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Intreccio perfetto, pubblico, privato e giustizia sociale

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Felicità. parliamone/1 - Il Rapporto mondiale ogni anno elabora parametri per misurare il grado di felicità individuale e collettivo in 156 nazioni. L’Italia è al cinquantesimo posto

Costanza Fanelli Martedi, 28/06/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2016

Può la felicità essere misurata? La misura della felicità rimane solo un fatto soggettivo o può interessare la dimensione più ampia dello stare insieme, di una società, di un paese? C’è una relazione tra la felicità e il ben stare delle persone? La felicità è una dimensione che interferisce o può interferire nella condizione concreta delle persone? Ci sono differenze in questo tra uomini e donne, tra giovani e persone di età più avanzata? Quanto contano o possono contare sulla condizione o il sentimento di felicità le condizioni concrete di vita: reddito, salute, ambiente, istituzioni sociali, cultura? E ancora. La felicità è una misura utile per valutare i livelli di avanzamento o, al contrario, di peggioramento delle condizioni di vita delle persone alle varie latitudini e longitudini? Tanti quesiti che richiedono risposte articolate e non scontate.

In un mondo globalizzato, dove convivono differenze enormi da tanti punti di vista (geografico, sociale, economico, culturale, politico), la felicità è un termine di confronto che nella sua assoluta soggettività può aiutare a trovare chiavi per affrontare grandi questioni globali che spesso si giocano usando parole e concetti inadeguati e poveri di significato se si pensa ad una dimensione fatta di esseri umani.

Dal 2012 , nell’ambito di uno spostamento dell’attenzione degli studi e delle politiche collegate agli organismi internazionali che si occupano di politiche globali, ogni anno viene prodotto un ‘Rapporto mondiale sulla Felicità’ - giunto alla quarta edizione -, costruito con sempre maggiori approfondimenti non solo in relazione alla capacità di raccogliere informazioni da quasi tutti i paesi del mondo ma soprattutto nel riuscire a capire, con indagini e studi sempre più sofisticati, come la misura della felicità possa essere una chiave per meglio mettere a fuoco le componenti complesse del benessere delle persone e quindi anche per meglio intervenire sulle politiche che devono, o dovrebbero, guardare al benessere delle persone nel mondo. Anche quest’anno e il Rapporto è stato presentato in Italia nel “giorno della felicità”, che l’Onu ha fissato il 20 di marzo.

Il taglio di questi studi non intende, ovviamente, sottovalutare i fattori concreti del benessere quali il reddito, la povertà o le condizioni materiali di vita. C’è da dire che, proprio perché l’analisi si fonda su un lavoro che parte dalla valutazione stessa delle persone in varie parti del mondo e in contesti diversissimi su alcuni aspetti che hanno a che fare con la percezione di felicità, riesce a fornire approcci più ampi e articolati assai utili a capire - e ad affrontare - problemi enormi come le differenze esistenti nel mondo, le disparità, le condizioni di vantaggio e svantaggio, gli intrecci tra politiche economiche e politiche sociali, le connessioni tra “ambienti degli stati” e individui. Di grande importanza è anche l’osservazione degli impatti di alcuni problemi su uomini e donne.

Nel Rapporto 2016 sono state usate e elaborate delle statistiche o “medie di felicità” lavorando su alcune variabili sulla felicità percepita, quali il potere di acquisto personale, il livello di supporto sociale su cui poter contare, l’aspettativa di salute e di vita, il grado di soddisfazione o meno sulla propria capacità di scelta, la percezione della corruzione in senso ampio, la propensione alla generosità.

Quello che emerge è un quadro complesso e non facilmente riassumibile. Alcuni elementi, però, spiccano. Intanto il fatto che attraverso la percezione di felicità, oltre alle questioni legate alla dimensione economica, ci sono altri importanti fattori collegati alla dimensione individuale. Si tratta di fattori che, se messi in gioco su larga scala, intervengono attivamente sul miglioramento collettivo. Altro elemento, preoccupante, che emerge da queste analisi più complesse è l’impatto della crescita delle diseguaglianze insieme al peggioramento di vita prodotto in questi anni dalla crisi economica di proporzioni mondiali che ha colpito in diversa misura tante nazioni.

L’Italia si attesta al cinquantesimo posto nella graduatoria della misurazione della felicità. Ma le informazioni e le molteplici indicazioni che vengono fuori dal documento forniscono anche importanti chiavi e spunti per affrontare in termini di “felicità pubblica” i temi dello sviluppo, del rapporto tra questa parola e la condizione di ogni persona ma anche l’importanza nella percezione di ogni individuo di elementi di contesto come il clima, il grado di libertà agita oppure le barriere oscure della corruzione rispetto ai percorsi di crescita economica e sociale.



PRIMA LA DANIMARCA, ULTIMO IL BURUNDI

Il ‘Rapporto mondiale sulla Felicità’ 2016 sancisce che la nazione con il livello più alto di felicità ‘misurata’ è la Danimarca, che si conferma al primo posto, seguita da Svizzera, Islanda e Norvegia. A seguire, tra i primi dieci ‘della classe’ Finlandia, Canada, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Australia e Svezia. Gli Stati Uniti hanno guadagnato due posizioni più in alto rispetto allo scorso anno e si classificano al tredicesimo posto. L'Italia conferma la cinquantesima posizione. Madagascar, Tanzania, Liberia, Guinea, Rwanda, Benin, Afghanistan, Togo, Syria, Burundi sono gli ultimi dieci in classifica.

L’attenzione internazionale che ottiene il Rapporto va di pari passo con l’intento di individuare la felicità e il benessere soggettivo come indicatori primari della qualità dello sviluppo umano. Fa ben sperare, infatti, che tale attenzione arrivi da molti governi e istituti di ricerca intenzionati, si spera, ad attuare politiche volte a migliorare la qualità della vita, mettendo al centro le persone e non la finanza.

Il Rapporto, prodotto dal Sustainable Development Solutions Network (SDSN), è stato curato da John F. Helliwell della University of British Columbia e il Canadian Institute for Advanced Research, Richard Layard, direttore del Well-Being Programme presso LSE’s Centre for Economic Performance, Jeffrey Sachs, direttore del EarthInstitute e SDSN.



L’APPROCCIO OLISTICO E LE DISUGUAGLIANZE

Una novità nel ‘Rapporto sulla Felicità’ 2016 è arrivata con la misurazione della disuguaglianza nella distribuzione del benessere tra i paesi, che ha aggiunto altri indicatori rispetto a quelli classici: reddito, povertà, educazione, salute e buon governo. Da uno sguardo più ampio è emersa la relazione tra la felicità e le disuguaglianze sociali accanto alla constatazione che la disuguaglianza di felicità è aumentata in modo significativo se si paragona il 2012-2015 al 2005-2011. “Il benessere umano dovrebbe essere promosso attraverso un approccio olistico che combina obiettivi economici, sociali e ambientali. Al posto di adottare un approccio incentrato esclusivamente sulla crescita economica, dovremmo promuovere società prospere, giuste e sostenibili dal punto di vista ambientale - ha detto Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute presso la Columbia University - e la misurazione della felicità percepita e il raggiungimento del benessere dovrebbero essere attività all’ordine del giorno di ogni nazione che si propone di perseguire obiettivi di sviluppo sostenibile”.

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