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Il 'Pane Quotidiano' che si impasta con la cultura del rispetto

Il 'Pane Quotidiano' che si impasta con la cultura del rispetto

Dal cibo all'agricoltura, valori e priorità da rimettere al centro. Il punto in un convegno della Fondazione Nilde Iotti

Lunedi, 13/03/2017 - Expo 2015 è stato archiviato sotto la voce ‘grandi eventi di successo’, ma non sono da riporre nello scaffale della storia i temi decisivi posti all’attenzione mondiale. Rimangono sul tappeto le questioni, e le contraddizioni, del nostro tempo nell’intreccio tra alimentazione e agricoltura, tra malnutrizione e obesità, tra cibo e finanza, tra suolo e ambiente. La Fondazione Nilde Iotti ha fatto il punto su questo insieme di argomenti con un convegno, ospitato dalla Cia (Roma, Auditorium Avolio, 2 marzo 2017) cui hanno portato il saluto in apertura la presidente della Fondazione Livia Turco e il vicepresidente nazionale Cia Antonio Dosi.

Nel titolo, Pane quotidiano, il richiamo alle questioni fondamentali della sopravvivenza evocate anche nella scansione tematica: cibo, identità, terrà, spreco. La conclusione che non può concludere ma solo richiamare alla saggezza del che fare guardando rispettosamente al domani, è stata affidata ad un’altra parola dal sapore antico: riparare, nell’accezione del rammendare, rigenerare.

Le donne sono state protagoniste dell’incontro, a partire dall’elaborazione del progetto - che ha scelto come punti di riferimento: la Carta di Milano, l’enciclica papale Laudato Sii e COP21 - fino alla restituzione dei contenuti con relazioni ad alta densità di valori, informazioni e concetti.

“Più di 800 milioni di persone nel mondo soffrono per fame o malnutrizione e contemporaneamente assistiamo a enormi sprechi e sappiamo che l’obesità interessa più di 2 miliardi di persone. La diminuzione delle aree coltivabili a causa dei cambiamenti climatici insieme a guerre e povertà, sono fattori che stanno già producendo imponenti fenomeni migratori”. Alessandra Tazza (video), introducendo il convegno ha disegnato i contorni dell’attualità, sottolineando il valore simbolico del cibo, il senso di comunità che vi si collega e, citando Roland Barthes, come “l’atto del nutrire sia costitutivo delle donne in tutto il mondo, sia un sistema di comunicazione, un protocollo di usi e comportamenti”. Il pane quotidiano, quindi, non solo alimento indispensabile alla sopravvivenza, ma anche metafora della cultura e della convivenza, del rispetto dell’altro da sé e dell’ambiente con tutte le sue diversità. Va ripensato il concetto di benessere, che non è più possibile legare “all’opulenza ma piuttosto alla solidarietà e all’uguaglianza”. “Le donne hanno un ruolo centrale nella produzione di cibo - ha ricordato Tazza - anche in quei paesi dove non possono essere titolari di imprese o di terre. Ma hanno un ruolo anche in quanto consumatrici ed educatrici e non sempre ne sono consapevoli”. La Fondazione Nilde Iotti ha chiesto di portare un contributo di competenze ed idee ad esperte di varie materie al fine di delineare il mosaico dei fattori che concorrono a comporre la complessità che un semplice riferimento al ‘pane quotidiano’ contiene.



