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 La cattiva ragione per manifestare il 23 novembre a Roma

La cattiva ragione per manifestare il 23 novembre a Roma

In vista della manifestazione per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne si accende il dibattito sul tema della prostituzione

Lunedi, 18/11/2019 - La buona idea da parte delle attiviste di Non una di meno di aprire le pagine social del movimento alle motivazioni individuali circa la partecipazione alla manifestazione romana del 23 novembre, in occasione della ricorrenza del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, sta diventando un boomerang negativo.
L’hastag #DICCIANCHETUILTUOPERCHÉ racconta le decine di ottimi motivi che le donne di ogni età, provenienza, condizione sociale e lavorativa adducono per essere scontente e indignate della condizione delle donne in Italia e nel mondo.
Appare chiaro che, fino a prova contraria, le motivazioni sotto forma di brevi frasi sono caricate on line senza filtro, in nome dell’apertura e dell’ascolto della molteplicità delle visioni e dei desideri di ognuna.
Il problema è, però, quando si offre spazio all’attacco verso una attivista che non la pensa come una parte del movimento italiano sulla prostituzione. L’attivista in questione è Rachel Moran, convinta abolizionista e da anni portavoce a livello globale della lotta contro la riapertura dei bordelli, (che in Italia trova entusiastici sostenitori a destra, in particolare nella Lega Nord).
Il suo libro Paid for, tradotto in Italia grazie al gruppo Resistenza femminista con il titolo di Stupro a pagamento - la verità sulla prostituzione è usato (senza citazione della fonte) in una delle frasi motivazionali in questo modo: “Il 23 novembre vado a Roma perché c’è chi definisce ‘stupro a pagamento’ le scelte consapevoli che faccio sul mio corpo”.
Sembra assai lontana la visione femminista del movimento degli anni ’70, quando in piazza si affermava contro gli stereotipi e la violenza patriarcale Né puttane né madonne, solo donne.
Rivendicare la vendita del corpo come libera scelta, e quindi la prostituzione alla stregua di un lavoro come un altro, è un inciampo non di poco conto per un movimento come Nudm, che ha espresso sin da subito forte contrarietà verso il neoliberismo, che come è noto è un sistema economico, culturale e sociale che mette al centro della sua ragion d’essere il mercato, quindi la legge del denaro e del profitto senza nessuna considerazione delle relazioni e del rispetto tra esseri umani, ambiente e altri animali.
Eppure, sul tema della prostituzione, Nudm pare contraddirsi circa la critica del neoliberismo: grazie alla traduzione pubblicata sul sito dell’attivista e studiosa Il ricciocornoschiattoso di un articolo di Jindi Mehat è possibile ragionare sul fenomeno che lei definisce ‘la nuova religione della scelta’, che bene si manifesta con la frase che attacca la Moran.
“Uno sguardo attento -sostiene Mehat- rivela che il 'femminismo della scelta' non è affatto femminismo. Il femminismo chiede che le donne sfidino le condizioni materiali della nostra oppressione e agiscano coraggiosamente per la nostra liberazione, nella consapevolezza che questo ci renderà dei bersagli e, in molti casi, ci allontanerà da quelle persone a cui teniamo che non sono disposte o in grado di stare dalla nostra parte. Il femminismo liberale non chiede nulla per le donne. Invece, sostituisce alla dolorosa auto-autoanalisi e ad un’azione audace dei mantra e delle parole d’ordine che consentano alle donne di evitare le sanzioni che inevitabilmente comporta lo sfidare i sistemi di potere radicati. Le donne che scelgono il femminismo liberale hanno scelto di non combattere il patriarcato per liberare tutte le donne dalla gabbia in cui vivono oppresse – ma stanno scegliendo di rendere quella gabbia più comoda per sé stesse”.
Curioso che questo ordine di pensiero sia adottato da chi, come Nudm, dice di essere lontana mille miglia dalla logica liberista.
Il libro di Rachel Moran ha dato molto fastidio in un mondo, quello dell’industria del sistema prostituente, dove non si scherza se si mettono in discussione gli enormi guadagni economici e il sistema di potere impressionante e spietato dell’industria della prostituzione. “Non mi stancherò mai di lottare perché la gente capisca che la prostituzione non è un lavoro come un altro”, dice un’altra testimone dell’orrore della prostituzione, Fiona Broadfoot, attiva nell’associazione SPACE.
Consiglio, per andare oltre agli slogan che, contenendo la parola ‘scelta’ rischiano di legittimare e normalizzare azioni in palese contraddizione con la liberazione dall’oppressione patriarcale, la lettura del crudo resoconto di cosa sia ‘lavorare’ in un bordello, e riflettere sulle parole di Julie Bindel, che sostiene che “non finirà la violenza contro le donne in un mondo in cui accettiamo la prostituzione”. Le moltissime reazioni indignate di femministe al cartello motivazionale che rivendica il prostituirsi come ‘scelta consapevole’ dicono che la contraddizione è forte e il conflitto aperto.

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