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Massimo Troisi e la sua musa: Anna Pavignano

Massimo Troisi e la sua musa: Anna Pavignano

Intervista ad Anna Pavignano, sceneggiatrice e compagna di Massimo Troisi, per il ventennale dalla morte dell'artista napoletano e in occasione della pubblicazione del suo libro 'Da domani mi alzo tardi'

Martedi, 03/06/2014 - Scrittrice, sceneggiatrice cinematografica, autrice teatrale, Anna Pavignano ha recentemente ripubblicato il romanzo biografico: “Da domani mi alzo tardi”, per le edizioni E/O, dedicato all’ex grande amore della sua vita: Massimo Troisi di cui ricorre questo mese il ventennale dalla morte prematura. Il libro ripercorre la vita personale e professionale dell’artista, contaminando realtà e finzione: nella vicenda narrata infatti l’autrice finge che Troisi non muoia, subito dopo aver girato “Il Postino”, ma che decida, da uomo schivo e ritroso com’era in realtà, di ritirarsi a vivere in una località misteriosa, al riparo dalla mondanità e dalla schiavitù del successo.



Perché ha scelto la formula del romanzo, anziché quella di una semplice biografia, per raccontare Massimo Troisi?

Ho voluto scegliere la formula della narrativa da romanzo perché in realtà Massimo non ha avuto una vita appariscente e avventurosa, sebbene spiritualmente profonda. Non c’erano vicende eclatanti da narrare, volevo invece poter raccontare i suoi sentimenti, la passionalità, i sogni, non sentivo la necessità dell’aderenza al reale perché mi sembrava troppo semplice e riduttivo nel suo caso, volevo andare oltre. Questo anche per cogliere il vero spirito di Massimo, la sua ironia profonda, la voglia di superare tutto, anche la morte. Lui, come per preveggenza, ironizzava anche sulla sua stessa morte. Ma questo è anche un sentimento che ha radici profonde in una cultura popolare come quella partenopea, dove la morte e il dolore vengono esorcizzati con ironia, con rituali, ma soprattutto con un’intima accettazione che si è persa nella società contemporanea, egocentrica e in disarmonia con la natura delle cose.



Come ha condizionato la sua professione l’esperienza di vita con Troisi?

Non mi sono sentita condizionata. L’esigenza della scrittura era già presente dentro di me prima di conoscerlo. Tutto sommato è stato un rapporto di scambio di esperienze alla pari. Gli ho trasmesso le mie esperienze e i miei pensieri, anche le mie insicurezze di giovanissima scrittrice. Lui è riuscito a rendermi consapevole di avere dentro un senso dell’ironia che non credevo di avere, e mi ha dato fiducia. Scrivevo narrativa ancor prima di conoscerlo, con lui mi sono addentrata nel mondo della sceneggiatura, più tecnico, con la prima cosa che mi ha proposto di realizzare per lui: “Ricomincio da tre”.



Come vi siete conosciuti?

A Torino, la mia città. Lui partecipava a una trasmissione televisiva: “Non stop”, e io, giovanissima, facevo la comparsa in Rai.



E’ più difficile per una donna, proporsi e farsi strada, nel mondo della sceneggiatura, ci sono discriminazioni più che in altri ambiti professionali?

In realtà non mi sono posta, né ho potuto verificare questo problema, sino alla morte di Massimo. Il fatto è che dato il nostro rapporto personale, e il sodalizio professionale che ci legava, pareva ufficiale che tra noi ci fosse un rapporto di esclusiva. Di conseguenza nessun altro mi contattava per propormi delle cose, né io ne sentivo la necessità. E’ da poco che ho ricominciato a crearmi nuovi contatti e a indagare altre possibilità. Più che discriminazioni evidenti, mi colpisce la minoranza di presenze femminili, per esempio quando ci sono incontri di settore. Capita che tra cento sceneggiatori o scrittori presenti, ci siano quattro o cinque donne in tutto. Certo questo non agevola le cose, né rassicura o incoraggia, ma anche in questo campo è la realtà.



Nei periodi di più intensa collaborazione, era sempre d’accordo con le scelte contenutistiche e tecniche di Troisi?

Spesso eravamo d’accordo, altre volte eravamo in…”disaccordo creativo”. Non c’erano tra noi dissonanze o contrasti pesanti, avevamo gli stessi punti di vista sugli spunti, i soggetti, le modalità per approfondire i caratteri che volevamo descrivere. Tra noi c’era una grande affinità elettiva, gli lasciavo però carta bianca per le scelte più tecniche, per le modalità espressive legate alla regia e al linguaggio: questo perché lui, oltre a partecipare alla sceneggiatura, era anche un attore e un regista, e voleva giustamente sentirsi la parola “cucita addosso”.



Che rapporto aveva con le donne, e in particolare con le attrici che sceglieva?

Mi ricordo che aveva una grande ammirazione per Giuliana De Sio, che aveva voluto fortemente per “Scusate il ritardo”, e anche per Francesca Neri, che aveva scelto per “Pensavo fosse amore e invece era un calesse”. Fiorenza Marchegiani, ottima scelta per “Ricomincio da tre”, e la Cucinotta per “Il Postino”, sono state scelte solo dopo un provino. In realtà per “Ricomincio da tre” Massimo aveva pensato a Stefania Sandrelli, che poi non accettò. Con le donne aveva un rapporto speciale, era un timido, anche imbranato, ma sensibile e attento. Ricordo che era molto galante con tutte sul set, un vero gentiluomo vecchio stampo, era nella sua natura. Si percepiva uno stato di grazia quando era soddisfatto delle scelte in merito alle protagoniste dei suoi film, qualcosa di diverso rispetto ai rapporti con i colleghi maschi.



