisione più equa del carico mentale e della cura e l’accudimento dei figli. Continuo però a sentire amiche che lamentano la difficoltà di poter lavorare in smart working o in telelavoro perché costantemente disturbate dai figli che pretendono la loro attenzione, altre che si devono far carico di tenere i contatti con il corpo docente per la didattica a distanza, altre ancora che stanno impazzendo per trovare attività, giochi, letture per figli e figlie avendo esaurito tutta la cassetta degli attrezzi che avevano accumulato negli anni, molte che, dimentiche di qualsiasi tempo da dedicare a se stesse, hanno visto aumentare a dismisura il lavoro domestico, compreso quello dedicato a risolvere ansie, paure, momenti di depressione di figli, mariti, genitori anziani non trovando il tempo per gestire le loro di ansie.

Mi chiedo: ma dove sono i padri in tutto questo?

Perché in un momento di totale parità del tempo a disposizione non si suddividono equamente i compiti e sottolineo il carico mentale che l’organizzazione in questo periodo comporta?

Perché continuiamo negli appelli, nelle lettere, nelle analisi a parlare di quanto tutta l’organizzazione, attuale e futura, sia penalizzante per le donne, riferendoci ad una fotografia, sì reale, ma che sembra immutabile nel tempo e che niente e nulla, neanche un virus possa scalfire?

Vorrei prima di tutto che proprio le donne si interrogassero su questo perché io credo che al di là della reale situazione di svantaggio in cui le donne si trovano e a cui la politica non ha saputo fornire risposte per appianare quei differenziali salariali, quelle discriminazioni, quelle non pari opportunità con cui ogni giorno ci dobbiamo scontrare, sta anche a noi ribellarci e cercare di cambiare una situazione all’interno della coppia. Esorto soprattutto le più giovani a impegnarsi in questa rivoluzione, che costa fatica si sa, perché a volte è molto più facile caricarsi di un lavoro, occuparsene direttamente che pretendere di ribaltare una situazione che negli anni e nella nostra testa si è stratificata. E’ più facile non chiedere, non delegare forse anche perché spesso pensiamo di essere insostituibili, uniche, non intercambiabili.

Qualche cambiamento nelle giovani coppie c’è per fortuna, anni di lavoro e di martellamento da parte di madri che forse non sono riuscite a cambiare la loro di condizione, ma almeno hanno trasmesso alle figlie e ai figli la consapevolezza che un mondo più paritario è possibile, che parlare solo di conciliazione e non di condivisione del lavoro non ci avrebbe fatto fare grandi passi avanti, forse sono serviti…..ma ancora non basta.

Credo quindi che sia fondamentale che la politica, oggi più che mai, assuma decisioni che favoriscano e siano in grado di dare risposte alle famiglie per ricominciare una vita “normale”, in cui gli adulti possano riprendere con tranquillità e sicurezza le attività lavorative e i bambini e le bambine, gli e le adolescenti possano ritrovare i loro spazi con attività ludiche ed educative che consentano loro di riallacciare quelle relazioni nella scuola e negli spazi a loro dedicati che sono state bruscamente interrotte. Sfruttiamo però questa situazione anche per cercare di abbattere quegli stereotipi e quei modelli che ancora ci imbrigliano e che non consentono al nostro Paese di fare quel passo avanti nella parità che da troppo tempo aspettiamo.

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