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Gabriella De Gasperi, fotografa  -  di Attilia Garlaschi

Gabriella De Gasperi, fotografa - di Attilia Garlaschi

Il suo è un "un paziente lavoro di documentazione e il tentativo di decrittare la realtà, di raccontarla filtrata dal suo sentire"

Giovedi, 15/02/2024 - La suprema saggezza dell’immagine fotografica consiste nel dire 'Questa è la superficie. Pensa adesso, o meglio intuisci, che cosa c’è oltre, che cosa deve essere la realtà se questo è il suo aspetto'. Susan Sontag “Sulla fotografia”

Credo che questa frase rappresenti il senso del lavoro di Gabriella De Gasperi: un paziente lavoro di documentazione e il tentativo di decrittare la realtà, di raccontarla filtrata dal suo sentire.

“Trentina di nascita, ha vissuto a Milano, dopo molti anni trascorsi in altre città di Italia e all’estero, in Germania e in Olanda.”

Molto di quello che è scritto con la luce sulle sue fotografie riverbera il suo essere trentina: nei tanti pomeriggi che abbiamo trascorso insieme, sfogliando i suoi album fotografici mi colpivano l’essenzialità, il rifuggire dalle ridondanze, la precisione della descrizione.

Il suo sguardo era abituato a cambiare orizzonti.          

“Ha lavorato nel campo della formazione manageriale e degli adulti, affinando l’interesse per le persone e gli aspetti della vita quotidiana.”

Sono fondamentalmente i ritratti delle persone fotografate in vari angoli del mondo quelle raccolte nei suoi quaderni d’artista, ma soprattutto bambini e donne. Bambini che amava moltissimo come soggetti per il loro sguardo pulito e libero. Bambini di ogni parte del mondo che coglieva nella spensieratezza tranquilla del gioco o nella tragicità del quotidiano

Altro soggetto privilegiato le donne, donne che lavorano, donne che non si risparmiano e si caricano letteralmente sulle spalle la fatica di una famiglia e il peso di tutta una vita, colte nella loro semplice vitalità, volti stanchi o orgogliosi, sorridenti o enigmatici.

Il lavoro è un soggetto ricorrente, raccontato viaggiando in varie parti del mondo, spesso in Africa e in Asia. Una finestra insolita su sarti, mercanti, carrettai, lavandaie…

…Lavoro inteso spesso come sopravvivenza, dove il suo occhio fotografico catturava immagini di emarginati, anche buttati agli angoli delle strade della “civilissima” Milano, persone che vivono di espedienti, come il giocoliere che ci fa perdere il semaforo o il fisarmonicista in metropolitana.

Gabriella  fotografava anche per documentare i suoi viaggi, che avevano spesso uno scopo umanitario.

La documentazione su Cuba è un reportage del viaggio fatto con un gruppo di amici volontari che hanno portato medicinali agli ospedali della capitale. Un viaggio in Senegal ha avuto lo scopo di costituire una cooperativa di donne per l’inserimento nel mondo del lavoro

“Ha seguito molti workshop, in particolare con Francesco Zizola per il bianco e nero e Alex Webb per il colore, e ha esposto in diverse mostre.”

Gabriella mi ha raccontato dei suoi workshop fotografici che spesso si traducevano in safari fotografici in giro per la città per allenare lo sguardo: un occhio attento a cogliere i colori, i gesti, le situazioni.

Anche nel fotografare situazioni metropolitane, traspare una delle caratteristiche fondanti nella sua intera vita, la passione politica, evidentemente ereditata dalla famiglia. 

Sono diverse le evidenze della voglia di testimoniare, di trasmettere valori.

Non ha mai mancato una festa per il 25 aprile, a meno che non fosse in viaggio. Ha fotografato feste popolari, marce e manifestazioni per la pace, azioni di impegno civico…

Nel libro pubblicato con il fratello Marco sul diario di guerra del padre Augusto troviamo una riflessione che definisce molto chiaramente la sua personalità.

Da che parte stare ha significato per me superare il disagio di trovarmi a scuola, in una classe dove ero l’unica senza la tessera di Piccola Italiana  e dove una compagna ebrea stava in piedi in silenzio mentre dicevamo la preghiera.

Per me, e penso anche per lei, era un pesante disagio e una umiliazione, l’”essere diverse”, al centro dello stupore delle compagne, ma poi ho imparato, con molta fatica, che anche la diversità ha un valore.

