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Luisa Morgantini/ Non basta un corpo a fare la differenza

Luisa Morgantini/ Non basta un corpo a fare la differenza

QUELLE CHE IL POTERE/2 - Con Luisa Morgantini il punto di osservazione sulle donne ai vertici è internazionale e parte dalla considerazione che in tante accettano i valori del capitalismo

Bartolini Tiziana Lunedi, 03/10/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2016

Luisa Morgantini è stata europarlamentare fino al 2009 e poi ha continuato a seguire iniziative internazionali. Come attivista dei diritti umani è sempre in viaggio per fare politica e mantiene uno sguardo attento e aperto sul mondo. Con lei parliamo delle donne oggi presenti e influenti sulla scena mondiale.



In generale, come valuti l’operato e il modo di gestire il potere delle tante donne ai vertici della politica e di altri importanti organismi internazionali?

Non ho mai pensato che basti un corpo di donna per fare la differenza. Senza dubbio vi sono donne perfettamente aderenti ad un sistema di potere che tiene conto solo del gestire l'esistente, donne che non hanno una visione di giustizia sociale, che non lavorano sulle diseguaglianze e che agiscono con cinismo. Poi ce ne sono altre che tengono conto delle relazioni umane e dei diritti per tutti e tutte; sono tantissime, quindi, le donne che amo e che hanno fatto la differenza in Italia e nel mondo nell’esercitare il potere in varie forme e circostanze. 

Nel mio ruolo di Presidente Commissione Sviluppo e Poi Vice Presidente del Parlamento Europeo ho avuto modo di rapportarmi e conoscere donne Presidenti come quella della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, ministre in diversi governi del mondo e che si richiamavano sia a idee di sinistra sia di destra. Proprio in quegli anni, tra il 1999 e il 2009, le guerre sono entrate con forza nelle nostre vite ed anche noi donne ci siamo divise tra chi rifiutava la guerra e la violenza (io ero una di queste) e chi invece la guerra la sosteneva. Donne al potere in Europa e nel mondo furono convocate dalla allora Commissaria Benito Ferraro-Waldner a Bruxelles per dichiarare al mondo la volontà delle donne di essere per la pace. Vi era anche Condoleezza Rice ( prima donna afroamericana nel ruolo di Segretario di Stato Usa con il presidente George W. Bush dal 1997 al 2001, ndr), una donna impenetrabile anche fuori dall’ufficialità e dai protocolli. Non ho potuto esimermi, anche facendo riferimento al suo operato, dal far notare le nostre grandi diversità e che non si lavora per la pace facendo la guerra. 

Eppure i miei rapporti più significativi a Bruxelles, a parte alcune colleghe, sono state con due donne di potere: la presidente del Parlamento europeo Nicole Fontaine, che mi ha voluta con sé in Palestina ma anche nella giungla colombiana per liberare Ingrid Betancourt (militante per i diritti umani, è stata prigioniera della FARC per oltre 6 anni ed è stata liberata nel 2008, ndr), e la commissaria Benita Ferraro-Waldner, che mi ha affidato responsabilità di osservazione elettorale in Malawi ed Angola. Due donne di centrodestra, ma dotate di grande sensibilità per il rispetto dei diritti umani; tutti si sorprendevano che avessero rapporti con me e mi affidassero compiti di responsabilità vista la mia appartenenza al gruppo della Sinistra Europea. Ecco, a volte le donne sanno essere trasversali. Alla luce delle mie esperienze, quindi, non ho grandi aspettative e neppure delusioni. Sono consapevole che viviamo in un sistema capitalistico e che molte donne soccombono a quei valori. Bisogna andare avanti. Sul piano personale posso dire che non ho mai cercato di diventare parlamentare e neppure di essere la prima donna eletta nelle segreteria di un sindacato come quello dei metalmeccanici all’inizio degli anni ‘80. Me lo hanno proposto, ed io ne ero meravigliata e temevo di non essere all'altezza. Quello che per me contava, e conta tutt'ora, è l'impegno per la giustizia, è l'essere uno o una di aiuto all'altra e all'altro.

