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Lucha y Siesta: la casa delle donne in mostra

Lucha y Siesta: la casa delle donne in mostra

Visitabile presso la sede romana di WSP, la mostra Lucha di tre giovani fotografi. Protagoniste le donne ospitate dalla casa e quelle del collettivo femminista

Mercoledi, 21/01/2015 -
Roma. La sede dell’ Associazione Culturale WSP Photography  è dalle parti di San Paolo, in una stradina tranquilla e immune al caos cittadino. È qui che sono esposte le ventisei foto che compongono la mostra "Lucha" ancora visitabile fino al 22 gennaio. Gli scatti di Marianna Ciuffreda, Chiara Moncada e Marco Vignola, raccontano un luogo caro al femminismo romano (e non solo), la Casa delle donne Lucha y Siesta, spazio liberato nel 2008 nel quartiere tuscolano, caso unico in Italia perché insieme luogo politico e di dibattito e soluzione abitativa per donne che hanno bisogno di una sistemazione temporanea. Una casa per le donne si portano dietro dolori da curare, situazioni da mettere a posto, e che permette loro di fermarsi un attimo per poi ripartire. Una zona di transito dove si prende fiato, ci si riposa per il tempo necessario a riannodare i fili del reale con quelli dei sogni. Un territorio privato e pubblico al tempo stesso, dove il collettivo femminista che gestisce questo spazio di resistenza, organizza corsi, seminari e incontri aperti alla cittadinanza con lo scopo di diffondere cultura e politica femminista.



Le origini del progetto

Marianna, Chiara e Marco si conoscevano da tempo. Tutti e tre allievi di Fausto Podavini , fotografo apprezzato e già vincitore del Word Press Photo con l’indimenticabile storia di MiRelLa, si ritrovano più di un anno fa durante un corso avanzato di reportage fotografico. Un anno di tempo per realizzare un racconto a più mani su un luogo a forte connotazione sociale. E loro, che non avevano mai scattato insieme, si sono presto uniti, accomunati dalla stessa voglia di fotografare le donne della Casa Lucha y Siesta, tra i luoghi proposti dal WSP.



Le motivazioni di ognuno

Marco conosceva la Casa perché residente per molti anni nello stesso quartiere, ma l’esigenza di fotografare le donne di Lucha è insieme personale e politica: “Stavo vivendo un momento particolare, dopo la fine di una relazione molto lunga, e riconoscevo in me uno stato d’animo che mi faceva riflettere sul possesso sui cui sono fondati i rapporti di coppia. Volevo andare proprio lì perché avrei trovato le risposte alle mie domande. A questo, si aggiungeva una forte motivazione politica perché condivido le rivendicazioni portate avanti dalle compagne del collettivo”. Marianna che invece utilizza la macchina fotografica come una chiave per entrare in territori sconosciuti, era interessata a fotografare le donne con un passato di violenza alle spalle. “Penso di voler fotografare solo donne. Non lo so spiegare, è una cosa che succede e basta, quando prendo in mano la macchina. Non conoscevo la casa di Lucha y Siesta, ma il fatto che ci vivessero donne mi bastava e per me è stata una scoperta dopo l’altra.” Chiara, da sempre appassionata lettrice e studiosa di femminismi, conosceva la casa e alcune delle donne del collettivo. “Mi sono sempre sentita vicina alle questione di genere, ho letto diverse cose e, come Marianna, preferisco fotografare donne. Sapevo cosa avrei trovato dentro Lucha e tra le mie intenzioni c’era quella di essere utile alla loro causa”.



Passo dopo passo

Creare una relazione di empatia tra fotografi e soggetti del racconto, in questo caso non è stata solo una regola seguita per ottenere un bel prodotto. Quello che i tre raccontano è un incontro di vite e di anime, cementato dal tanto tempo trascorso insieme alle donne, di occasioni di convivialità, lunghe chiacchierate, sempre in punta di piedi e in profondo ascolto dei silenzi e delle inquietudini che dentro Lucha y Siesta convivono con emozioni dai colori più caldi. Iniziare un lavoro come questo significa sapere da dove parti ma non avere idea di dove arriverai. Su cosa si poserà lo sguardo, cosa catturerà il cervello, cosa darà l’input al dito, soldato arruolato allo scatto, non si può infatti stabilirlo a priori. “Abbiamo cominciato scattando, prendendo confidenza con il posto e dopo un paio di mesi abbiamo cercato di dare forma al racconto”, spiega Chiara. Un momento delicato perché le foto dei primi mesi non sembravano coincidere con le intenzioni originarie. “Entri in conflitto con te stesso. Volevamo raccontare la lotta delle donne e questa cosa non veniva mai fuori”, aggiunge Marianna.



