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#London calling. Sara, economista alla SOAS

#London calling. Sara, economista alla SOAS

Intervista a Sara Stevano che ha partecipato come relatrice all'ultima conferenza della IAFFE a Berlino sull'economia femminista.

Lunedi, 03/08/2015 -
Come ogni anno, lo scorso 16 luglio si è tenuta a Berlino la conferenza della IAFFE, l'International Association for Feminist Economics. L'associazione, costituitasi come ong nel 1992, è nata a seguito di un dibattito tra alcuni studiosi e studiose, iniziato nel 1990, attorno alla domanda "Può il femminismo trovare una casa nell'economia?". Oggi la IAFFE conta oltre seicento membri, in maggioranza economisti ma anche studiosi di altre discipline, in sessantaquattro paesi del mondo.



Perfettamente in linea con l'attualità, il tema scelto per la conferenza di quest'anno è stato l'uguaglianza di genere in "challenging times", ovvero nei tempi difficili che viviamo. Tra i relatori della due giorni una giovane ricercatrice italiana della SOAS University of London, Sara Stevano, alla quale abbiamo chiesto di raccontarci dell'evento e della sua visione dell'economia in un momento in cui, il mondo che decide e che conta - quello della finanza, delle banche e delle grandi organizzazioni economiche internazionali - sembra essere molto distante dai bisogni delle persone, da quella che chiameremmo "economia reale". 



Sara, torinese, ha studiato Economia e Commercio nella sua città, partendo per Londra alla fine del 2008 con l’intenzione di fare un Master in Economia dello Sviluppo. "Mi interessava mettere in relazione gli studi in economia ed il mio interesse per l’Africa a sud del Sahara, e la SOAS mi sembrava il luogo perfetto e così ho tentato". Dopo il Master il dottorato, e per due anni un posto da ricercatrice. "Gli ambiti di ricerca che mi interessano riguardano occupazione e mercato del lavoro, consumi alimentari e nutrizione e sto provando a sviluppare un approccio ispirato all’economia politica femminista per studiare questi temi. Al momento sto studiando i consumi alimentari nelle aree urbane del Ghana e precedentemente ho fatto ricerca sulla partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e sicurezza alimentare in Mozambico". Della SOAS ama "l'ambiente intellettuale unico nel suo genere", e le piacerebbe continuare a lavorare per l'istituzione londinese anche oltre lo scadere del contratto, ma non esclude di potersi spostare se dovesse arrivare un'opportunità di lavoro da qualche altra parte.



Sara, è stata la tua prima volta alla Conferenza della IAFFE? Cosa ti è parso? Il titolo parlava di gender equality nei tempi attuali definiti già nel titolo come difficili. Quali sono secondo te le grandi sfide che come esseri umani, e prima ancora come donne, siamo chiamate ad affrontare?

Sí, ho partecipato per la prima volta alla conferenza della IAFFE quest’anno ed è stata un’esperienza molto interessante. La conferenza viene organizzata ad anni alterni in una cittá del ‘global North’ ed in una del ‘global South’. Quest’anno la conferenza è stata a Berlino ed il tema mi è sembrato molto appropriato. Sicuramente una delle sfide piú grandi attuali riguarda l’utilizzo delle politiche di austeritá per inasprire ulteriormente l’agenda neoliberale. Questo tema è certamente rilevante per i Paesi europei in questo momento storico, infatti molte economiste femministe di rilievo, come Sue Himmelweit e Diane Elson, stanno facendo molta ricerca sull’impatto delle politiche di austeritá che colpisce in modo sproporzionato le fasce piú vulnerabili, come le donne non sposate con figli a carico. Ma uno dei piú grandi contributi dell’economia femminista e, ancor di piú, dell’economia politica femminista è il riconoscere che il Nord ed il Sud del mondo non possono essere piú pensati come separati. Nel mondo globalizzato in cui viviamo le sfide, per quanto possano essere specifiche al contesto, riguardano sia le popolazioni del sud che quelle del nord ed in particolare quelle piú povere, oppresse e vittime delle varie forme di diseguaglianza e discriminazione. Un tema riguarda lo spostamento della produzione nei Paesi in via di sviluppo e i relativi cambiamenti della forza lavoro e delle dinamiche di sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori nel mondo. Un altro tema emblematico, di cui si sarebbe potuto parlare di piú alla conferenza, è sicuramente quello della migrazione. Questa è dal mio punto di vista una delle piú grandi sfide attuali, non perchè la migrazione sia un problema, ma perchè dimostra in modo chiaro che le diseguaglianze stanno crescendo.



