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IRAQ, ottobre 2014/ La guerra dell'ISIS e la resistenza kurda

IRAQ, ottobre 2014/ La guerra dell'ISIS e la resistenza kurda

Di ritorno da Erbil, la situazione della popolazione e un'intervista alla sindaca del campo di Makhmour che ha organizzato la fuga dall'ISIS

Lunedi, 27/10/2014 -
Il campo profughi di Makhmour è protetto da guerrigliere kurde. Dista 45 km da Erbil, capoluogo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno.

La strada che porta verso sud è larga e polverosa. La terra ha i colori dell'ocra, il paesaggio è brullo, in lontananza il fumo e il fuoco di estrazioni petrolifere. Siamo in territorio iracheno.

Gran parte del greggio viene raffinato in Turchia. C’è un oleodotto a Kirkurk che arriva fino ad Adana. Novecento km di pipeline. Anche il greggio della Regione autonoma viene venduto ai turchi. Ed è causa di attrito con il Governo centrale che mal sopporta le manovre di autonomia del Parlamento di Erbil nonostante la Costituzione irachena disciplini la materia in termini di gestione della rendita petrolifera e di percentuale da destinare alla Regione. In realtà la quota prevista è del 17% ma da molti anni in Kurdistan ne arriva solo il 10%. Situazione che sta provocando forti malumori a Erbil per la montagna di milioni di dollari arretrati che Baghdad non si decide a sbloccare.

L’acqua del campo di Makhmour è nera e puzza di benzina
. La usano per annaffiare gli orti. Il resto dei consumi è affidato a una autocisterna. Quando arriva si fa festa tra taniche da riempire e risate di bambini.

Sono undicimila e seicento i profughi di Makhmour. Vivono qui da 20 anni. Sono stati cacciati dalla Turchia in seguito alle politiche di assimilazione e pulizia etnica che da più di mezzo secolo il Governo di Ankara persegue con violenza e tenacia contro la minoranza kurda. Mancano pochi km al campo. La giornata è calda, 31 gradi alle 10.

Al checkpoint una decina di peshmerga, controllano i passaporti. I Peshmerga dipendono dal Ministero della Difesa del Governo centrale di Baghdad. In alcune zone su di loro si sono concentrate le polemiche dei guerriglieri kurdi. Che nella guerra contro lo Stato Islamico (ISIS) si sono sobbarcati il massimo della difesa. La strada per Makhmour piega a sinistra, una catena collinare segna l'orizzonte. Da lì hanno fatto indietreggiare l'esercito jihadista che ad agosto aveva tentato un colpo di mano per conquistare Erbil. Makhmour è un presidio strategico, in territorio iracheno, sotto controllo Onu. Dista poco meno di 20 km dalle zone controllate dall’ISIS. Nei dintorni alcuni villaggi arabi sono stati evacuati per spezzare retrovia e approvvigionamento ai jihadisti. Impedendo così ai clan di arabi sunniti, che appoggiano lo Stato Islamico, di incunearsi nel territorio.



Intervista alla co-sindaca campo di Makhmour



L’amministrazione del campo rispecchia il modello politico ideato dal leader kurdo Ocalan. Un sistema di autogoverno e democrazia partecipata fondato sulla parità di genere. Democrazia dal basso ad ogni livello ed elezione di comitati. Ogni carica è ricoperta da un uomo e una donna. Non c’è un uso verticistico del potere. La co-sindaca di Makhmour si occupa anche di salute: "La costruzione dell’ospedale era a buon punto prima dell’attacco dell’ISIS" a finanziare il progetto l’onlus italiana “Verso il Kurdistan” di Antonio Olivieri, ma adesso spiega la sindaca: "l nostro problema principale e' la sicurezza. Non sappiamo cosa potrà succedere domani. ma sappiamo che siamo pronti a difendere il nostro campo fino a morire".



Ad agosto siete stati attaccati dai miliziani dello Stato Islamico, come è andata?

L'Isis aveva preso due villaggi qui vicino. la notte del 6 agosto abbiamo deciso di svuotare il campo. C’erano undicimila persone. Abbiamo iniziato a mezzanotte. L'evacuazione è durata tre ore e venti minuti. Non abbiamo portato via niente. Nel campo è rimasto solo chi poteva combattere".



C’erano anche i peshmerga?

Si, ma molti hanno avuto paura e sono scappati. Le nostre unità invece si sono difese. I terroristi hanno bruciato una casa e razziato le abitazioni ma alla fine sono stati cacciati. C’è stato anche un gruppo di guerriglieri del Pkk che è sceso dalle montagne per aiutarci. Il loro contributo è stato importante soprattutto moralmente. Non ci siamo sentiti soli.



E mentre si combatteva voi sfollati dove siete andati?

Eravamo nel panico. Sono stati 50 giorni di fame e di terrore. Non avevamo portato niente con noi. Ci siamo accampati vicino Tanica. Poi in corteo siamo andati fino a Erbil che nel frattempo si era svuotata temendo attacchi come a Mossul. In quei giorni c'è stato finalmente un collegamento tra la guerriglia e i peshmerga. E poi anche i bombardamenti degli US hanno contribuito. Alla fine siamo riusciti a conquistare la montagna qui di fronte, costringendo l'ISIS a indietreggiare scollinando.



Che idea ti sei fatta dei miliziani dell'Isis?

Sono dei deboli ma sono bravi nella comunicazione. Attaccano i villaggi che non sono difesi e rapiscono le donne. Fanno razzie nelle case quando non c'è nessuno. Poi fanno video con teste mozzate. Non credono nella vita che facciamo noi. Non sono forti come mostrano in tv. Quando vengono catturati chiedono di essere uccisi per andare in paradiso. Sono dei fanatici. 

Emanuela Irace

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