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La breve vita di Lukas Santana, di Elvira Dones

La breve vita di Lukas Santana, di Elvira Dones

L'atrocità della pena di morte nel "paese delle libertà" e della giustizia ingiusta; una storia in cui il mondo femminile diventa un potente fulcro narrativo ...

Venerdi, 28/07/2023 -

Con La breve vita di Lukas Santana, Elvira Dones (La nave di Teseo,2023), scrittrice albanese residente da anni in Ticino, è giunta al suo settimo libro. Dones, in effetti, è autrice molto attenta, al valore testimoniale dei suoi romanzi.

Nei suoi romanzi ha affrontato le tragedie che hanno incendiato per anni la sua terra d’origine o, come in quest’ultimo romanzo, la pena di morte. È chiara la sua idea di fondo: la pena di morte è una delle più grandi ingiustizie umane.

La breve vita di Lukas Santana racconta proprio questo. La vicenda si svolge a Huntsville, nel Texas paese in cui Elvira Dones ha vissuto per ben dodici anni e dove ha seguito da vicino le estreme giornate di vita di diversi condannati a morte cittadina che detiene il triste primato di esecuzioni capitali (la pena di morte viene inflitta, infatti, con cadenza quasi settimanale).

Il Paese delle opportunità e delle libertà si rivela un paese contraddittorio, fatto di libertà ma anche di leggi che condannano alla pena capitale chi appartiene ad un’organizzazione criminale, anche senza aver mai commesso un omicidio. La giustizia vessillo insieme alla libertà di essere parte del sogno americano finisce per perdersi: chi è solo sospettato di appartenere ad una banda è condannato a morte. Anche se non ha mai commesso alcun crimine.

È questo il caso di Lukas Santana, il protagonista del romanzo, nato in una famiglia entrata clandestinamente in Texas, cresciuto in un contesto di estrema povertà, da cui cerca di uscire entrando in modo marginale nei giri illegali di piccola o media criminalità, quelli - per intenderci - che hanno a che fare col traffico di stupefacenti o con il controllo della prostituzione. Come molti altri ragazzi, cresciuti a calci, pugni e bestemmie, e in estrema indigenza, anche Lukas finisce nelle fila delle bande dei Chicanos dell’amico fraterno (si fa per dire) Blake Morales. Cricca cui Lukas aderisce senza sapere cosa realmente facciano. Solo per guadagnare qualche soldo da portare alla madre Miriam, o per spenderla con la fidanzata Beatriz.

Questo finché non accade l’irreparabile: una persona muore in uno scontro a fuoco, a cui Lukas non è neanche presente, ma che lo vede subito fra i sospettati ed immediatamente arrestato.

A questo punto entra in azione la morsa di una giustizia tutta rivolta alla sola persecuzione e punizione. L’avvocato d’ufficio solo dopo un anno gli si presenta davanti e lo confonde con un altro caso. Fin dal primo interrogatorio gli investigatori gli fanno capire che non c’è altra possibilità che confermare il proprio errore, che è la soluzione migliore. La colpevolezza non è da accertare, ma da confermare, in ogni modo. Del resto, l’assurdo copione investigativo è tutto legale, compreso il fatto che la polizia possa costringere l’indagato a confessare, con ogni mezzo. Anche le percosse. Dichiarato colpevole, Lukas è condannato alla pena capitale e trasferito nel braccio della morte, dove resta in attesa dell’esecuzione per oltre dieci anni.

Dieci anni terribili, vissuti fra depressione e rassegnazione, in un alternarsi di stati d’animo che Elvira Dones racconta mirabilmente, con una scrittura limpida, densa di pathos emotivo, di grande partecipazione umana. Lukas non è solo: riesce a fare amicizia, dopo un po’ di tempo, e Dones rivela una penna delicata nel descrivere le relazioni di Lukas con altri carcerati e anche quelle epistolari, con il criminologo svizzero Thierry Morel e con la zia, la madre e la fidanzata.

Le donne hanno una parte fondamentale in tutta la loro forza disperata: da Miriam, la madre di Lukas, alle zie, Ynez e Flora, alla sorellina Maya, fino a Betty, ovvero Beatriz, la fidanzata che lo vorrà sposare in una cerimonia per interposta persona.

Il mondo femminile diventa un potente fulcro narrativo: Elvira Dones è bravissima nel descrivere situazioni (attraverso immagini, suoni, odori), ma anche esistenze ferite nel profondo, abbandonate a se stesse, in balìa di un destino crudele ed ingiusto. Dones dimostra una capacità non così scontata nei dialoghi a volte fulminei, asciutti, abilmente costruiti su nuclei incandescenti delle relazioni familiari che sanno raccontare coralmente con la voce delle protagoniste e di Lukas le pieghe più segrete di un’esistenza passata nel braccio della morte.

Quando, ad esecuzione avvenuta, resta un senso di sconvolta impotenza, di rabbia, di dolore, pensando, si capisce la forza della giovane Maya, la sorella di Lukas, che alla sua infinita tristezza per la perdita del fratello, contrappone il bisogno di una vita senza segreti e senza vergogna. E il bisogno di andare avanti. Perché «entrare nel dolore del prossimo era pericoloso, Maya l’aveva capito poco per volta; ogni membro della famiglia aveva la propria scatola di piombo, le proprie catene alle caviglie. Bisognava stare attenti e tenere a bada tutto questo, perciò niente parole che appesantissero il dolore e neppure frasi sdolcinate, ché non ci stavano proprio. Non era colpa di Betty, nemmeno della mamma, e nemmeno di Maya stessa se molte cose le tenevano chiuse a chiave, ognuna per conto proprio e a modo proprio».

Elvira Dones, di origine albanese, vive da anni in Svizzera e scrive in italiano.


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