CIBO. Sostenibilità e sicurezza alimentare non sono concetti astratti e dalle modalità della loro declinazione dipendono questioni centrali, oggi e per il futuro del pianeta: la salvezza dalla fame, la tutela dell’ambiente o la qualità dell’economia. Solo per citarne sommariamente alcune, che sono state esaminate minuziosamente da Livia Ortolani, economista e giovane ricercatrice dell’Università Roma Tre. “Sicurezza alimentare è un concetto che ha avuto un’evoluzione, anche sulla base degli effetti che hanno avuto le politiche di concentrazione delle produzioni alimentari in pochissimi soggetti nel mondo. Si è capito che la libertà di mercato non ha saputo rispondere ai temi fondamentali del pianeta, quindi oggi sicurezza significa il modello alimentare e l’uso delle risorse, comprese le risorse nella disponibilità delle famiglie. È interessante osservare, inoltre, che nonostante la potenza delle multinazionali, le grandi concentrazioni o la grande distribuzione, l’80/90% circa dei bisogni alimentari è coperto dal sistema di produzione locale inteso anche come livello nazionale. Soggetti come Via Campesina (movimento internazionale che sostiene politiche agricole e alimentari solidali e sostenibili, ndr) fin dal 1996 e da attori non ufficiali hanno promosso il concetto di sovranità alimentare, contrapponendolo a quello di sicurezza alimentare. La validità del concetto è stata riconosciuta poiché è fissato nei principi della Dichiarazione di Nyeleni (2007)”. Al centro dell’attenzione di Ortolani anche il ruolo delle donne, che “come dimostrano i dati raccolti e disaggregati per sesso negli ultimi 20 dicono che sono il 70% dei produttori del cibo per il nucleo familiare e hanno cura anche nella tutela e recupero delle tradizioni”. Sono positive “le continue tensioni tra il mercato e le esperienze dal basso che affermano modelli di consumo e di produzione vicini agli stili di vita delle persone, andamento che implica una democratizzazione della produzione del cibo”. Interessante anche la disamina del concetto di sostenibilità e dei vari approcci - innovazione tecnologica, gestionale e sociale - che non possono ignorare principi cardine quali le diversificazione delle sementi e le produzioni locali, il rispetto del capitale umano e delle tradizioni e valori. La strada giusta per il futuro guarda alle “alleanze tra i fattori locali e l’innovazione tecnologica, al decentramento e alla governance adeguata ai territori. È una strategia opposta a quella della concentrazione che ha dominato sinora. Una visione in cui alle delle donne è affidato il compito, fondamentale, di tessere rapporti e creare reti”.



IDENTITÀ, tema introdotto da Vanda Giuliano, e approfondito da Cinzia Scaffidi, vicepresidente Slow Food Italia, che ha esaminato gli effetti della logica di mercato sulla complessità delle identità, il cui rispetto richiede inevitabilmente “di interrompere un flusso di denaro”; il mercato ha adottato strategie per “far finta di rispettare le identità: si chiama customizing, cioè la finta personalizzazione dei prodotti”. Cosa ha sacrificato, ancora, il mercato? “L’agricoltura industriale si è servita degli uomini e ha rinunciato alla cultura femminile perché avrebbe rallentato. La scelta è stata ‘più soldi meno benessere’”. Siamo andati, ha continuato Scaffidi, verso la “separazione tra pubblico e privato, tra lavoro produttivo e riproduttivo, da un lato l’agricoltura del profitto per il mercato e dall’altro l’agricoltura della famiglia”. Connotata da tratti poetici l’idea delle donne che “non solo preparano il cibo, ma sono loro stesse cibo, si fanno cibo quando allattano per esempio” per questa straordinarietà insita nella loro natura, le donne hanno “il compito di mettere in discussione un sistema se è dimostrato che non ha funzionato, aiutandolo a cambiare; è un ruolo affidato alle periferie sociali e culturali che ci piace molto e che vogliamo svolgere badando ad alzare il livello della biodiversità in qualunque sistema. Il sistema guidato dal profitto e dal libero mercato ha fallito, e adesso riprova a fare i conti con le periferie”.



TERRA. Rossana Zambelli (video), direttore nazionale CIA, ha inquadrato il tema. “Man mano che la richiesta dei consumi cresce, aumenta la pressione sulle risorse naturali. Anche per questo la terra è una risorsa strategica che tende a scarseggiare e il consumo del suolo - 70 ettari al giorno - sta assumendo una dimensione sempre più preoccupante con grandi nazioni che si accaparrano terre e il fenomeno del land rabbing che ha acquisito circa 50 milioni di ettari”. Parlare di terra, oggi, significa anche pensare all’equilibrio tra “il consumo del suolo, la sua cura e il dissesto idrogeologico” mai dimenticando che il ruolo ruolo delle donne è decisivo, visto che “oltre 1/3 delle imprese agricole è condotto da donne e che quello agricolo è il settore con maggiore innovazione”. Per l’on Susanna Cenni non ci sono dubbi: “siamo sull’orlo del baratro”, osservazione supportata da studi autorevoli, quali il rapporto Oxfam sulle diseguaglianze e che sottolinea l’impellenza di “cambiare modello economico, rimettendo al centro l’individuo, come anche molti economisti ormai sostengono”. Le donne sono il punto di forza della soluzione dei problemi, in quanto capaci di sovvertire quella “eredità antropocentrica” che ha prodotto tanti guai. “Occorre rimettere al centro l’individuo e incrementare l’accesso delle donne alla terra perché - segnala il paradosso - le donne coltivano la terra ma non la possiedono, ne hanno cura ma non hanno accesso, sono trasparenti ma non rispettabili”. L’on Cebbi evoca l’enciclica di papa Francesco per soffermarsi sulla necessità di “risanare le nostre relazioni con la natura e con l’ambiente per non rendere irreversibile il processo di autodistruzione”. Il riequilibrio tra i generi è quindi parte integrante di un percorso “inevitabile per salvare la terra”.



