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Le suore sfruttate dalla Chiesa

Le suore sfruttate dalla Chiesa

L'articolo-shock sullo sfruttamento delle suore all'interno della chiesa nella rivista 'Donne, chiesa, mondo' nell'articolo di Marie-Lucile Kubacki

Lunedi, 05/03/2018 - La rivista 'Donne, chiesa, mondo', mensile dell'Osservatore romano, è diretta da Lucetta Scaraffia, storica e giornalista italiana impegnata nella lotta per il riconoscimento del ruolo femminile da parte del cattolicesimo mondiale e autrice di numerose opere sull'argomento.

L'articolo, dalla penna della giornalista francese Marie-Lucile Kubacki, mette in luce la grave situazione di discriminazione in cui vivono le suore in ambito ecclesiastico. Una religiosa ha deciso di denunciare le condizioni di sfruttamento e umiliazione delle donne consacrate da parte del clero, raccogliendo le testimonianze di suore provenienti da tutto il mondo.

Molte di loro sono chiamate a svolgere mansioni di collaboratrici domestiche per cardinali e vescovi e vengono trattate alla stregua di cameriere, lasciate consumare i propri pasti in cucina dopo aver servito il prelato. Non hanno orari e ricevono poca o nessuna retribuzione. Vengono inviate dalla congregazione e, una volta anziane o malate, sono sostituite, come in una vera e propria impresa di pulizie.

"Tante religiose hanno la sensazione che si faccia molto per valorizzare le vocazioni maschili e molto poco per quelle femminili."

Molte di queste religiose provengono da famiglie povere e spesso sottostanno al ricatto di prestazioni domestiche in cambio di sostentamento per i familiari nel loro Paese. Altre invece sono colte e preparate, ma la chiesa non è disposta a valorizzare l'intelletto femminile, specie delle sue consacrate. La loro vocazione non sembra essere allo stesso livello di quella degli uomini, una persona consacrata alla vita religiosa riceve un trattamento diverso a seconda se uomo o donna, sembra dunque che la chiesa funzioni analogamente al mondo del lavoro: cambia l'ambiente, cambiano gli abiti, ma nulla muta a livello di discriminazione di genere.

"La suora a lungo ha vissuto come membro di una collettività, senza avere quindi bisogni propri."

Ciò può in parte trovare una spiegazione nelle radici storiche delle congregazioni il cui spirito era quello della comunità che si prendeva cura dei propri membri tuttavia questo atteggiamento genera ambiguità. Inoltre, non è solo il clero ad esserne responsabile. Come accade nei casi di ingiustizia e prevaricazione, la responsabilità è spesso condivisa, dove c'è un carnefice c'è spesso anche una vittima che non è stata capace di farsi rispettare ed è stata lasciata sola al proprio destino.

Le stesse madri superiori non ritengono opportuno che le consorelle approfondiscano gli studi o si evolvano nella loro formazione. L'orgoglio è uno dei peccati non permessi alle consacrate e ampliare i propri orizzonti, acquisire competenze e sviluppare l'intelletto potrebbero suscitare l'emergere di questo fatuo sentimento. Dunque sottomesse, remissive, pronte all'obbedienza, diventano prede facili di quegli ecclesiastici che invece non temono né l'arroganza né la prevaricazione, degli altri s'intende.

La suora di cui ci riferisce l'articolo, coperta da anonimato, denuncia casi di religiose colte, impegnate in attività di insegnamento, teologhe, svilite a svolgere mansioni che non richiedono alcuna qualifica, spesso con l'accordo delle superiore. Una retribuzione, così come orari, non sono quasi mai previsti, mentre lo sono per prestazioni da parte dei sacerdoti. Sembra che persino la celebrazione di una messa al di fuori della propria parrocchia dia diritto alla richiesta di un compenso economico. Da laica, personalmente rimango basita al sentir discutere di retribuzioni all'interno di mansioni ecclesiastiche, tuttavia se è così che funziona per il clero deve essere lo stesso per le suore.

Il punto non sta tuttavia nel solo trattamento economico, ma nell'abuso di potere esercitato ancora una volta dagli uomini, in tonaca questa volta, sul genere femminile, ancora una volta sottomesso, accondiscendente e poco consapevole del proprio valore, quasi a voler sottolineare come la frustrazione debba far parte integrante dell'essere donna.

Giovanna Pandolfelli

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