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L'inganno

L'inganno

Un microcosmo interamente femminile, un microcosmo circoscritto, isolato dal resto del mondo e governato da un rigido sistema di regole, elemento molto ricorrente nella produzione della regista e sceneggiatrice americana

Martedi, 26/09/2017 - L'inganno

di Adriana Moltedo esperta di Comunicazione e Media



Per Sofia Coppola figlia di Francis Ford Coppola, L'inganno' è il suo sesto lungometraggio di finzione per il grande schermo, ed è l'adattamento di un romanzo scritto da Thomas P. Cullinan e originariamente pubblicato con il titolo 'A Painted Devil'.



Il libro era stato già portato al cinema da Don Siegel alla regia, Clint Eastwood e Geraldine Page protagonisti e con il titolo italiano 'La notte brava del soldato Jonathan'.



Vincitrice a Cannes della Palma d’oro alla regia 2017



Questo è un film-gineceo in cui i suoi personaggi femminili sono protagoniste assolute, in cui si ripetono certi topos narrativi e segni stilistici già visti nei precedenti film di Sofia Coppola, comprese le attrici muse.



Qui l’incomunicabilità tra uomo e donna è esagerata.



Il soldato nordista Jonathan McBurney, ferito, viene ospitato e curato in un collegio femminile dove la direttrice Miss Martha, l'insegnante Edwina e la giovane Carol si innamorano di lui, unico uomo della casa, giovane e piacente. Dapprima le donne sono divise da rivalità, poi, quando lui vuole imporre la sua autorità, gli servono a tavola un piatto fumante di funghi velenosi.



Miss Martha è l’impeccabile direttrice di un collegio femminile dove i giorni si susseguono uguali, minuziosamente scanditi tra pasti, lezioni, preghiere e faccende domestiche.



Fuori infuria la guerra di secessione americana, la reclusione è forzata e salvifica per tutte, anche se di età, aspirazioni e caratteri diversi. Fin quando un soldato ferito bussa alla porta, in cerca di rifugio: è l’inizio della fine.



Il fuori irrompe prepotentemente nel dentro, gli equilibri vengono ribaltati e tra corsetti troppo stretti e voglia di libertà s’infrangono tab.



In piena Guerra di Secessione, nel profondo Sud, le donne di diverse età che sono rimaste in un internato per ragazze di buona famiglia danno ricovero ad un soldato ferito. Alla ricerca di funghi nel bosco, la piccola Amy s'imbatte in John McBurney, caporale dell'Unione ferito in combattimento.



Dopo averlo curato e rifocillato, Jonathan McBurney resta confinato nella sua camera attraendo però, in vario modo e misura, l'attenzione di tutte. La tensione aumenterà mutando profondamente i rapporti tra loro e l'ospite.



La regista ha trattato il soggetto secondo l'angolo visuale che predilige, ovvero la dinamica delle relazioni femminili, ma non ne ha dato una versione femminista, perché l'esito finale della solidarietà e complicità tra donne, già evidente in Siegel, è declinato in modo inaspettatamente convenzionale.



Colin Farrell non è al livello Clint Eastwood, molto più verosimile nel ruolo dell'ambiguo caporale nordista. Nel nutrito cast femminile spicca Kirsten Dunst, che presta il volto sofferto all'infelice Miss Edwina. Bene in ruolo anche Elle Fanning nel "carattere" della tentatrice Alice; mentre Nicole Kidman interpreta Miss Farnsworth, algida e vulnerabile insieme.



Nicole Kidman ne offre un ritratto sfumato ed ambiguo, mettendo in sordina la componente schiettamente maliziosa e vendicativa della donna, non a caso la famigerata scena dell'amputazione viene racchiusa in un'ellissi e depurata della sua esplicita crudeltà.



L’adattamento diretto da Siegel era una fiaba malata e perversa, un gioiello dark. Sofia Coppola ha attenuando le tinte fosche e sostituendole con una successione di scene decorative una più dell’altra



Un microcosmo interamente femminile, un microcosmo circoscritto, isolato dal resto del mondo e governato da un rigido sistema di regole, elemento molto ricorrente nella produzione della regista e sceneggiatrice americana.



Sofia Coppola rivede un grande classico passando da un genere all'altro con acutezza e con una leggerezza accattivante.



L'inganno si incasella alla perfezione nell'itinerario cinematografico, di impeccabile coerenza e di indubbio fascino, di Francis Ford Coppola



La presenza del caporale in questo inviolabile gineceo sarà fonte di inusuale eccitazione e di tensioni via via meno controllabili.



