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La buona condotta di Elvira Mujcicć

La buona condotta di Elvira Mujcicć

L'autrice si ispira a un fatto di cronaca, per tratteggiare un romanzo dai contorni universali. Oltre la retorica della polveriera balcanica affronta un tema importante in un mondo globale: l’identità

Domenica, 16/07/2023 -

In un piccolo paese di confine nel sud-est del Kosovo, di 1.362 albanesi e 1.177 serbi, ci si prepara alle elezioni per il nuovo sindaco, così inizia il romanzo di Elvira Mujcicć La buona condotta (Crocetti editore, 2022).

A essere eletto è un serbo, Miroslav, uomo buono, umile, mite, che crede nella convivenza pacifica tra opposizioni etniche, politiche, storiche. Un uomo, però, incerto al limite dello spaesamento, tanto da scrivere il nome di un altro candidato sulla scheda elettorale. È inspiegabile, pure a se stesso, come alle fine riesca a vincere.

Alcuni sostengono anche che Miroslav con la sua candidatura vuole «mandare un messaggio al mondo democratico occidentale»: solo la loro è la vera democrazia tanto da definirla addirittura «una democrazia sovversiva».

Gli uomini del paese ricordano, non fanno sconti e non perdonano. La guerra nella ex Iugoslavia è ancora lì. Le tensioni e la paura (mai del tutto sopite) non permettono a nessuno di sentirsi veramente al sicuro. Il Kosovo degli albanesi è conto il Kosovo dei serbi e viceversa, commenta l’autrice tra le righe. Forse anche per questo «gli albanesi si fidavano di lui per lo stesso identico motivo per cui i serbi lo guardavano con sospetto: durante la guerra degli anni Novanta aveva disertato. Se ne era andato in Germania; un codardo col culo al sicuro, chiosavano i serbi, un uomo retto, con una coscienza vigile, sostenevano i suoi amici albanesi».

Da Belgrado, però, non accettano l’elezione e inviano un altro sindaco, Nebojša, anche lui serbo ma temerario, nazionalista, sicuro, che si spinge sempre oltre rispetto a Miroslav. Cerca di gettargli addosso tutto il fango che può, per poi capire che Miroslav solo ha la capacità e la coscienza di sopportare gli oneri di essere il sindaco di una cittadina divisa.

Tra i due (e le varie fazioni a loro legate) nascono subito disagi, che però non portano alla guerra. Nebojša pur cercando in ogni modo di far leva sui ricordi più duri della guerra e sulle ipotetiche colpe e sui segreti di Miroslav, non riuscirà a creare il dissapore e l’odio per il quale è stato mandato.

Elvira Mujcic parte da un fatto di cronaca, per tratteggiare un romanzo dai contorni universali, oltre la retorica della polveriera balcanica, e cuce storie per aprire a una questione importante, in un mondo globale: l’identità.

Il romanzo inizia con la presentazione dei personaggi: presenta Miroslav, ‘colui che onora la pace’, questo sta a significare il suo nome; Nada, ‘speranza’; Zdravko, ‘colui che è in salute’; Ludmila, ‘cara alla follia’. Infine, Nebojša, ‘colui che non ha paura’ e Vlado, ‘colui che regna’. Nomi che si reggono in delicato equilibrio tra la sorte e la condanna, come se costituissero una continua tensione tra conflitti interni, esterni e la vita dei personaggi.

Mujcicć ridefinisce i confini oltre i concetti rigidi del nazionalismo, apre alla possibilità e, con senso della misura e delicata sensibilità, unisce storia e invenzione, reale e surreale per parlare di conflitto, pace e umanità in tutta la sua complessità.

Il personaggio più interessante risulta Ludmila, un personaggio poetico e folle ma forse più poetico che folle è stata un po’ la chiave. È una donna ai margini, ne' La buona condotta, segnata dalle crisi psicotiche, che l’hanno attraversata nell’adolescenza e poi, più avanti, nella vita. Una psicosi che viene diagnosticata come erotomania.

È considerata dal paese intero come quella strana come quella freak della comunità. E, invece di soccombere sotto questa etichetta, trova una via di fuga nel suo stare poeticamente nelle cose. «Dietro una finta ed eccentrica follia sta nascondendo quella vera, che terrorizza […] ogni volta che si è aperta ogni volta che ha detto la verità l’hanno condannata», perché un mondo così organizzato non vuole sentire ragioni, che non appartengano al patriarcato.

Ludmila è anche metafora di chi decide di raccontare gli altri, per nascondersi e non farsi vedere. Infatti, tiene a mente tutta la vita, le storie e le minute gesta dei concittadini. Ma attraverso le sue elaborazioni poetiche, riesce a innescare il proprio cambiamento e quello degli altri. Anche le piccole composizioni con cui si rivolge agli altri, sono la spinta al loro cambiamento.

L’arte di Ludmila è a metà tra la capacità dello scrittore e quella di un grande conoscitore dell’animo umano. E in tutto questo trova i suoi modi di guarigione. Spostare tutto dalla testa e dalla pancia al cuore, alla poesia può essere il motore di cambiamento di un luogo e anche delle persone.

Elvira Mujcic era una bambina, quando scappò da Srebrenica con la madre e i fratelli, nei giorni del genocidio. Suo padre e suo zio finirono invece inghiottiti dalla pulizia etnica. Da allora la scrittrice italobosniaca ha vissuto sulla propria pelle l’esilio, lo sradicamento e le difficoltà di integrazione in un altro Paese.

L’Italia è stata luogo nel quale ridefinire la propria identità e a ricomporre la sua vita, scoprendo il potere salvifico della letteratura. Nella sua opera prima, lo struggente racconto autobiografico Al di là del caos, ha ricostruito i suoi primi anni da immigrata.

L’italiano, lingua neutrale, è diventato luogo di «una scoperta liberatoria», che l’ha arricchito e le ha consentito di dimenticare le esperienze tragiche vissute. «Senza l’italiano non avrei scoperto la mia scrittura e forse avrei maturato anche un modo diverso di pensare», ha affermato in un’intervista all’Avvenire.

La buona condotta è tra gli ottanta libri da cui è stata, poi, tratta la dozzina finale del Premio Strega 2023.


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