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Il caso di Laura Massaro: ministro Bonafede sospenda il Decreto del Tribunale

Il caso di Laura Massaro: ministro Bonafede sospenda il Decreto del Tribunale

La PAS (Parental Alienation Syndrome) non esiste ma continua ad essere usata contro le donne e i minori. Lettera aperta al Ministro

Martedi, 15/10/2019 - La lettera inviata al ministro Bonafede
Gentile Ministro,
A nome delle nostre Associazioni, Le sottoponiamo il caso di una madre, Laura Massaro, perché voglia intervenire con i poteri del suo ufficio in maniera urgente. Sottolineiamo fin d’ora che non si tratta di una vicenda isolata ma di una vera e propria emergenza, che sta coinvolgendo questa e numerose altre famiglie.

Si tratta del caso di una madre che da anni è in lotta con le istituzioni giudiziarie per non essere separata e deprivata del proprio figlio da parte di un padre che mostra un’idea proprietaria del suo bambino. È un uomo che non ascolta il figlio nel suo desiderio di non essere sottratto alla madre e all’ambiente in cui è cresciuto; un bambino che ha paura del padre proprio in ragione dei suoi comportamenti persecutori e minacciosi contro la madre, per le conseguenze del maltrattamento assistito, divenuto reato autonomo con il codice rosso, da Lei strenuamente voluto.

Dalle tante registrazioni prodotte dalla signora Massaro si evince che i servizi, in occasione degli incontri padre-figlio o degl’incontri con i genitori, hanno più volte cercato di spiegare al padre che non può ottenere per via giudiziaria e in modo impositivo affetto e riconoscimento del legame da parte del figlio, ma che farà breccia nel cuore del bambino solo quando ne ascolterà le esigenze e cesseranno i suoi attacchi alla madre. Tutto questo lavoro da parte dei servizi, non portato però adeguatamente all'attenzione del tribunale, non ha purtroppo sortito alcun effetto sulle pretese del padre.

Ieri un decreto del Tribunale per i Minorenni di Roma ha stabilito - accogliendo in toto le conclusioni di una CTU che aderisce alla teoria della cosiddetta Alienazione parentale (definita come ascientifica e mai riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) - che il figlio sia collocato presso il padre, sotto la sorveglianza h24 di un operatore sociale (con quali fondi questo servizio h24?). Se ciò non bastasse al riavvicinamento tra padre e figlio, è previsto nello stesso decreto il suo inserimento in una Casa Famiglia, per “il tempo necessario al recupero del rapporto padre-figlio”. In altre parole, visto l’attuale desiderio del figlio a restare con la madre e la sua avversione al trasferimento presso il padre, il bambino - che ora ha nove anni - resterà in Casa Famiglia fino a quando sarà convinto ad accettare la convivenza con il padre. (Un lavoro di resettaggio mentale? Le critiche al sistema Bibbiano non valgono a Roma e non valgono per le madri, ma solo per le famiglie?).

Questa, che consideriamo come una grave distorsione giudiziaria, poggia su tre elementi che in sintesi Le raffiguriamo:

- il rifiuto o, meglio, le resistenze del bambino a incontrare il padre da un certo momento in poi della storia familiare - con le richieste reiterate e vessatorie del padre per vedere rispettato il diritto alla bigenitorialità, imponendolo pur di fronte all’evidente disagio del figlio - costituirebbero, per il Tribunale di Roma, un fattore di rischio per la sua salute psicofisica tale da giustificare un allontanamento forzoso dalla madre e dal suo abituale ambiente di vita, senza tener conto del fatto che le resistenze del bambino verrebbero esponenzialmente aumentate proprio nel caso di un allontanamento forzato, che non può non provocare un trauma certo, grave ed attuale;