Quali tra i personaggi che ha conosciuto quando vi frequentavate, hanno lasciato una traccia dal punto di vista umano, o anche professionale?

Massimo ha avuto una grande amicizia con Roberto Benigni, qualcosa che andava oltre il sodalizio artistico. Erano molto presi l’uno dall’altro, si intendevano anche senza parlare. Anch’io ero molto colpita da Roberto, dalla sua comunicativa, dalla sensibilità, dal suo riuscire attraverso l’ironia, proprio come Massimo, a vedere oltre l’apparenza. Una grande affinità li rendeva quasi fratelli gemelli. Un altro incontro importante è stato quello con Ettore Scola, ma li si dovrebbe parlare soprattutto di un rapporto quasi paterno: Massimo ammirava moltissimo Scola, lo vedeva anche come mentore, oltre che come amico.



E il sodalizio con Lello Arena e Enzo De Caro?

E’ stata una bella parentesi professionale, che dopo un po’ si è esaurita però. I rapporti sono rimasti ottimi anche in seguito, e per Lello e Enzo Massimo ha continuato a essere una specie di “faro”, un riferimento importante.



Ha amato più i suoi pregi…o i suoi difetti?

Quando si è profondamente innamorati è difficile vedere i difetti della persona amata. Una cosa però la sopportavo male: la sua pigrizia. A volte a passava giornate intere in “catalessi” davanti alla tv. Questo non riuscivo a concepirlo, lo vivevo come una specie di abbrutimento. Lui però ne usciva rilassato, e poi era capace di rituffarsi “nella mischia”. Non è mai stato un mondano o un festaiolo, gli piaceva invitare degli amici, ma pochi e selezionati. La mondanità la vivevamo solo in occasione di qualche festival cinematografico cui ci invitavano, o occasioni simili che rappresentavano piuttosto un dovere di immagine.



C’è un film che avreste voluto scrivere e realizzare, che non avete potuto fare, vista la sua prematura scomparsa?

Pensavamo di realizzare un film da un mio romanzo, una storia d’amore che ancora non ho pubblicato neanche informa narrativa: “La svedese”. Lui ci avrebbe tenuto tanto, ne avevamo parlato anche durante la lavorazione de “Il Postino”, ma poi è andata come è andata. Adesso, sto pensando alla possibilità di pubblicare almeno il romanzo.



Dei film per cui hai collaborato: Ricomincio da tre, Scusate il ritardo, Le vie del Signore sono finite, Pensavo fosse amore…e il Postino, a quale sei più legata, e perché?

Non ho preferenze rilevanti, a ciascuno è legato un momento importante della mia vita. E’ un po’ come se mi chiedessero di scegliere se preferisca un figlio a un altro. Una cosa però vorrei suggerire a chi ama Massimo: ogni suo film meriterebbe di essere visto più volte, non solo per apprezzare le battute, la comicità mai banale, l’ironia profonda e a volte amara, ma anche i suoi sguardi.



In narrativa, ma anche nella sceneggiatura cinematografica, creda che esista una “scrittura di genere”, in termini di empatia femminile, oltre che diversa prospettiva o visione del mondo?

Non ci ho mai riflettuto, ma secondo me è una questione di capacità narrativa, di sensibilità, di cultura, anziché di sesso. Uno scrittore, o una scrittrice, dovrebbero riuscire a descrivere l’animo di un personaggio a prescindere che sia uomo, donna, vecchio, bambino, o animale. E’ importante avere talento e qualcosa da dire, non essere donna o uomo.



A cosa sta lavorando adesso? Sceneggiature, o narrativa?

Sto lavorando a una sceneggiatura, sulla vita di un grande artista, tutt’ora vivente, ma non voglio dire di più per scaramanzia. Poi sto pensando a un nuovo romanzo, che ho ancora solo nella testa perché…mi manca il tempo per dedicarmici! Narrativa e cinema coesistono in me, e sono indipendenti l’uno dall’altro. Può essere che un mio romanzo diventi un film, ma anche no.



Cosa fa nei momenti liberi – presumo pochi – per rilassarsi?

Cammino. Amo fare lunghe passeggiate, e quando posso vado a nuotare, in mare o in piscina. Sono le cose che mi rilassano di più.



Che consigli darebbe chi voglia fare lo sceneggiatore o il narratore?

Come prima cosa di leggere, ma anche di esercitarsi a scrivere, da solo, o affidandosi a un buon corso di scrittura. Le scuole di scrittura però è bene ricordare che non fanno miracoli, non sono in grado di sfornare grandi scrittori se non si nasce con una predisposizione, come può essere quella per la musica, la pittura, o altro. Possono però affinare la tecnica, e sono comunque un modo di frequentare la cultura, che serve per migliorarci in ogni campo, come andare anche a un concerto, o a vedere una bella mostra. L’arte e la cultura accrescono il senso critico della gente, sono importanti per i giovani soprattutto, troppo disabituati oggi a certe cose, troppo assuefatti a quello che viene propinato da una certa tv.



Tra le varie manifestazioni in ricordo di Massimo Troisi, segnaliamo che il 4 giugno alle 23,10 Rai 3 trasmetterà in prima visione il documentario prodotto da Publispei per la regia di Raffaele Verzillo: “Massimo, il mio cinema secondo me”, un interessante viaggio nella poetica cinematografica del grande artista.



Intervista a cura di Alma Daddario

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