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La mastarmiera, il racconto di Matilde Tortora

La mastarmiera, il racconto di Matilde Tortora

In quell’emporio vendono e sono esposte in bella vista su ripiani senza protezione anche alcune leccornie...

Mercoledi, 01/07/2020 - La mastarmiera,  il racconto di Matilde Tortora

Si può correre all’indietro? che dico? scorrere? I bambini questo pomeriggio mi hanno chiesto di portarli alla pompa di benzina che sta vicino casa, per comprare loro un gelato nel piccolo emporio da cui pure camionisti, passanti si fermano a comprare birra, acqua, panini.
Si certo, andiamo - dico e controllo se ho moneta bastante.

Come se uscisse anch’essa, frugando in borsa, da quel rovistare, mi viene fuori dire “i topi non avevano nipoti”, forse anche per avere scorto qualche volta, passando lì di sera, qualcuno di essi sgusciare via.

Adesso si può finalmente uscire pure noi e non per sgusciare. Tengo per mano i bambini, la loro frenesia di andare all’emporio la avverto nell’accaldato incavo dei palmi delle manine, che mi trasmettono di accelerare il passo, di fare presto.
In quell’emporio vendono e sono esposte in bella vista su ripiani senza protezione anche alcune leccornie: cioccolatini, caramelle, lecca-lecca, fischietti, piccole riproduzioni in plastica scadente di eroi dei cartoni animati (ma Topolino lui non c’è), buste di liquirizia a rondelle.
Dico ai bimbi accaldati di non correre. E ripenso all’improvviso alla mastarmiera.

Anche da lei c’era un banchetto, ma con una copertura di vetro a difesa delle piccole squisite cose che noi, usciti da scuola, già con l’acquolina in bocca, ci precipitavamo a guardare, sporgendoci e accalcandoci, con pochi spiccioli in tasca, per lo più insufficienti.
Cioccolatini anche lì, caramelle piccole e tonde, nude esse e colorate di ogni più accattivante colore, a volte a strisce di vari colori, stecchetti di radice di liquirizia, bovoloni che erano gli antenati dei biscotti wafer di adesso dal nome tanto goloso, biglie di vetro colorate che lasciavano intravedere in trasparenza un certo qual paradiso di competizioni, di giochi, anche di inabissamento in luoghi proditori dove poi, a volte molto tempo dopo sarebbero state rinvenute.

In quel negozietto c’era pure una molatrice, dove appunto quella donna minuta e perennemente vestita di nero ridava nuova possanza a forbici, coltelli, coltellini- “forbici, coltelli e coltellini, oggetti pericolosi per i bambini”- ci risuonava in testa quando, stando lì, non potevamo fare a meno di guardare anche quelle pericolose robe là.

Maestra d’armi dunque, noi bambini la conoscemmo di persona e tanto, tanto tempo prima di incontrare nelle storie, nei libri figure femminili siffatte.
“Avevi visioni d’un evo ove nudi noi si viveva” - e no, non si tratta qui di ripensare a Clorinda, all’ignudo vertiginoso e possente della poesia di Tasso, che seppe creare figure femminili che io già avevo conosciuto all’uscita di scuola, andando dalla mastarmiera che, seppi anni dopo, campava da vedova la famiglia e molti figli con quel bugigattolo e la molatrice.
Apprendo dalle cronache di oggi che molti piccoli esercizi commerciali non ce la faranno a riaprire dopo la chiusura imposta dalla pandemia.

Oh, come vorrei possedere anch’io la parola che corre all’indietro, e che si potesse riconoscere anche oggi il loro ruolo!

Siamo arrivati, i bambini oltre al gelato, desiderano portarsi via anche due piccoli eroi in plastica scadente, riproduzione degli eroi dei cartoni animati che vedono in tv. Li accontento, come potrei non farlo? Uscendo dall’emporio, con nelle narici l’odore acre della benzina, mi volto e cerco con lo sguardo quella figura minuta in nero che maneggiava con maestria forbici, coltelli, coltellini e una affilata, pericolosa mola…, questa volta sono io ad affrettare il passo. I bambini mi guardano stupiti.

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