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La narrazione fuorviante di un figlicidio

La narrazione fuorviante di un figlicidio

La tragedia di Margno induce a mettere in discussione il ruolo che i media svolgono nel raccontare le cause di un efferato crimine, quale è il figlicidio

Martedi, 30/06/2020 - Da poco tempo ad un uomo è stato comunicato dalla moglie la sua volontà di separarsi. Ciò nonostante la donna decide con lui che continueranno a vivere sotto lo stesso tetto coniugale, probabilmente per non turbare i propri figli.
Le era sembrata una decisione corretta, se non proprio giusta. Quell’uomo decide allora di prendersi una vacanza con i bambini e li porta, come era solito fare, in montagna.
E’ lì che si determina, dopo qualche giorno, a mettere in atto il suo piano criminale. Deve fare pagare alla donna la colpa di quella decisione e allora che fa? Programma eventualmente di ucciderla, come avrebbe potuto essere se solo avesse incentrato su di lei la sua vendetta? No, la pena della moglie non si può scontare solo con la morte, bensì con un fine vita continuo, perseverante e dilaniante. Le uccide conseguentemente i figli, vittime innocenti del suo astio verso la donna.
E, poi compiuto il vile gesto assassino, l’uomo programma pure la sua morte.
E’ per caso una storia romanzata questa? No, è la realtà della tragedia di pochi giorni fa a Margno, dove Mario Bressi ha ucciso il figli, Diego ed Elena, per condannare a vita la moglie Daniela Fumagalli. Altrettanto reale è la narrazione distorta che i media ne hanno fatto, imputando il gesto omicida al “dramma della separazione coniugale” e focalizzando in tal modo la propria attenzione sui tormenti dell’uomo, a mo’ di assoluzione postuma del suo efferato gesto. Originato, quello sì, dalla determinazione di non arrendersi alla decisione della donna di liberarsi dal vincolo coniugale. Mai e poi mai Daniela avrebbe pensato che sarebbero stati i suoi figli a pagare la propria scelta. Perché quella libertà, seppure suo marito non l’abbia accettata, non le è stata riconosciuta dai media che invece hanno scritto che il movente di quella tragedia era nella separazione matrimoniale?
Se anche loro non considerano nel suo giusto valore quella libertà, allora sì che come società abbiamo un grosso problema, si direbbe anche serio. Perché quell’uomo alla fine potrà anche essere considerato un assassino dalle legge, ma il comportamento dei nostri organi d’informazione come dovrà essere valutato? Come quello di soggetti autorevoli della nostra società che avallano la tesi per cui una donna non possa scegliere di porre fine ad un matrimonio, senza il rischio di vedersi ammazzati i propri bambini? Ma, allora, qui non ci si limita ad un racconto tossico, per caso si arriva fin dentro al cuore di un sistema sociale, che non riconosce ad una donna il diritto di scegliere della propria vita?
La risposta a queste domande potrebbe essere positiva solo che noi considerassimo i media immagine speculare del proprio contesto sociale di riferimento. E, in effetti, la loro narrazione avvelenata sembrerebbe rispondere all’esigenza di lettori famelici di quel particolare pathos degno dei peggiori romanzi d’appendice. La sofferenza dell’uomo lasciato dalla moglie, i tormenti della sua anima, le elucubrazioni della sua mente costituiscono uno specifico punto di riferimento del racconto di un figlicidio conseguente ad una separazione familiare. Evidentemente piace un racconto così impostato, se la moltitudine dei giornali che hanno scritto della tragedia di Margno si è profuso in siffatte argomentazioni.
La realtà dura e cruda vede, invece, bambini ed adolescenti che, molto spesso colti nel sonno, diventano bersagli di carne ed ossa per colpire il vero e proprio obiettivo umano che interessa all’assassino, ossia la donna che ha osato infrangere l’unità familiare. A lei è indirizzato un messaggio ben preciso, per il quale su di lei deve ricadere la colpa della morte dei propri figli, come pena dell’avere rivendicato per sé una vita senza il suo compagno. In fondo nella mente di assassini del genere la famiglia è intesa come una proprietà piena ed esclusiva che sono disposti a difendere fino alla sua morte. Non amano il sangue del loro sangue se non perché ne sentono di essere i possessori e, se tale status viene meno, non disdegnano di mettere fine ai giorni della loro prole.
Il proprio disegno criminale è frutto, quindi, di un calcolo preciso, dare la morte ai figli, per condannare a vita le mogli.
Come sostiene il prof. Claudio Mencacci, già presidente della Società italiana di psichiatria: «Questi uomini cercano la vendetta nei confronti della moglie e per questo vanno a colpire l’elemento di maggiore fragilità della famiglia: i figli, o meglio ancora le figlie che sono più fragili, più deboli, che non possono contrastare il loro gesto omicidiario. Si tratta di femminicidi scatenati dalla rabbia per aver perso il controllo della famiglia. .…Si tratta di uomini che hanno paura di rimanere soli, che stanno vivendo un senso di perdita, che ritengono di aver perso il controllo della loro famiglia e che non possono accettarlo».
Questo modo di intendere il nucleo familiare in psichiatria si definisce “feudalesimo affettivo” e si connota come la rivendicazione maschilista della sovranità in tale contesto. In quanto tale, ogni gesto violento ad essa riconducibile si qualifica come consapevole, ragione per la quale è completamente fuorviante ricorrere a termini come raptus o follia omicida. Il figlicidio, come anche il femminicidio, diventa così una realtà connaturata alla mancata accettazione da parte dell’uomo della volontà della donna di lasciarlo. Tant’è che alcune statistiche approntate dai criminologi pongono l’aumento delle uccisioni dei propri figli in stretta relazione con l’incremento delle separazioni e divorzi. Conseguentemente sarebbe bene che i media comprendano che il nesso, tra quell’atto criminale e la volontà della donna di rompere un vincolo coniugale, non è per niente un mero rapporto di causalità.
Non è il movente della morte dei suoi figli, perchè invece ne è causa la concezione che l’assassino ha della famiglia, come mera espressione del suo predominio. Contro questa particolare forma culturale, certamente non rispettosa dei soggetti che ne fanno parte, né al passo con i tempi odierni, ogni soggetto deputato a svolgere ruoli d’informazione deve farsi promotore di un vero e proprio ribaltamento di paradigma. Ove non lo si faccia, si diventerebbe idealmente corresponsabili di perpetrare nel tempo una cultura sbagliata, con la conseguenza di dovere trovare a tutti i costi giustificazioni fuorvianti per l’uccisione dei figli da parte dei padri. “Non è la famiglia, la compagna, i figli a togliere spazio e libertà: sono loro a togliere la vita in nome di un maschilismo retrogrado e stupido” (Maria Rosaria Mandiello).
Si legga, quindi, nel suo giusto valore l’ultimo messaggio che Mario Bressi ha indirizzato alla moglie Roberta prima di dare la morte a Diego ed Elena, così da comprendere che quel "Hai rovinato una famiglia" non significa che la donna, con la sua decisione di lasciare il marito, è causa di quelle morti.

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