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Intervista a Rosa Russo Iervolino

Intervista a Rosa Russo Iervolino

La parola ad una donna con esperienza politica e amministrativa. Rosa Russo Iervolino, intervistata in Nuova Etica Pubblica

Lunedi, 05/02/2018 - E' uscito il numero  10 (gennaio 2018) di 'Nuova Etica Pubblica', dell'Associazione EticaPA, la rivista on line diretta da Daniela Carlà che analizza temi di attualità e ospita riflessioni che vedono nella Pubblica Amministrazione e nella sua dirigenza il principale pubblico di riferimento nell'intento di contribuire alle riforme e al buon funzionamento dello Stato. In questo numero, tra gli altri materiali, è pubblicata un'intervista a Rosa Russo Iervolino, esponente politico di primo piano che ha ricoperto molti incarichi di governo e la cui storia familiare si inscrive nelle origini della nostra demobrazia. La mamma, Maria De Unterricheter, è stata costituente, a lungo Parlamentare nonché Presidente dell’Opera Montessori. Pubblichiamo un estratto dell'intervista pubblicata in questo numero e che potrà essere letta nelle versione integrale andando nel sito.

Lei è stata parlamentare, più volte ministro, presidente della Commissione di vigilanza Rai e sindaco: tra tutte queste esperienza quale considera più significativa nella sua biografia?
Ognuna di queste esperienze è stata a suo modo significativa non solo perché, nella maggior parte dei casi ero la prima donna ad assumere quel ruolo, ma perché ognuna era, in qualche modo “da costruire”. Mi riferisco ad esempio al Ministero degli affari sociali che in Italia non esisteva (e purtroppo non esiste più) e agli stessi compiti di Ministro dell’ Interno nel quale mi sono trovata inaspettatamente” in zona di guerra”, cioè fra l’Albania e il Kossovo per organizzare , con la collaborazione delle Nazioni Unite, la protezione e l’assistenza ai profughi. Insomma c’era un tratto di percorso nuovo, da immaginare e, soprattutto da realizzare lontano dall’Italia, cosa che, a quanto ricordi, a nessun altro Ministrodell’interno è capitato di fare.
Molto significative sono state per me le esperienze parlamentare e l’esperienza di Sindaco. Nella mia infanzia e negli anni dell’adolescenza, quando i miei genitori raccontavano a me e a mio fratello il futuro di libertà che, con gli altri amici antifascisti, si proponevano di costituire finita la guerra, il Parlamento era sempre al centro dei loro discorsi. Credo quindi di essermi fin da allora ammalata di “Parlamentite acuta”. Un male dal quale non sono guarita. Quando, nel 1979, sono entrata per la prima volta nell’aula del Senato, ero talmente commossa da non riuscire a debellare il mal di testa. Comunque, nei lunghi anni trascorsi fra Palazzo Madama e Montecitorio, sono sempre stata profondamente coinvolta dal continuo lavoro di analisi e confronto che la vita parlamentare esige nella ricerca della soluzione più idonea per i problemi in discussione e, comunque nella individuazione di un punto di mediazione. Devo però sottolineare che allora le “male parole” non esistevano in Parlamento e che anche le idee diverse venivano esaminate e confrontate con rispetto reciproco. Per quanto riguarda l’esperienza di Sindaco, la questione è del tutto diversa.Questo lavoro infatti è arricchito dal contatto diretto e continuo con i cittadini e con le realtà territoriali e dal fatto che il sindaco in moltissimi casi “vede”il risultato del proprio lavoro: Cioè se si costruisce un asilo nido il sindaco lo vede se invece si approva una legge sugli asili nido il parlamentare, almeno nella maggioranza dei casi, non vede gli asili funzionare. Questo vantaggio è però reso un pochino più amaro dal fatto che sul sindaco, prima autorità che i cittadini incontrano sul territorio vengono scaricate tutte le colpe per le cose che non vanno bene. Il sindacopoi viene individuato come colpevole delle cose che non fa, perché è raro che i cittadini si pongano il problema di ciò che è possibile e della limitatezza delle risorse, malgrado tutto questo, ho un ottimo ricordo dei dieci anni trascorsi come sindaco di Napoli.
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Lei è attualmente impegnata nella “Fondazione Nilde Jotti”. Come si potrebbe trasmettere alle nuove generazioni l’impegno delle Costituenti? Come suscitare maggiore interesse e coinvolgimento tra le giovani?
Mi capita spesso –come credo succeda a tutte le ex- di essere invitata a parlare ai giovani soprattutto nelle scuole. Rimango sempre stupita dell’interesse che fra i ragazzi suscitano i temi relativi alle Istituzioni e all’assetto civile del Paese, a questo punto come generazione anziana mi sento in colpa. Se i ragazzi, pur essendo potenzialmente interessati, non si occupano di vita civile vuol dire che noi più anziani o non abbiamo mai parlato loro dei problemi della collettività o lo abbiamo fatto male o, non siamo stati credibili. In fondo abbiamo avuto la capacità perfino di sprecare un’occasione bella quale poteva essere quella dell’educazione civica nelle scuole facendone una materia secondaria noiosa e utile al massimo per alzare un po’ la media generale dei voti. A questo punto tutte le iniziative utili per risvegliare l’attenzione dei ragazzi sono preziose. Ho letto con piacere alcune “linee guida” di recente predisposte dal Ministro Fedeli nelle quali, oltre ad ipotizzare seminari di discussione ed esperienze innovative (per un periodo sono statedi moda Il sindaco e la giunta dei giovani), si propone anche di consegnare solennemente ad ogni ragazzo una copia della Costituzione alla fine del corso degli studi. Una specie insomma di “battesimo civile” che non deve però diventare un fatto rituale. C’è quindi spazio per la passione e la fantasia.

Facciamo il punto sulla Democrazia Paritaria. Dal suo punto di vista quali obiettivi sono stati raggiunti e quali traguardi possiamo ancora porci?
Dal punto di vista della realizzazione della Democrazia Paritaria (perché, se non sono coinvolti tutti i cittadini, non vi è democrazia), le Costituenti sono state coraggiose e bravissime nel porre delle essenziali premesse e nel mirare ad obiettivi concreti. C’è un “di fatto” nel secondo Comma dell’Articolo tre della Costituzione che vale un tesoro: non ci si può cioè accontentare delle affermazioni di principio ma valgono i risultati concreti. La legislazione ordinaria è stata attenta e coerente anche se abbastanza tardiva. Basti pensare alla legge n. 66 del 1963 che, abolendo la precedente normativa del 1919, ha aperto alle donne l’accesso ai pubblici uffici. Le donne si sono fatte onore ed hanno approfittato positivamente di questa possibilità. Quando mi sono laureata, alla fine del 60, non era ad esempio possibile adire alla Magistratura, ora le donne magistrate sono tante e si fanno onore. Non possiamo però illuderci che il problema sia risolto e nemmeno che sia risolvibile soltanto attraverso il sistema delle quote. Se, per quanto riguarda l’assetto di vertice dello Stato solo le cariche di Presidente della Repubblica e di Presidente del Consiglio non sono ancora stata ricoperte da donne, rimane l’amara constatazione che, negli alti gradi delle Istituzioni, nei luoghi di decisione economica, così come nei forum internazionali le donne sono ancora poche, fanno fatica a fare carriera e sono spesso relegate ai margini. Credo che occorra pazienza, costanza ed incisività per superare quella che, per anni e direi per secoli è stata la cultura “del ghetto”.
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