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Maggio: Maria, la mamma e le rose 

Maggio: Maria, la mamma e le rose 

Il mese di maggio e delle rose è per i cattolici dedicato tradizionalmente alla Madonna e alla preghiera del Rosario, “corona di rose”.   Il maggio delle rose e della Madonna ha origine antichissime che si radicano nel tentativo di cristianizzare

Martedi, 01/05/2018 - Il mese di maggio e delle rose è per i cattolici dedicato tradizionalmente alla Madonna e alla
preghiera del Rosario, “corona di rose”.   Il maggio delle rose e della Madonna ha origine
antichissime che si radicano nel tentativo di cristianizzare le feste pagane in onore della
natura, quando   si pensò che nella Madonna, “Rosa Mistica” si potevano unire insieme i temi
della natura e della Madre di Dio.  Sappiamo che molto prima del cristianesimo, fin dall’età
della pietra, si sono ritrovati templi dedicati alla Grande Madre con centinaia di ex voto:
l’antropologia culturale ci dice che quando il cristianesimo arriva in ambienti in cui la religione
della Madre aveva già radici antichissime, Maria diventa automaticamente Madre di Dio,
molto prima dell’approvazione del Concilio di Efeso; e per secoli Maria, il “volto materno di
Dio” è la taumaturga, la buona madre, la dispensatrice di grazie. Le sue apparizioni fra le genti
della montagna o del mare si fanno frequenti e ricorrenti,specie in epoche di grandi difficoltà.
E’ così bello oggi vedere come piccoli santuari in onore a Maria siano presenti ovunque nel
nostro territorio calabrese: lungo i fiumi, vicino ad uno stagno, negli anfratti di una caverna,
alle radici di una grossa quercia, nei pressi di una sorgente, su una collina dominante una
valle. E anche dopo il mese di maggio, nell’estate calabrese, tante sono le città, i paesi e le
comunità parrocchiali che celebrano feste in onore della Madonna, amabilmente onorata con
i più svariati titoli: come Madonna di Porto, della Montagna, Madonna dello Scoglio, delle
Grazie: insomma, con infiniti nomi, quasi a dirne l’infinità di grazie che questa madre buona
ottiene ai suoi figli.    Certamente le feste religiose hanno anche un grande significato
antropologico: già ad Atene le grandi feste panatenaiche erano il momento di auto‐identità
della città, tant’è che quando vennero re‐istituite, durante la guerra del Peloponneso, Atene
rilanciò se stessa come immagine. Così è per le nostre processioni: quell’avanzare lento della
statua, tra i canti sacri, in mezzo alle case della gente, significa aggregazione della comunità,
ribadisce la propria appartenenza a un territorio, mette in contatto col soprannaturale
attraverso il gesto sacro, ha forte incidenza psicologica con la preghiera in movimento e fa
prendere coscienza del proprio essere pellegrini su questa terra, nella quale si è di passaggio:
“Salve regina!...a te ricorriamo in questa valle di lacrime….”  E se Dio stesso ha scelto di avere
una donna per madre, vuol dire che non si può avere un’adeguata ermeneutica di ciò che è
umano, senza un adeguato ricorso a ciò che è femminile; solo la differenza tra l’“io
femminile”, e l’“io maschile“ potrà arricchire e completare l’espressione dell’humanum in
tutti gli ambiti della società, come ci ricorda  un bellissimo pensiero di Pavel Evdokimov: “Il
mondo fondamentalmente maschile nel quale la donna non ha alcun ruolo è sempre più un
mondo senza Dio, poiché senza madre Dio non può nascervi”.
ANNA ROTUNDO

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