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L’inquieto amore tra figlia e madre - di Loredana Magazzeni

L’inquieto amore tra figlia e madre - di Loredana Magazzeni

Il libro di Nadia Tarantini edito da Iacobelli "Amore inquieto": un ringraziamento alla madre per il dono della scrittura

Mercoledi, 26/02/2020 - Inizio da queste parole di Nadia Tarantini: “La scrittura, ne sono convinta, ce la danno le madri. Non soltanto perché sono materne le prime parole che impariamo; ma perché le madri ci offrono il contesto per raccontare, le scene dell’immaginario con le quali ci spiegano il mondo”. Nella pagina assegnata a “Dediche e ringraziamenti”, nel suo romanzo Amore inquieto (Iacobelli, 2019) Tarantini ringrazia sua madre per la scrittura che le ha trasmesso (anche attraverso la lettura del suo diario, scrive), ringrazia le altre figure familiari (la sorella, la zia, la nonna) con cui ha condiviso l’infanzia, ma anche le sorelle di scrittura legate al mondo della SIL e a Leggendaria, che hanno sostenuto e incoraggiato questo romanzo, portato in gestazione 15 lunghi anni a partire dalla morte della madre.

La matrilinearità come una costante del mondo delle donne è una acquisizione del movimento femminista: ce lo ricorda un testo fondamentale come L’ordine simbolico della madre, di Luisa Muraro, che solo accolto dentro di noi, assieme all’amore per la madre, ci dà autenticità e completezza (1). Attorno al tema della relazione madre-figlia si sono sviluppati dagli anni Ottanta innumerevoli studi e filoni di ricerca che hanno attraversato la psicanalisi e la psicologia, soprattutto con gli apporti di Silvia Vegetti Finzi e di Anna Salvo, ma anche con i romanzi e la poesia.
Per delineare il complesso rapporto che lega la protagonista Eleonora alla madre Bruna, e dietro di lei, a sua nonna Elena, mi è di aiuto la figura filosofica introdotta da Adriana Cavarero dell’inclinazione: partendo dalle raffigurazioni di S. Anna Metterza (dove Maria appare fra il bambino e la madre Anna) si crea un triangolo dove non esiste più la figura retta quanto il suo sporgersi verso l’altro in un atteggiamento di relazione. Secondo Cavarero, “dentro i dispositivi rettificanti della tradizione filosofica si annida un io egoistico, chiuso in sé, autosufficiente e autoreferenziale, mentre nella figura dell'inclinazione prende forma un sé altruistico, aperto e spinto a uscire dal suo asse per sporgersi sull'altro” (2). Questo è l’assetto delle figure in Amore inquieto: sbilanciate l’una sull’altra da una inclinazione relazionale che dura e durerà tutta la vita, esse conservano in sé il germe di quello che saremo o siamo stati, come in una cavità materna quasi platonica di figure il cui riflesso si fa in noi interpretazione del mondo.

Da qui la lotta spesso impari che le figlie ingaggiano con la madre, in un difficile equilibrio tra fusionalità e ricerca di individuazione. Non per niente Adrienne Rich parlava per quella fra madre e figlia di una “grande storia non scritta”. I corpi tendono alla somiglianza fino alla sovrapposizione, i fantasmi tornano a interrogarci, madri diversamente lontane si muovono in bilico fra presenza, assenza e nostalgie o rancori (3).

Lo sfondo integratore della narrazione della madre è quello del movimento delle donne e della pratica dell’inconscio. Per Silvia Vegetti Finzi, quella su madri e figlie è una “narrazione infinita”, che va oltre le singole vite, perché, “solo noi ci conteniamo, come nelle matrioske russe, l’una nell’altra”. Un rapporto così speculare per cui importava fino agli anni Cinquanta “essere una come lei”, e a partire dalla contestazione degli anni Settanta “non essere mai una come lei”, in una lotta che non faceva vinte e vincitrici ma permetteva una difficile capacità di convivenza inseguita tutta la vita (4).

