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MARGINALITA’ R-ESISTENTE

MARGINALITA’ R-ESISTENTE

"Anche le parole sono ai margini come i nostri corpi rintanati nelle case..."

Martedi, 07/04/2020 - Da giorni ormai le parole mi sfuggono, provo a cercarle ma non si lasciano trovare. Sono respingenti e si nascondono, proprio come la bocca che le produce, dietro a una mascherina di fortuna. Le parole forse stanno cambiando come tutto intorno, alcune sono inappropriate, non esaustive, consumate. Altre sono diventate infeconde, chiedono di essere ripensate e risignificate. Ho come la sensazione di dovergli dare la caccia. Una novità per me che con le parole, da sempre, ho una certa confidenza. Una contrapposizione forte se associata alla velocità insopportabile dei pensieri. In un interessante scritto apparso in questi giorni sul blog di Rosangela Pesenti, storica femminista, non a caso chiamato "parole da casa", una casa divenuta resistenza al contagio e al dolore (Rosangela scrive dalla provincia di Bergamo) che sviscera una riflessione sull'uso inappropriato delle parole che questo momento di crisi ha evidenziato: "La parola resta un modo indispensabile per comunicare e stare in contatto ma non è detto che le parole che abbiamo usato negli ultimi anni siano ancora adeguate, utili per la comprensione". (http://rosangelapesenti.it/2020/03/27/parole-da-casa-paroledisarmate/)
Questo è stato per me uno spunto.
Anche le parole sono ai margini come i nostri corpi rintanati nelle case, che aspettano di ricollocarsi, lontani adesso da quello che è considerato “centro”: lo spazio pubblico, ciò che fino a ieri è stato il sistema di produzione. Da questa marginalità privata e allo stesso tempo collettiva, si intravede un punto di partenza e dai miei margini affiora una parola, per me da sempre urgente d’indagine: marginalità.
Marginalità è sostantivo femminile e nella definizione comunemente usata è “la posizione di individui o gruppi ai quali risulta di fatto precluso l’accesso sia alla produzione che al consumo dei beni e servizi, nonché alla gestione del potere”. Anche Resistenza è sostantivo femminile, è azione tendente a impedire l’efficacia di un’azione contraria. Resistenza è attitudine a contrastare il prodursi di determinati effetti, è anche il modo con cui individui e movimenti, spesso realtà “marginalizzate”, scelgono di ripensare e risignificare lo spazio. Se mi guardo intorno, e anche dentro, vedo ovunque una “marginalità r-esistente”. Nasce da qui l’esigenza di guardare alla potenza insita in una parola, un’esigenza che non nasce dalla voglia di intellettualizzare né è opera di coscientizzazione ma parte da una storia, forse più di una, da esperienze di vita. La pratica. Come la maggior parte delle persone in questo momento ho un gruppo WhatsApp di amici e amiche, diventato “luogo” d’incontro per neutralizzare l’assenza e il distanziamento e dove coltivare quello di cui abbiamo più fame: la relazione. In questo gruppo una mia amica, operatrice sociale nell’emergenza notturna con i/le senza dimora, racconta a noi che siamo a casa una Roma desolata, avvolta da un silenzio e da un vuoto surreale. Anche a lei spesso mancano le parole perché quelle usate fino a poco fa non bastano; i suoi racconti sono fatti di immagini che arrivano con una potenza difficile da gestire. Sono racconti dalla marginalità. Mi sono resa conto che continuare a fare questo lavoro è per lei una forma di R-Esistenza, una R-Esistenza che ci riguarda tutti/e. Da quest’angolazione, ai tempi del Covid-19, la marginalità, si riposiziona, si sposta, si risignifica a mio avviso proprio nella prospettiva originale che ci ha consegnato bell hooks* intellettuale femminista afroamericana che a partire da sé, donna e nera, definiva il margine come luogo risolutivo di possibilità, spazio di resistenza e non di remissione. (Yearning: race, gender and cultural politics, 1990)