- la CTU che, partendo dal concetto di bigenitorialità come diritto primario e assoluto - e non, com’è in realtà, un diritto in capo ai genitori limitato dal dovere (munus) di assicurare al figlio l'esercizio dei suoi diritti prioritari (best intesrest), quali salute, sicurezza, diritto al proprio domicilio ecc, come diritti costituzionalmente sanciti e tutelati, per gli adulti e per i bambini) - giunge a una diagnosi psicologica di “madre alienante” (presunta responsabile, in assenza di evidenze documentate, del rifiuto del figlio verso il padre), a partire dalla quale si prevede l’applicazione di uno pseudo-trattamento psicologico (rifiutato dall'APA - Associazione degli Psicologi Americani, in quanto non consono al codice deontologico della professione) mediante, in primis, l’allontanamento immediato dalla madre e la collocazione presso il padre rifiutato;

- una falsa soluzione al problema da parte del sistema giudiziario, che si fonda, in assenza di un imminente e documentato pericolo /rischio per la salute e la vita del minore, su una sottrazione illegittima, su una sorta di trattamento sanitario obbligatorio senza i regolari supporti di un TSO, e anzi in presenza di acquisite certificazioni del pediatra di riferimento che testimonia le buone cure ricevute dal bambino da parte della madre.

Infine, si tratta di un decreto che si fonda sia sullo stravolgimento del codice deontologico degli psicologi nelle vesti di CTU - i quali come ogni altro operatore sanitario devono innanzitutto attenersi al principio del Primum non nocere, in particolare modo se si tratta di bambini; sia sullo stravolgimento del processo giudiziario, che deve basarsi sull’osservazione di prove, evidenze, testimonianze e non certo su interpretazioni psicologiche, che variano a seconda delle teorie di riferimento dei singoli consulenti e spesso, come in questo caso, su costrutti diagnostici insussistenti, come la PAS (Parental Alienation Syndrome). In particolare, si sottolinea che, per l’esecuzione del provvedimento di allontanamento del bambino dalla madre e dalla propria casa e il successivo collocamento presso il padre, si prescrive la presenza di psicoterapeuta e pediatra del bambino, quasi si trattasse di personale appartenente alle forze dell’ordine, ignorando le limitazioni di ruolo imposte a medici e psicologi dai rispettivi codici deontologici.

Per tutto quanto esposto, le associazioni firmatarie Le chiedono di intervenire immediatamente con i suoi poteri ispettivi e disciplinari, perché sia sospeso un provvedimento che vedrà, come è già accaduto in passato e ancora una volta, un bambino disperato e traumatizzato, prelevato da pubblici ufficiali per essere sottratto al suo abituale contesto di vita, causando di fatto un trauma e un danno immediato e di lungo periodo per l’interruzione di ogni sua relazione affettiva e sociale con l'ambiente in cui ha sempre vissuto e presso cui non corre alcun pericolo.

Noi saremo a vigilare, su questo come sugli altri casi, e chiederemo conto in ogni momento di quello che le istituzioni fanno (o non fanno) nel presunto “interesse superiore del minore” (così come è sancito nelle norme di legge derivanti dall’accoglimento dei dettami delle Convenzioni internazionali) indicando ai cittadini e alle cittadine gli uffici e i responsabili di questi atti, equivalenti a femminicidi, ovvero di quelle pratiche violente che colpiscono le donne in quanto madri.

Ricordiamo, infatti, a Lei e a tutti e tutte, con le parole di Marcela Lagarde, che femminicidio non è solo l'uccisione materiale di una donna ma anche l'uccisione simbolica, psicologica e morale; quella stessa pratica annichilente che le madri subiscono quando la violenza maschile, in accordo con le istituzioni (portatrici di un processo di vittimizzazione secondaria, artt. 15 1 18 della Convenzione di Istanbul) le colpisce attraverso i figli.

14.10.2019
UDI Napoli
Associazione salute donna
Fondazione Pangea - Rete Reama
Arcidonna onlus, Napoli
Donne Insieme
Resistenza femminista
Iroko onlus
Comitato No Pillon, Napoli

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