Da che parte stare l’ho imparato dopo un anno di collegio sotto falso nome, l’ultimo anno di guerra. La nostra famiglia viveva in clandestinità allora e quindi mia sorella e io eravamo impossibilitate a frequentare la scuola pubblica. (…)

Ho discusso spesso, da adulta, con amici sull’opportunità per dei genitori di esporre i propri figliai rischi che ogni atto di opposizione pone, ma io so di aver imparato a interiorizzare man mano quei valori di coerenza e disciplina che hanno accompagnato la mia crescita e la mia vita”

Gabriella e Marco De Gasperi, Diario di guerra del cadetto Augusto De Gasperi Pag. 168

“Nel suo lavoro coincidono due passioni, la scrittura e la fotografia: il risultato si concretizza in racconti fotografici dove parole, immagini, poesie contribuiscono alla definizione di un mondo filtrato dalla sua sensibilità.”

Ho conosciuto Gabriella negli anni Novanta a un corso di narrativa presso la Casa della Cultura di Milano. Non ha mai letto un suo racconto.

Lei ascoltava. E elaborava. Perché il suo modo di raccontare era fatto di immagini: da qui il suo modo originale di narrare una storia.

Immagini e parole, spesso di poeti contemporanei o originari del paese che visitava.

Mi ha sempre affascinato il suo modo elegante di raccogliere le fotografie, la scelta del formato, della carta, delle trasparenze dei foglietti separatori, la grazia con cui sono rilegati.

L’impaginazione dei suoi quaderni è opera sua: si era comprata un Mac, e aveva imparato a usare Indesign, un programma di grafica professionale… ha spesso stampato in proprio le fotografie. Aveva una determinazione trentina per portare a termine un progetto.

Non ha mai smesso di imparare e di studiare. E di leggere.

Fotografava, stampava e poi ragionava e assemblava secondo un criterio unificatore: un esempio su tutti il lavoro “Sbattere contro un muro” che è stato stampato a proprie spese e poi regalato agli amici.

Questo è’ il progetto che preferisco perché c’è tutta Gabriella in quelle foto, il suo accorgersi delle cose e nobilitarle, una palestra per allenare l’occhio all’individuazione del quotidiano e dello straordinario che ci circonda.

Significa poter raccontare storie anche osservando i panni stesi della biancheria, o le biciclette, o le bancarelle del mercato, scovare esistenze nascoste, raccontando la solitudine di un anziano su una panchina o la gioia di un bambino che gioca, vivere costringendoci a immaginare, a volte  sognare, a stupirci. A provare emozioni.

Concludo il ricordo di Gabriella con un brano tratto da “La camera chiara, nota sulla fotografia” di Roland Barthes

“Per enumerare le ragioni diverse che ci possono spingere a provare interesse per una data fotografia (…) si può: sia desiderare l’oggetto, il paesaggio, il corpo che essa raffigura; sia amare o aver amato l’essere che essa ci fa riconoscere; sia restare meravigliati da ciò che si vede; sia ammirare o mettere in discussione la prova del fotografo ecc..

Questi interessi però sono vaghi, eterogenei; la tale foto può soddisfare uno di essi e interessarmi solo superficialmente; e se invece la talaltra m’interessa profondamente, allora vorrei sapere che cosa, in quella foto, fa fare tilt dentro di me.

Mi pareva così che la parola giusta per designare provvisoriamente l’attrattiva che certe foto esercitano dentro di me fosse la parola AVVENTURA.”

Roland Barthes La camera chiara. Nota sulla fotografia. Einaudi, pag. 20

L’avventura di Gabriella De Gasperi continua: le sue fotografie, i suoi libri d’artista stanno viaggiando per il mondo, un po’ come ha fatto lei per tutta la vita. Fanno ora parte di archivi fotografici e di mail art, di fondazioni di arte contemporanea e di biblioteche pubbliche, grazie all’impegno per la divulgazione e la conservazione delle sue opere di Antonella Prota Giurleo, di Antonio Sormani  e di Corrado Binda.

La sua non è una professione, è amore per la fotografia e curiosità per il mondo.”

Nota: il testo in neretto è tratto dalla biografia scritta da Gabriella De Gasperi per la sua mostra: “Cuba: reportage fotografico”, che si è tenuta a Caglio (CO) nell’estate del 2005


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