Login Registrati
L’aborto, trent’anni dopo

L’aborto, trent’anni dopo

Legge 194 - “... la pressione più forte, dentro e fuori dai partiti, fu la scesa in campo delle donne, divenute "movimento" a prescindere dalle sigle delle associazioni a cui appartenevano”

Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2009

L'anno che è appena trascorso ha segnato molti anniversari - la Costituzione, la Carta dei diritti dell'uomo, il Sessantotto...- ma ha registrato anche i trenta faticosi anni della 194. Il tempo corre veloce e le più giovani non hanno l'idea di quanto fosse difficile solo tre decenni fa perfino pronunciare la parola "aborto".
Ce lo ricorda in un prezioso libro appena edito da Bruno Mondadori (L'aborto in Italia, storia di una legge) Giambattista Scirè, già autore lo scorso anno per lo stesso editore de Il divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al referendum.
Anche a me ha rievocato il senso di un grande conflitto di cui sono stata testimone molto coinvolta. Anch'io mi sono trovata del tutto più che impreparata, sorpresa da quell'emergere di una questione sommersa per secoli. Perché per secoli si è abortito nel silenzio e nella colpevolizzazione delle vittime. così come oggi in tutto il Sud del mondo. Ovviamente anch'io conoscevo il significato della cosa, ma non la sua spaventosa entità: non nel senso che, forse, una mia compagna di scuola aveva avuto quel problema senza che nessuna di noi ne sapesse nulla...
Il congresso del Movimento di Liberazione della Donna del 1971 fu la prima manifestazione nazionale che svegliò l'opinione pubblica più di quanto non avessero fatto le denunce che, gradualmente, erano venute evidenziando l'ipocrisia di una situazione insostenibile. Già nel numero di febbraio del 1961 Noi Donne aveva pubblicato i risultati di una coraggiosa inchiesta con cui si testimoniava che ogni cento gravidanze regolari cinquanta venivano interrotte con pratiche che spesso portavano alla morte. E dall'ambiente medico venivano le denunce della gravità di una situazione che copriva con il silenzio (e, per i casi di complicazioni che arrivavano agli ospedali) con pietose certificazioni false quello che il codice registrava come reato. Anche la Chiesa aveva percepito l'allarme della pubblicizzazione del gravissimo "peccato", ma la sua reazione passava letteralmente sopra il corpo delle donne: anche il clero più sensibile - quello che praticava le confessioni - trattava questa materia senza sentire in alcun modo la responsabilità che coinvolgeva l'uomo e, senza percepire la gravità della doppia morale per cui la legge che reprimeva a parole un "crimine" non veniva quasi mai applicata per una tacita liberalizzazione di fatto della sua pratica, ripeteva le condanne. Vale la pena di ricordare che, - un altro anniversario - l'enciclica Humanae vitae nel 1968 aveva condannato la contraccezione.
Anche nel resto dell' Europa occidentale - pur con numeri indubbiamente inferiori - i nodi della questione erano arrivati al pettine e aveva fatto scalpore a Parigi l'autodenuncia di Simone de Beauvoir e di altre femministe. Altrove, tuttavia, si era arrivati a legiferare e, comunque, si ammetteva la contraccezione.
L'Italia politica si venne scontrando con un problema che avrebbe volentieri voluto rimuovere. La destra perché la DC doveva adeguarsi al Vaticano e il Movimento sociale era d'accordo con il "suo" codice Rocco, la sinistra perché il problema era scomodo e si preferiva attaccare il Partito Radicale e Pannella per la loro gridata richiesta di "aborto libero". Tuttavia radicale era anche Adele Faccio che, da donna, alzò il livello della denuncia con l'apertura di centri per l'aborto e promosse l'adesione, anch'essa rumorosa, di gran parte dei movimento femminista. Nel febbraio 1973 il socialista Fortuna (ma con la firma anche di Craxi) presentò la prima proposta di legge e il Parlamento dovette prendere atto dell'alzarsi del livello di necessario impegno richiesto dal problema. Di fatto, tuttavia, la pressione più forte, dentro e fuori dai partiti, fu la scesa in campo delle donne, divenute "movimento" a prescindere dalle sigle delle associazioni a cui appartenevano. La raccolta di firme dell'Udi raccolse in breve ottocentomila firme. Vennero le proposte anche delle altre parti politiche e il PCI, pur contrastato dalla sua parte femminile, avanzò l'infausta proposta della "casistica" delle situazioni in cui si poteva autorizzare la donne all'interruzione volontaria di gravidanza: il partito che dettava "la linea" alla sua base ubbidiente vide per la prima volta cortei di donne che facevano mostra di stracciare la tessera in movimento verso le federazioni.
Pierpaolo Pasolini espresse la contraddizione morale fra "la furibonda, totale, essenziale volontà di vita" del feto e la difficile condizione della donna. Polemizzò con la Chiesa che definiva la pratica abortiva "strage degli innocenti" perché dimenticava la "strage delle innocenti" e sostenne che il problema doveva restare sociale e giuridico. Gli intellettuali di sinistra reagirono variamente, ma in particolare si rafforzò la divisione del mondo cattolico: la parte conservatrice, escludendo i liberali e i repubblicani, "ubbidiente" seguiva il Vaticano, ma molti sostenevano pubblicamente la necessità di affrontare seriamente il problema riprendendo le tesi sull'animazione del feto solo al terzo mese espresse nel Medioevo da san Tomaso e sostenendo l'autonomia della donna. Tuttavia non fu facile intendersi neppure all'interno del gruppetto di cattolici progressisti che erano stati eletti dal PCI. Io dovevo l'elezione alle donne, ma, essendo cattolica, mi trovai sola rappresentante di genere tra "i maschi del compromesso storico". Non fu facile e riconosco che fu debolezza aver lasciato la mia firma su una proposta di legge dei "cattolici democratici" che a me era subito sembrata una sciocchezza in linea di principio: che differenza c'è, infatti, tra un cattolico e un non cattolico? In teoria nessuno pensa che abortire sia una bella cosa e, se i cattolici lo definiscono "peccato", non è grande questione. Di fatto, invece, si trattava di sanare il diritto dall'ipocrisia della doppia morale e, soprattutto, di aiutare la donna che era palesemente "la vittima" di un incontro da cui lei non avrebbe voluto derivare una maternità. Poteva essere uno stupro, ma, anche nel matrimonio era sempre una violenza. Eppure ho passato serate a spiegare a uomini adulti, padri di famiglia, deputati e senatori che ritenevano giusto estendere il periodo "di riflessione" della donna prima di concederle l'autorizzazione: “allora, il primo mese non se ne accorge, il secondo corre ai ripari; se le imponiamo un intervallo di quindici giorni arriva al terzo mese. Dite che non vogliamo e facciamo prima...”.
Le donne si erano trovate unite - anche con le democristiane - nel 1975 per rinnovare il diritto di famiglia e anche per l'aborto trovarono un'intesa, anche se clandestina e implicita. Tutte sapevano che il problema era comune e che la ragazza che frequentava la parrocchia e che, non potendo ricevere l'assoluzione ma dovendo prendere la comunione per evitare pettegolezzi, commetteva un sacrilegio che la colpevolizzava ancor di più. Tutte le madri cattoliche potevano giurare per sé, ma non per le figlie e le amiche delle figlie... Fu così che, quando, approvata la 194, la DC e la Chiesa decisero e sostennero il referendum abrogativo, due terzi del paese votarono per il mantenimento della legge. Fu una vittoria delle donne, di cui i partiti ebbero paura e che coprirono di silenzio.
Oggi, a trent'anni di distanza, il mondo è cambiato e si capisce che il silenzio non ha giovato. La parola aborto non fa più paura, anche se la Chiesa parteggia per l'embrione e non evangelizza se stessa e i maschi. La contraccezione è lasciata all'intelligenza privata. La scienza ha realizzato la pillola abortiva. Le ragazze, allora, sono più libere? Difenderanno la legge, se sarà riformata?
Pasolini diceva che l'aborto rischiava di diventare un'altra delle “comodità del sistema“ che sottometteva gli italiani al "potere dei consumi e del nuovo fascismo". Come donne non è così tanto cresciuta la nostra libertà da essere "pari" in tutti i rapporti, anche personali: c'è violenza sulla strada, ma anche quando ammettiamo qualcuno nel nostro letto. Che ci amiamo, che siamo coppia stabile o che ci prendiamo soltanto un po' di piacere, noi non siamo "pari" se non vogliamo derivare una maternità dall'incontro.
Eppure l'aborto e tutti i suoi problemi, i traffici degli obiettori e dei farmacologi, la prediche morali e moraliste finirebbero in un sol giorno se valesse la regola che due che desiderano avere un rapporto si dicano se sono disposti a derivarne un figlio o a chiedere, altrimenti, chi dei due si "protegge"?
Ragazze, oggi non rischiate più di morire di prezzemolo o di ferro da calza, anche perché 500 euro da dare a un medico, eventualmente obiettore, ce le avete tutte; poi qualche pillola del giorno dopo ve la potete assumere (anche se con precauzione). Ma perché ci deve essere disparità di dignità, di responsabilità, di potere con i maschi, anche quelli che amiamo davvero e che davvero ci amano?
Forse farebbe bene a tutte - e a tutti - leggere il libro di Scirè: è un libro di storia con la maiuscola.