Ad ogni modo, per ora l'unico Capo di Stato che ho ammirato e amato è José Mujica, il Presidente dell'Uruguay fino al 2015. Ecco lui davvero ha segnato la differenza nella gestione del potere e della politica. Mi piacerebbe avere una Presidente così. Ma per favore… non si dica che sono succube degli uomini e che vedo solo in qualcuno di loro la possibilità di fare la differenza.



Cosa pensi della candidatura di Hillary Clinton, tanto sul piano simbolico che su quello piano politico, alla Casa Bianca?

Non mi piace Hillary Clinton, non mi piacciono la sua lotta per il potere, la sua politica estera, la sua difesa ad oltranza delle politiche coloniali di Israele. Riconosco anche l’importanza simbolica dell’elezione di una donna alla casa Bianca, come lo è stato Obama per gli afroamericani. Mi auguro solo che, se sarà eletta, sappia almeno portare avanti con più forza la politica sanitaria del suo paese. Il fatto è che, di fronte all’oscurantismo ed al razzismo di Trump, si pensa che la Clinton possa essere un argine. Un cambiamento vero, e non solo simbolico, lo avremmo se al suo posto ci fosse, per esempio, Ann Wright, ex colonnello dei marines che ha lasciato l'esercito perché è contro la guerra del Golfo ed oggi è imbarcata sulla nave Zeiton-Oliva insieme ad altre donne per raggiungere Gaza e rompere l'embargo imposto da Israele.



Tu conosci bene il mondo arabo e quello palestinese in particolare: pensi che ci sia un qualche tratto peculiare delle donne di potere in quelle aree?

Intanto le donne al potere sono poche ed il mondo arabo è davvero complesso, come del resto ogni realtà. Si tratta di tanti paesi con storie e culture diverse anche se accomunati dalla lingua e da una popolazione a grande maggioranza musulmana. Alcuni di questi paesi sono cresciuti, almeno fino alla fine degli anni ‘60, sulla multiculturalità; un processo non certo idilliaco, con conflitti, separazioni e discriminazioni ma gestito pacificamente. Una multiculturalità che è stata messa in discussione molto prima in Palestina e Israele, dove la popolazione ebraica, musulmana e cristiana ha convissuto pacificamente fino alla Dichiarazione di Balfour nel 1917, quando i britannici che avevano il mandato sulla Palestina accolsero la richiesta dei fondatori del sionismo della fondazione di una "homeland in Palestina". Da quel momento, e non su problemi religiosi bensì su questioni di terra e di colonizzazione di un territorio, sono iniziati gli scontri tra i diversi gruppi etnici.

Se c'è un tratto peculiare tra le donne al potere in quell'area è la necessità di mediare costantemente con le regole della religione e leggi laiche. Molte sono state le conquiste legali in diversi paesi: sulla proprietà e l'eredità, sul divorzio, sui delitti d'onore. Paesi che, con la crescita dopo il 1991 e la prima guerra del Golfo, oggi tornano al passato rispetto alle conquiste dei movimenti delle donne. Come accede in Egitto, Siria, Iraq, Libia. Ma anche in Palestina, dove nell'inizio della campagna elettorale per i Municipi che avrebbe dovuto tenersi il 4 ottobre, ma poi sospesa, alcune donne, non nella schede elettorali, ma nella loro propaganda, non hanno messo il loro volto ma un mazzo di fiori e sui social network si sono presentate come moglie o sorella di qualche uomo. Inconcepibile per donne palestinesi che, con il loro essere protagoniste nella lotta di liberazione dall'occupazione militare ma anche dall'oppressione patriarcale, erano state una grande ispirazione per noi femministe e nonviolente che le abbiamo conosciute fin dalla prima Intifada. Naturalmente vi è stata una rivolta non solo da parte delle organizzazioni di donne, ma anche da parte di intellettuali ed organizzazioni politiche. Ma intanto il danno era fatto. Anche per le donne di quell'area le differenze tra loro dipendono dall'appartenenza alle politiche dei loro partiti, alle religioni. Come accade da noi, lì le donne sono più presenti ed hanno risultati eccellenti nelle iniziative sociali cosi come nelle Università, crescono nella società civile e sono mediche, artiste o ingegnere. Ma la libertà e la liberazione sono ancora molto lontane.

A cura di Tiziana Bartolini

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