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Il lavoro tra discriminazioni e gap salariale: la parità è ancora lontana

Il lavoro tra discriminazioni e gap salariale: la parità è ancora lontana

Valentina Cardinali, Consigliera regionale di Parità del Lazio, in occasione del convegno #8marzo tutti i giorni. Donne e uomini, lavoro e discriminazioni nel Lazio

Lunedi, 04/03/2019 - Ricercatrice dell'INAPP, esperta di mercato del lavoro e politiche di genere, la Consigliera regionale di Parità del Lazio Valentina Cardinali è in carica dal giugno 2017 e si trova a gestire questo ruolo in una fase molto delicata per il lavoro e per le donne. Le abbiamo rivolto alcune domande in vista dell'incontro del 4 marzo dal titolo #8marzo tutti i giorni. Donne e uomini, lavoro e discriminazioni nel Lazio, in cui sarà presentato un dossier su uomini e donne nel mercato del lavoro regionale e affrontati temi caldi come l'instabilità del lavoro femminile, l'incidenza del carico familiare sulle scelte di lavoro e su come la discriminazione sui luoghi di lavoro sia ancora presente seppur silente. Lunedì prossimo sarà quindi l'occasione per riflettere sull'occupazione delle donne e sulle tante forma di discriminazione ancora esistenti.

l cammino per la piena affermazione delle Pari Opportunità in Italia, nonostante le norme e le tante battaglie, è ancora lungo. Quali sono le sue considerazioni anche alla luce del dossier presentato il 4 marzo?
Esistono alcuni elementi costanti che caratterizzano il mercato del lavoro italiano in ottica di genere e definiscono la debolezza “strutturale” della presenza delle donne nel mercato del lavoro. Nello specifico, si tratta di: gap di genere in tutti gli indicatori del mercato del lavoro (tassi di attività, tassi di occupazione, tassi di disoccupazione, inattività - a fronte comunque di tassi di attività e partecipazione femminile stabilmente in coda nelle graduatorie europee); di una “specificità femminile” nello scivolamento dall’occupazione all’inattività; di una prevalenza femminile nei lavori non standard, assoluta e percentualmente relativa alla classe giovanile, in un mercato del lavoro comunque segregato per genere, sia per settori e professioni che per posizioni gerarchiche; di un divario retributivo di genere costante. Inoltre, sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in maniera molto più incisiva che per gli uomini incide la condizione familiare e la presenza di figli nonché la disponibilità e accessibilità di servizi di supporto alla eterogenea funzione di cura. Elemento strutturale della forza lavoro femminile è inoltre la discontinuità occupazionale legata all’evento maternità, in un contesto in cui si registrano forti squilibri tra uomini e donne nella gestione dei tempi di lavoro e di cura, che incidono sul modello e sulle scelte di partecipazione al mercato del lavoro.
Tutti questi elementi, sono stati aggravati dalla congiuntura della crisi economica ed occupazionale, ma per nessuno di essi la crisi può essere ritenuta meccanismo originante. La mancata risoluzione di queste criticità strutturali non comporta solo un effetto diretto sulla partecipazione o probabilità di partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ma presenta effetti altrettanto diretti – e di lungo periodo - sul sistema pensionistico. Un destino segnato?

Quali sono gli elementi salienti che il Dossier evidenzia?
Se consideriamo i tre principali indicatori di partecipazione e non partecipazione, suddivisi per sesso (tasso di occupazione, disoccupazione ed inattività) troviamo elementi comuni tra le regioni: il tasso di occupazione femminile è sempre inferiore a quello maschile (seppur a diversa intensità); il tasso di disoccupazione femminile è sempre superiore a quello maschile (tranne per il caso Molise); il tasso di inattività femminile è sempre superiore a quello maschile.
Il Lazio appare in posizione mediana rispetto a tutti e tre gli indicatori. Rispetto ai tassi di occupazione femminile, eccetto il ristretto gruppo che ha superato la soglia del 60% (PA Bolzano, PAtrento, Valle d’Aosta Emilia, Romagna), si colloca nella fascia di regioni tra il 40% il 60% in particolare con il 52,9% (rispetto al 69,1% maschile), comunque sopra la media Italia (48,9% e 67,1%). Rispetto al tasso di disoccupazione con l’11,6% femminile e il 9,9% maschile il Lazio è al di sotto della media Italia (12,4% per le donne). Per il tasso di inattività, il Lazio con il 40,1% femminile e il 23,1% maschile si conferma al limite della zona mediana, ma comunque al di sotto della media Italia (44% inattività femminile e 25% maschile). La regione si attesta al secondo posto per occupazione femminile in part time, dopo la Lombardia. Nel 2018 le donne sono state il 40% delle assunzioni ma con netta prevalenza della forma "instabile" (a tempo determinato, stagionale, intermittente), con una rilevante incidenza del part time. Gli incentivi all'occupazione non sono serviti a fare da riequilibrio. Del 7% delle assunzioni agevolate nel Lazio, meno della metà ha riguardato donne. Il boom occupazionale ha rigardato le forme di lavoro discontinuo (prestazione occasionale,lavoro accessorio, libretto famiglia, lavoro domestico ). La maternità conttinua ad essere un ostacolo per il posto di lavoro. La percentuale di chi lavorava prima e dopo la maternità, intesa come periodo di 3 anni dopo la nascita, invece non lavora più, nel Lazio è dell’11%, in linea con la media nazionale (12%). In termini di utilizzo di strumenti di conciliazione invece il Lazio detiene il numero più alto tra le regioni di beneficiari uomini di congedo parentale e che è il terzo per beneficiari di congedo di paternità obbligatorio.

A suo parere di che natura sono gli ostacoli che si frappongono all'incremento dell'occupazione femminile?
Guardi, il nostro in fondo è un paese strano. In più di trent'anni, non c'è stato niente di così ostico e così difficile da gestire, quanto la questione dell'occupazione femminile, della parità di genere sul lavoro e l'equilibrio di genere nei ruoli sociali. Sul lavoro, abbiamo mancato tutti i parametri richiesti dall'Europa, abbiamo investito quote di finanziamenti pubblici europei e nazionali, abbiamo prodotto progetti e prassi interessanti svaniti una volta terminato il finanziamento. Ma non abbiamo mai superato la soglia del 50%. Questo è un indizio di come per aumentare l'occupazione femminile - e quindi il reddito disponibile, l'emancipazione economica, il benessere collettivo, oltreché il PIL nazionale - non esiste una soluzione unica o una ricetta salvifica. Ci sono tanti elementi che le politiche devono tenere sotto controllo: la disponibilità e la convenienza al lavoro delle donne e delle famiglie, la rigidità organizzativa delle imprese ancora fondata su stereotipi di genere, il contesto sociale e i servizi disponibili. Sono venti anni che si parla di approccio integrato, ma ancora oggi ci si sorprende sul perché gli incentivi al lavoro femminile non hanno funzionato, se ancora oggi si legge nei libri di testo a scuola "la mamma stira e il papà legge", o il bambino viene preso in giro perché vuole giocare con la bambola della sorella. Qualche anno dopo, quei bambini non prenderanno i congedi parentali perché "tanto ci penserà la mamma" oppure quegli stessi bambini in veste da manager disincentiveranno i dipendenti padri dal farlo. Quindi si il cammino è ancor lungo , ma il paese deve crederci ed avere pazienza. Sono risultati questi che non si ottengono nel corso di una finanziaria. E purtroppo in questa società in cui non ci sono capitali pazienti... l'investimento risulta complesso. Ma possibile.




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