L’aborto e la responsabilità

In 30 anni la legge 194, che pure ha contribuito alla riduzione dell’IVG, ancora è oggetto di discussione. La D’Elia - Vicepresidente e Assessora alla Cultura della Provincia di Roma - parte da una rilettura dei testi femministi e del dibattito politico e istituzionale dell’epoca per ricostruire storicamente e da un punto di vista femminista ‘il processo di elaborazione del principio di autodeterminazione da parte delle donne e le vicende che portarono nel 1978 all’approvazione della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza’. Obiettivo del libro è “non perdere un patrimonio di riflessione che donne di generazioni diverse hanno prodotto e che rischia di essere offuscato dal discorso pubblico”. In questo senso l’autrice, tra l’altro, sottolinea che il principio di autodeterminazione “così come elaborato dalle donne, è stato per loro misura della propria esperienza” ed esamina le differenti posizioni tra il femminismo “della libertà” (che chiede la depenalizzazione) e quello “istituzionale” (che difende la legge). L’ultimo capitolo è dedicato alla procreazione assistita che, con il fallimento dei referendum abrogativi del 2005, pone la donna e la madre nella condizione di “inessenziale contenitore di un processo vitale su cui non può intervenire”.

L’aborto e la responsabilità
Le donne, la legge, il contrattacco maschile
Cecilia D’Elia
Ed Ediesse, pagg 149, euro 9,00

(24 febbraio 2009)

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®