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I muri che difendono l'identità europea

I muri che difendono l'identità europea

Ungheria - Le barriere hanno limitato l’afflusso di migranti in Ungheria. Le divisioni della popolazione tra chi condivide le scelte governative e chi offre aiuto alle famiglie in transito

Massimo Congiu Venerdi, 04/12/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2015

Per circa tre mesi intere famiglie di migranti hanno dormito nei sottopassaggi della stazione Keleti (Orientale) di Budapest. Per loro le autorità cittadine avevano approntato delle aree cosiddette di transito dove gli “attendati” potevano usufruire di acqua corrente da bere e da usare per l’igiene personale.

La disposizione del comune non è stata apprezzata dall’estrema destra di Jobbik che vedeva nei migranti una presenza ingombrante dal punto di vista dell’igiene e della sicurezza pubbliche e chiedeva che i medesimi venissero cacciati dalla zona. In poco tempo è sorto un dibattito sulla qualità dell’accoglienza ai migranti da parte delle istituzioni e della popolazione. Quest’ultima è risultata divisa tra chi di migranti e profughi non voleva sentirne parlare e chi invece riteneva fosse il caso di assicurare aiuto e solidarietà a quanti fuggivano dai loro paesi e si trovavano temporaneamente in Ungheria. Nella maggior parte della popolazione si è diffuso un senso di inquietudine a fronte di un fenomeno che è indubbiamente di notevole portata, ma questo sentimento è stato accentuato e incoraggiato dalla propaganda governativa.

Prima dell’estate l’esecutivo ha inviato agli ungheresi un questionario chiamato “Consultazione nazionale sull’immigrazione e il terrorismo”; i destinatari dovevano rispondere a dodici quesiti sull’argomento, nessuno dei quali formulato in maniera tale da presentare in modo positivo la figura del migrante. In quel periodo a Budapest e nelle altre città ungheresi sono comparsi cartelloni recanti messaggi ai migranti, scritti in ungherese: “Se vieni in Ungheria non puoi portare via il lavoro agli ungheresi” oppure “Se vieni in Ungheria devi rispettarne la cultura e le leggi”.

In precedenza il primo ministro Viktor Orbán aveva chiarito il suo punto di vista sul fenomeno dell’immigrazione che considera negativo da tutti i punti di vista. Il premier non ritiene opportuno che genti di altre culture si mescolino agli ungheresi.

L’orientamento assunto dall’esecutivo ha provocato la critica dell’opposizione di centro-sinistra che ha definito vergognosa la campagna governativa sul tema migranti e ha stigmatizzato il nesso tra immigrazione e terrorismo stabilito dalle autorità di Budapest. Questa critica è condivisa dai settori progressisti della società civile che si sono attivati in modo concreto contro le iniziative del governo. Gruppi di persone hanno stracciato e pasticciato i manifesti in nome della disobbedienza civile; alcuni manifestanti sono stati fermati dalla polizia.

La disapprovazione degli ambienti ostili al sistema rappresentato da Orbán e quella della comunità internazionale non hanno fermato il governo ungherese che ha realizzato le barriere antimigranti illegali ai confini con la Serbia e la Croazia. Le due strutture sono state erette per fermare i numerosi migranti che, provenienti per lo più da Siria, Afghanistan, Iraq e Pakistan, seguono la cosiddetta rotta balcanica per entrare in Ungheria e da lì raggiungere i paesi più ricchi dell’Europa occidentale. Ancora adesso alcuni migranti arrivano ai punti di ingresso ufficiali al confine serbo-ungherese ma le domande di asilo vengono respinte. La sezione ungherese del Comitato di Helsinki fa notare che la cosa avviene in aperta violazione delle norme europee.

L’esecutivo difende la sua politica; insieme ai governi slovacco, ceco e romeno non ha mai condiviso il principio delle quote obbligatorie che secondo Orbán sarebbe accettabile solo se i paesi europei fossero realmente capaci di difendere i loro confini.

Per Budapest il modo migliore di gestire l’emergenza migranti è proteggere in modo efficace le frontiere nazionali e quindi quelle di Schengen. Il premier ungherese continua quindi a sostenere la linea della fermezza. Si trova in disaccordo con la politica dell’Ue sull’immigrazione che definisce fallimentare e aggiunge che non accetta la parte del cattivo europeo, lui che dà prova di impegnarsi per tutelare l’Europa da flussi sempre più imponenti di migranti che mettono in pericolo la sopravvivenza del continente inteso come entità culturale ben precisa.

Il governo ungherese ha intrapreso un percorso basato sulla difesa della sicurezza nazionale per recuperare i consensi perduti in questi anni ed è riuscito a ottenere dei risultati discreti stando ai sondaggi condotti nel mese di settembre.

Secondo l’Istituto Publicus l’opinione pubblica è moderatamente soddisfatta della gestione della crisi da parte dell’esecutivo ma la critica c’è e nei mesi scorsi ha trovato espressione in manifestazioni pubbliche contro la politica del governo e a sostegno dei migranti. “Not in my name”, è stato lo slogan del corteo che agli inizi di settembre si è diretto alla piazza antistante il Parlamento per protestare contro scelte che i dimostranti hanno definito prive di umanità.

Per i migranti attendati nei sottopassaggi della Keleti e per quelli che in questi mesi hanno raggiunto altre località del paese si è mobilitata la solidarietà sotto forma di raccolta di alimenti, abiti, medicine e beni utili alla cura dei bambini. L’iniziativa è stata realizzata grazie all’intervento di organizzazioni e gruppi di attivisti quali Migszol, Menedék, Amnesty International Hungary che si sono impegnate a fondo per sensibilizzare l’opinione pubblica all’argomento e provare ad aiutare concretamente i migranti.

Sempre a settembre questi ultimi si sono riuniti in gruppi che hanno deciso di lasciare la Keleti per recarsi a piedi al confine austriaco, visto che i treni non partivano e la situazione non si sbloccava. Lungo la marcia, durata fino all’arrivo dei bus inviati per accompagnarli alla frontiera, i migranti sono stati aiutati da ungheresi che hanno offerto loro acqua e generi alimentari.

#foto5dx# Secondo la recente inchiesta di Publicus la maggior parte dei connazionali di Orbán è contraria all’accoglienza dei profughi ma due terzi di loro ritengono che aiutarli sia un dovere morale. Non la pensano così le autorità di Ásotthalom, piccolo centro abitato prossimo al confine con la Serbia: alle stazioni dei bus sono comparsi dei cartelli che mettevano in guardia la cittadinanza dalle malattie contagiose diffuse dai migranti e ammonivano la gente a non toccare gli oggetti lasciati da loro per strada. Il sindaco di questo piccolo comune si chiama László Toroczkai ed è un esponente di Jobbik. Il mese scorso è apparso in un video mentre avvertiva minaccioso i migranti illegali di non entrare in Ungheria e soprattutto di non passare per la città da lui governata.

A settembre le immagini della operatrice tv che scalciava e sgambettava i migranti, tra essi un padre con il suo bambino, ha fatto il giro della rete dove i commenti sono stati numerosi. Tra essi quelli di alcune sue connazionali, unanimi nel considerare il gesto ancora più odioso proprio perché commesso da una donna.

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