“Come parlare della madre senza cadere nella deriva della celebrazione o in quella della contrapposizione rancorosa?” si chiede Anna Salvo, che da psicanalista vede la difficoltà del lavoro analitico necessario a fare i conti con quegli “affetti forti”, “attraversati da una ambivalenza irriducibile”. Salvo ci fa riflettere sul fatto che nello “stendere il proprio romanzo familiare” non sempre alla madre si assegna una centralità, ma esistono invece di lei infinite narrazioni. Quello che ci aspetta, a suo dire, “è un lavoro di ricomposizione, di costruzione, e in un certo senso di creazione della madre” (5).

Scrive ancora Anna Salvo, che quella per la madre è una “nostalgia aperta”, “un percorso sul presente e sul futuro, che ha i tratti nomadi di eros e del perenne cercare”, un percorso dunque forzatamente eccentrico e di crescita, “verso un oggetto mai afferrabile, che ci porta sempre un po’ più in là”.

Anche Saveria Chemotti, che ha dedicato a madri e figlie diversi saggi (6), scrive che “ripensare se stesse attraverso la madre ha comportato un impegno teso a simbolizzare la relazione così da assumere valore legittimante per il femminile” (7).

Così ritratto delle madri e autoritratto si declinano molte volte assieme nella scrittura delle donne, ed è una nuova forma dello scrivere di sé.
Di questo stretto intrico di nodi il romanzo di Nadia dà testimonianza, innanzitutto nell’impianto stilistico che è a scacchiera, come se fosse impossibile una linearità e una temporalità, e come se invece intervenissero a sorpresa e continuamente voci sopraggiungenti e dissonanti, tanto da rendere possibili non una narrazione lineare ma solo inserti continui, flash back e piani di lettura che si sovrappongono come in un teatro della memoria, in cui si è forzatamente sopraffatti dalle passioni dei personaggi.

L’altra fonte da cui partire per questo lavoro è, a mio avviso, quella “scrittura radicata nelle emozioni” che è, come si diceva, sia pratica dell’inconscio, scrittura d’esperienza, come ha testimoniato Lea Melandri, ma anche pratica di benessere e di ecologia di sé, cui Nadia Tarantini ha dedicato, assieme a Maria Teresa Pinardi, Il risveglio del corpo, bestseller che vanta numerose ristampe, e che lei stessa diffonde nei laboratori dedicati alla scrittura dei sensi (8). Per questo vedo un unicum nella produzione letteraria di Nadia, che parte da un’esperienza olistica e sensoriale, ci porta verso il futuro con il romanzo distopico, Quando nascesti tu, stella lucente (9) e nella ricostruzione del passato, attraverso quella autocoscienza in scrittura e poesia che offre a noi in Amore inquieto.

1 Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre, Roma, Ediitori Riuniti, 1991.
2 Adriana Cavarero, Inclinazioni. Critica della rettitudine, Milano, Raffaello Cortina, 2013.
3 AdrienneRich, Nato di donna, Milano, Feltrinelli, 1979.
4 Silvia VegettiFinzi, Madri e figlie. Una narrazione infinita, in Loredana Magazzeni, Fiorenza Mormile, Brenda Porster, Anna Maria Robustelli, a cura di, La tesa fune rossa dell’amore. Madri e figlie nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese, Milano, La Vita Felice, 2015.
5 Anna Salvo, La relazione madre-figlia: un enigma psicanalitico, in La tesa fune rossa, cit.
6 Saveria Chemotti, L’inchiostro bianco. Madri e figlie nella narrativa italiana contemporanea, Padova, Il Poligrafo, 2009.
7 Saveria Chemotti, La poesia come Thesaurus della lingua materna perduta, in Loredana Magazzeni, Fiorenza Mormile, Brenda Porster, Anna Maria Rbustelli, a cura di, Matrilineare. Madri e figlie nella poesia italiana dagli anni Sessanta ad oggi, Milano, La Via Felice, 2018.
8 Maria Teresa Pinardi, Nadia Tarantini, Il risveglio del corpo, La Tartaruga, 1996, poi ristampato e ampliato, Roma, Iacobelli, 2011.
9 Nadia Tarantini, Quando nascesti tu, stella lucente, Padova, L’Iguana, 2017.

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