SPRECO. “Come rompere il circolo vizioso dello spreco” è la domanda da cui il gruppo di lavoro è partito e che Catia Zumpano, ricercatrice CREA, ha illustrato introducendo la relazione di Alessandra Vaccari. Da esperta della materia, Vaccari ha sciorinato numeri e grafici, rincuorando la platea con esperienze positive di riciclo e riuso, di circuiti virtuosi e per nulla virtuali. La base dei suoi studi e verifiche sul campo poggiano sull’idea che “lo spreco non è solo il surplus, ma è anche il magiare troppo, un certo ciclo di produzione e distribuzione fino ai meccanismi di ridistribuzione delle eccedenze”. Insomma l’analisi dei costi è indispensabile quando si parla di spreco, ma conviene sempre ricordare che a monte c’è un’idea del convivere e di organizzare la società, un’idea del ruolo attivo che ogni cittadino/a è chiamato a ricoprire.



RIPARARE. “Il gran finale” lo ha definito Alessandra Tazza e Paola Ortensi (video) ne ha curato la regia, raggomitolando quel “filo rosso di una giornata densa di informazioni e richiami”. La parola delle conclusioni che non sono mai tali è ‘riparare’, intesa nelle accezioni di difesa, ricostruzione ma anche di tutela. “Ci si ripara dalla pioggia o dai malanni”. Infatti il “riparare si traduce in molteplici azioni che sono sempre positive. Riparare, nel contesto esaminato, vuol dire difendere il mondo, avere cura dell’umanità che ancora in troppi luoghi soffre la fame, mentre andrebbe rispettata l’identità alimentare. Andrebbe riparata la terra difendendola da attività sconsiderate che richiedono quasi un rammendo, e non i rattoppi fatti anche malamente, che sarebbe un gesto di cura e rispetto per l’ordito originario del paesaggio”. Riferendosi al terremoto, Ortensi ha ricordato come “per le terre colpite da una tragedia immane, riparare, in molti casi, ha significato tutelare identità di cibo e coltivazioni: Amatrice si è salvata con la sua amatriciana, Norcia ha ricordato al mondo che i norcini vengono da lì, le lenticchie di Collefiorito hanno immaginato un paesaggio meraviglioso. Ricamare dopo il terremoto con l’agricoltura per restituire vita, identità costruita nei secoli può essere un progetto, un’idea di comunità. Può funzionare se lo si fa con amore. Vale per l’agricoltura e anche per la pesca, a garanzia di quel cibo cui oggi dobbiamo restituire valore”. La sollecitazione è a “tenersi lontano dalle tentazioni da comportamenti umani scellerati e a preservare la terra quale diritto e patrimonio delle generazioni che future”. Sono importanti anche le piccole e azioni quotidiane, che possono essere rimesse al centro della nostra attenzione e affida alla platea due riflessioni: 1) veniamo dal mondo agricolo che del non spreco ha fatto la sua legge, una capacità di usare tutto e poter rigenerare tutto, è stata la sua cultura e noi dobbiamo solo riportarla alla memoria; 2) le donne da potenza a potere: siamo come le api operaie e dobbiamo diventare api regine per poter guidare il mondo nella direzione giusta.

Tra gli interventi arrivati in conclusione della giornata, oltre a Ilaria Sisto per la Fao e all’on Maria Chiara Gadda, Anna Kauber ha raccontato la sua ricerca sulle pastore, impegno che l’ha portata in tutta la penisola a raccogliere oltre 100 testimonianze di pastore dai 20 ai 97 anni, impegno che oggi è diventato un archivio di filmati e testimonianze veramente speciale con potentissime figure femminili che regalano il racconto di un pastoralismo al femminile probabilmente inedito e che diventerà un documentario di pregio assoluto.

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