Gli esempi più emblematici di donne al potere - una per tutte Christine Lagarde - non si possono considerare come portatori di una visione alternativa dell'economia, rispetto al modello capitalista e a crescita infinita che ha dominato in questi secoli in cui a capo delle organizzazioni economiche sedevano solo uomini. Può l'economia - in un momento di crisi e di sempre maggiori diseguaglianze sociali - cambiare approccio? Può diventare femminista?

Christine Lagarde è l’esempio che fa pensare che per quanto faccia piacere vedere donne al potere sicuramente non è sufficiente che le posizioni di potere vengano occupate meritatamente da donne per cambiare le regole del gioco. Le politiche che il Fondo Monetario Internazionale promuove certamente non beneficiano le donne, in particolare quelle di classi meno agiate, quindi il fatto che a capo del Fondo ci sia una donna non conta assolutamente niente. L’economia puó e deve cambiare dal mio punto di vista. L’economia femminista offre una via. Da molti anni l’economia femminista sottolinea che la crescita economica misurata con il PIL non è un buon indicatore perchè non considera le attivitá nella sfera riproduttiva, come il lavoro domestico non pagato che viene quasi sempre svolto dalle donne. Ma c’è una parte dell’economia femminista che va oltre e mette in discussione le fondamenta dell’economia capitalista, criticando radicalmente la crescente finanziarizzazione dell’economia e il progressivo deterioramento delle condizioni di lavoro e, in questo modo, pone le basi per pensare ad una societá diversa, basata sull’eguaglianza sociale.



La tua ricerca si concentra sui paesi dell'Africa del sud, in particolare in Mozambico. E' nell'Africa, o più in generale nei paesi in via di sviluppo, la risposta alle grandi sfide (sovranità alimentare, cambiamenti climatici, sovraffollamento del pianeta) economiche e sociali?

Penso che le risposte alle grandi sfide si debbano cercare sia nel sud che nel nord del mondo. Certamente i Paesi del sud del mondo, come il Mozambico, sono molto piú esposti di altri agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, al potere delle grandi multinazionali alimentari e alla speculazione sui prezzi alimentari nei mercati finanziari. Questo apre spazi a movimenti di resistenza, la primavera araba e i vari movimenti per la sovranitá alimentare in America Latina ne sono un esempio. Questi movimenti di resistenza sono importantissimi e ce ne vorrebbero di piú. Anche nei Paesi piú ricchi peró la societá civile ha grandi responsabilitá nel mobilitarsi per cercare di contrastare le dinamiche di potere che creano i cambiamenti climatici, permettono alle multinazionali di avere un potere crescente, e cosí via. Dal mio punto di vista le risposte sono da trovarsi a livello locale ma tenendo in considerazione il fatto che viviamo in un mondo globalizzato ed inevitabilmente ogni azione ha delle conseguenze su altri Paesi.



Pensi che le donne siano - nelle società occidentali e/o in quelle in via di sviluppo potenziali agenti di cambiamento?

Certo, le donne sono agenti di cambiamento. Per esempio la crescente partecipazione delle donne nel mercato del lavoro è associata ad importanti cambiamenti strutturali del funzionamento dell’economia, sia a livello locale che globale. C’è peró una tendenza che assegna alle donne delle responsabilitá eccessive come agenti di sviluppo. Il microcredito e i programmi definiti ‘conditional cash transfers’, nei quali i beneficiari dei prestiti o dei trasferimenti di denaro sono usualmente le donne, sono l’esempio piú rappresentativo di questa tendenza. La ragione sottostante è che si ritiene che le donne si occupino maggiormente del benessere dei figli e delle loro famiglie, rispetto agli uomini. Da questo punto di vista io credo che si debba prestare piú attenzione ai limiti entro i quali le donne possono essere agenti di cambiamento. In contesti in cui lo stato sociale è quasi assente, i prezzi alimentari fluttuanti e le disuguaglianze di classe e genere sistemiche, è semplicistico pensare che dando delle somme di denaro alle donne loro da sole possano garantire il benessere delle loro famiglie. Il riconoscimento del ruolo delle donne come agenti di cambiamento non puó astrarsi dai contesti in cui loro stesse vivono. Le politiche di sviluppo devono cercare di intervenire sulle strutture innanzitutto e poi anche cercare di massimizzare i canali attraverso i quali le donne possano essere agenti di cambiamento. Le politiche attuali invece si concentrano sul ruolo delle donne tralasciando troppo spesso tutto il resto. In generale il modo più efficace in cui le donne, sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, possono essere agenti di cambiamento è attraverso l’azione collettiva: mi riferisco ad azione sindacale, attivismo e associazionismo per promuovere cause diverse, dai diritti sul lavoro alle campagne contro la violenza sulle donne.

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