Si spostano dal margine, e non solo mediaticamente, il nostro sistema sanitario con le competenze e professionalità esangui, il sud del nostro paese, da sempre marginale, sul quale adesso puntiamo tifandolo come una Leningrado che non deve cadere per non trascinarci in un baratro, la scuola, istituzione fondante umiliata negli anni da una gestione di tipo aziendale e oggi più che mai resistente nelle forme dell’alternativa della didattica a distanza, la ricerca, i congedi parentali, l’associazionismo, l’attivismo, il volontariato, le esperienze di mutuo soccorso, l’esperienza e la pratica del femminismo che grida a gran voce che non tutte le donne hanno una casa sicura, il lavoro di cura, il rapporto con la natura che ci circonda, i sindaci e le sindache dei piccoli centri, gli artisti e le artiste che performano in streaming, la cultura a portata di click troppo spesso appannaggio di pochi/e, il sostegno psicologico visto prima come un lusso o la toppa per i/le “perduti/e”.
Avanzano dal margine gli affetti, lontani, irraggiungibili.
Le relazioni. Si spostano dai margini le emozioni, sempre ricacciate indietro perché invalidanti, indizio di fragilità soprattutto nella sfera pubblica, e lo sappiamo bene noi donne che, invece proprio come forma di R-Esistenza, dovremmo cominciare a rivendicarle soprattutto in questa dimensione. Niente di tutto questo era prima centro, centrale. Esperienze, saperi e identità visti e resi ai margini.
Ma come avremmo fatto adesso senza questo margine che resiste e agisce da alternativa, da proposizione e da motore mentre il centro crolla? Trovo che proprio nell’agire di questi margini avvenga un cambiamento di significato e di prospettiva. Si apre un’intercapedine creativa, di condivisione e di elaborazione di strategie collettive, un altrove dove pensare e ripensare, provare modi diversi di vivere le nostre esistenze. Il sistema in cui abbiamo vissuto fino a una manciata di giorni fa non esiste più. È questo il momento in cui, usando le parole di Rachele Borghi (Decolonialità e Privilegio, 2020): “il margine diventa uno spazio contro-egemonico, luogo di messa in circolo di esperienze, di condizioni, di percorsi di vita, luogo privilegiato per creare e guardare. Da qui ciò che è invisibile diventa visibile, gli ingranaggi che fanno funzionare il sistema dominante resi manifesti. Il margine è un luogo di contrattacco per contrattaccare, lo spazio privilegiato di elaborazione di micro -politiche a diffusione virale”. In questo si esplica e si propaga la potenza del margine e a volere guardare bene forse quello che si compie non è neanche un riposizionamento o uno spostamento, è semplicemente il margine vivo come luogo politico che con il proprio linguaggio e i corpi che lo attraversano produce, trova soluzioni, alternative e alterità, ribalta ruoli. Un luogo da dove si desidera il non egemone e dove si producono rappresentazioni dissidenti e che proprio per questo il margine è luogo che non aspetta e non ispira al centro tout court, non abbandona mai completamente il suo spazio strategico, abita il suo osservatorio privilegiato da dove guardare e da dove creare. Da lì R-Esiste offrendoci, direbbe hooks (1998) “la possibilità di una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi. Non si tratta di una nozione mistica di marginalità. È frutto di esperienze vissute”. Nessuna poteva dircelo meglio di lei.
In ultimo, tornando alle parole, se il linguaggio è uno degli strumenti più potenti che abbiamo a disposizione e le parole non sono vane e tengono dentro sé anche tutto ciò che siamo, da questa crisi in poi (e avremmo potuto farlo anche prima) teniamo a mente che quando pronunciamo la parola margine ci assumiamo l’impegno di veicolare un contenuto fatto di azione, resistenza e creazione.

*Gloria Jean Watkins (Hopkinsville, 25 settembre 1952) è una scrittrice, attivista e femminista statunitense conosciuta con lo pseudonimo bell hooks. Il nome "bell hooks" deriva da quello della bisnonna materna,Bell Blair Hooks.. ... Nel 2014 ha fondato il bell hooks Institute al Berea College in Berea, Kentucky. Bell hooks è lo pseudonimo di Gloria Jean Watkin, bell come la madre Rosa Bell Watkin, hooks come la nonna materna Bell Blair Hooks. Uno pseudonimo militante che rifiuta il sistema maschile di attribuzione dei nomi sottolineando la genealogia femminile e volutamente minuscolo perchè minimizza l'individualità insita nel nome a favore delle idee che si veicolano.

Roma, 30 marzo 2020
Valentina Muià, UDI Monteverde (Roma)

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