Il momento di sintesi

Nelle intenzioni, infatti, c’era la volontà di dare il giusto peso anche ai momenti di amicizia e di condivisione tra donne e al lavoro del collettivo. Ma il dolore provocato dalle ferite delle protagoniste non si è fatto da parte, conquistando il suo spazio nel lavoro fotografico. Il risultato è un racconto armonico che si può leggere in tanti modi – dall’alba al tramonto, dal dolore alla rinascita – e che è stato riconosciuto dalle donne come un ritratto onesto della loro vita all’interno della Casa. Si sono stupiti – sapendo di essere molto diversi nello stile fotografico – ritrovando nel lavoro di ognuno gli stessi colori e la stessa intenzione, forse perché – spiega Chiara – “la Casa è talmente pregna di un certo contenuto, che le foto non potevano venire fuori che così”. La capacità di aver trovato una chiave comune, li ha spinti a non firmare le singole foto, scelta significativa e apprezzabilissima.



L’editing

Tanta l’emozione prima di mostrare alle donne fotografate il loro lavoro. “Le nostre photo-editor sono state le donne di Lucha” dice Marco e Marianna aggiunge: “Se non avessero apprezzato, le foto sarebbero rimaste nei nostri hardisk. Invece le donne ci hanno detto che le abbiamo raccontate con onestà e quelle del collettivo ci hanno pubblicamente ringraziati per gli scatti”. Non tutti hanno la sensibilità di entrare in relazione con un luogo di donne, lasciando qualcosa di profondo e duraturo. “Come dice Salgado nel film “Il sale della terra”, le persone a cui fai un ritratto ti offrono qualcosa di loro. Le donne di Lucha l’hanno fatto con noi, condividendo la loro intimità”, conclude Chiara.



Il crowdfunding

“Abbiamo finito l’editing e realizzato il multimediale , come da progetto. Fausto ci aveva già proposto di realizzare una piccola mostra, ma avremmo potuto stampare, per via dei costi, soltanto una parte del lavoro. Non riuscivamo a scegliere tra le foto perchè credevamo che il lavoro andasse presentato nel suo insieme e così abbiamo pensato al crowfunding”, spiega Marco. In pochissimi giorni, attraverso la rete sono arrivati i mille euro, donati anche da amici e conoscenti che hanno deciso di sostenerli in questa pubblicazione. Quello che hanno raccolto in più, è andato alla Casa per i lavori di ristrutturazione, così come i ricavati delle presentazioni. “Questo lavoro appartiene a Lucha”, dichiarano sicuri.



Il futuro

La mostra ha già ricevuto la menzione d'onore al Perugia Social Photo Fest 2014  e al Festival FIAF di Nettuno Il progetto, bellissimo fotograficamente e carico di significati per gli autori, le donne della Casa e chiunque abbia già avuto modo di vederlo, è pronto a essere portato ovunque ci siano volontà e sensibilità, partendo – perché no? – dalle altre case delle donne in giro per l’Italia, la cui storia, in alcuni casi, nasce da un’occupazione da parte di collettivi femministi, proprio come nel caso di Lucha y Siesta. Il momento è perfetto: c’è bisogno che i femminismi – frammentati e plurali – si conoscano e si riconoscano dialogando e organizzando momenti condivisi. Luoghi fisici e simbolici dove coniugare passione politica, rivendicazione femminista e nuovi modi di uscire da situazioni complesse e di vivere la socialità tradotti in pratiche concrete. Non bisogna inventarsi niente. Guardando le foto di “Lucha”, è evidente che uno di questi luoghi esiste già.

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