Ne L'inganno della Coppola, la suspense dai contorni gotici dell'originale appare attenuata, il ritmo risulta più disteso e ieratico, le atmosfere torride e selvagge della Virginia rurale cedono il posto a una perenne penombra, con la fotografia del francese Philippe Le Sourd, in passato collaboratore di Wong Kar-wai, è prodigiosa, e a un'eleganza composta e quasi gelida, merito della costumista Stacey Battat

.

Sofia Coppola adopera il romanzo di Cullinan per farci penetrare nell'universo, sia fisico che interiore, delle sue protagoniste: diverse declinazioni della femminilità, come sintetizzato già in quella locandina magnifica che porta in primo piano le "tre età della donna".



Ma considerare le donne de L'inganno come eroine protofemministe, o giudicare la loro ribellione finale contro il caporale McBurney come un fiero atto di soppressione del potere maschile, ci fornirebbe una visione riduttiva, e probabilmente fuorviante, di un film ben più complesso e problematico.



La Coppola, piuttosto, sembra voler sottolineare il senso di vacuità e di 'sospensione' che domina nelle cupe stanze del collegio di Miss Farnsworth: la stanca ripetizione dei rituali quotidiani, dalle lezioni di francese alla preghiera serale, la noia malcelata della studentessa più matura, Alicia, che una sensuale Elle Fanning trasforma nell'incarnazione dello sfrenato vitalismo della giovinezza, insofferente alle costrizioni della società degli adulti.



Non possono non tornare alla mente le sorelle fragili ma volitive del primo lungometraggio della Coppola, Il giardino delle vergini suicide, anch'esso tratto da un libro di Jeffrey Eugenides, un altro microcosmo femminile tagliato fuori dalla realtà esterna e sottoposto a norme soffocanti e tabù letali.



Nell'intera filmografia di Sofia Coppola, in fondo, si può rintracciare questa inesorabile dicotomia tra la ricerca e la definizione della propria identità individuale e l'ostacolo di quella "gabbia dorata" che, in molti casi, corrisponde alla condizione inquieta dell'adolescenza.



I protagonisti della Coppola vivono da sempre in uno stato più o meno consapevole di cattività, una cattività a cui talvolta tentano di sfuggire, ma a cui più spesso invece si abbandonano con languida arrendevolezza.



Nel caporale McBurney si può identificare quindi l'irruzione dell'Eros in un mondo in cui i moti dell'animo e le pulsioni sessuali sono di fatto proibiti e inconfessabili.



Farnsworth e le sue allieve hanno sconfitto il nemico, ma come la donna ci aveva ricordato in precedenza, "forse il nemico non è ciò che credevamo". E quell'ultima, superba inquadratura, un campo lungo con zoom all'indietro in cui le protagoniste, sempre più piccole, finiscono per apparirci intrappolate fra le sbarre del cancello, ha tutt'altro che il sapore di una liberazione o di una vittoria.



La guerra, i caduti, la causa, il coraggio, la codardia, Nord, Sud… non esiste nulla al Miss Martha Farnsworth Seminary for Young Ladies, universo autoriferito in cui non c’è negoziazione tra esterno e interno ma solo calma, tranquillità, riparo, ubbidienza all’autorità di Miss Martha, alle regole, alle buone maniere, alla carità cristiana.



Un universo immobile che solo la materializzazione del reale può rimettere in moto. Nel momento stesso in cui il corpo del caporale John McBurney varca quella soglia è evidente infatti che l’equilibrio dello spazio chiuso della casa sarà per sempre perturbato.



L’infrazione è compiuta. In quel preciso istante tutte le occupanti della casa prendono coscienza della possibilità di riappropriarsi del proprio spazio e del proprio tempo, di confrontarsi con il sé.

Continuano a ricomporsi come gruppo nelle tante inquadrature che le mettono insieme.



La sotterranea tensione verso l’esterno affiora infatti in superficie e si deposita sui vestiti, sui bottoni, sui nastri per i capelli, sulle spille del giorno di festa improvvisamente riscoperte, sui pendenti di perle sottratti goffamente, sul profumo spruzzato timidamente. Per il caporale? No, per se stesse.



Irrilevante chi egli sia (e per questo è perfetta la scelta di Colin Farrell mollemente abbandonato al suo stesso cieco narcisismo), semplice mezzo arrivato - in stato di incoscienza - solo per innescare la riappropriazione.

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