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Medicina di Genere: un cammino in salita. Una conversazione con Claudia Carlino

Medicina di Genere: un cammino in salita. Una conversazione con Claudia Carlino

“Potenziare l’approccio di genere sarebbe un vantaggio, ma bisogna andare oltre gli atti formal, e avere il coraggio di riformare il sistema Italia”

Sabato, 20/04/2024 -

“Medicina di Genere. Quali prospettive in Liguria” è il titolo del convegno che si è svolto il 4 aprile scorso, per iniziativa del Coordinamento Donne dello Spi-Cgil Liguria e Spi-Cgil La Spezia. L’occasione è stata utile per cogliere alcuni aspetti importanti di un approccio alle cure che tenga conto delle differenza tra uomini e donne e, in particolare, per conoscere gli sviluppi operativi della legge delega nr 3/2018. Ne parliamo con la Dottoressa Claudia Carlino, segretaria nazionale SPI CGIL, responsabile delle politiche di genere, che abbiamo incontrato durante questo convegno. 

Come si coniugano, dal suo punto di vista, la medicina di genere e l’invecchiamento?
Lo SPI, sindacato pensionati della CGIL, si interroga su come vada migliorato il benessere delle persone, che hanno pieno diritto a vivere al meglio nella società anche l'invecchiamento. Il benessere è dunque un diritto di tutte le età, vivere in salute un obiettivo imprescindibile. Le donne poi, come tanti indicatori confermano, vivono più a lungo, ma spesso più in solitudine e in crescente difficoltà. Il coordinamento donne dello SPI ha più volte riflettuto su quali azioni fossero necessarie per migliorare la condizione delle donne, e quali politiche andassero rivendicate. E tra queste rivendicazioni era emerso l’approccio della medicina di genere che, se realmente applicata nella programmazione politica, appariva un’opportunità importante per colmare il gender gap maschile/femminile. 

Quali sono stati i provvedimenti politici che hanno seguito la legge?
La Legge 3/2018, all’articolo 3, ha per la prima volta normato l’approccio in sanità della medicina di genere. Ha lasciato alle regioni, attraverso un piano, compiti di divulgazione, formazione e pratica sanitaria nella ricerca, nonché di prevenzione e diagnosi adattate alle differenze, scientificamente accertate, legate al genere. L’effetto sarebbe stato quello di migliorare la qualità delle prestazioni diminuendo i costi. I vari piani regionali hanno avuto tempi e effetti diversificati nelle varie realtà territoriali, e spesso, alle delibere regionali di definizione dei piani e nomina dei referenti, non sono seguite azioni concrete sulla diffusione della medicina di genere, né tantomeno sulla sua applicazione concreta. Una divulgazione lenta, con rare pratiche sanitarie messe davvero in atto. Probabilmente non si è avuta la capacità, né la lungimiranza, di agire modificando il modello sanitario attuale, già messo in crisi anche e soprattutto con la pandemia da Covid 19; né sono valse le sollecitazioni proposte dal piano di resilienza. A oggi manca, anche nella discussione politica, un approccio per esempio in materia di medicina territoriale, o al modello sanitario di medicina di genere.  

Quale è stato l’impegno della politica su questo fronte?
I dati ci dicono che le donne vivono di più. Ma spesso vivono peggio, perché più soggette ad alcune patologie. Sono maggiormente esposte alla cronicità, si curano di meno, prendono più medicine, e spesso vivono il malessere psichico. Risulta ovvio che la politica dovrebbe interrogarsi su questi elementi e dare seguito ad interventi per fornire risposte ai bisogni di questa fascia della popolazione. In tal modo si farebbe opera di prevenzione eseguendo un intervento idoneo a formulare piani diagnostici e terapeutici realmente mirati. Un esempio? Gli screening oncologici. Servirebbe varare tecniche e modalità diverse per le donne, al fine di essere più incisivi nei risultati e finalmente allargare la platea oltre il limite dei 65 anni, dove al contrario ad oggi, il servizio pubblico non provvede con degli interventi, (ad esempio con screening nei consultori). E la battaglia in difesa dei consultori resta una nostra priorità. Bisogna tornare ad un team socio assistenziale che nei consultori faccia prevenzione e dia risposte efficaci e moderne alle famiglie, a tutte le donne, e non solo a quelle in età riproduttiva. È poca l’attenzione su questi temi di chi governa e, soprattutto, si sottovaluta che alcuni accorgimenti non solo migliorano la vita delle persone, ma sarebbero anche un risparmio di costi. 

Quali sono gli interventi futuri?
Salute e Servizio pubblico sanitario, sono una priorità per il nostro Paese: il Covid 19 ce lo ha evidenziato nel modo più doloroso. Sulla medicina di genere stiamo analizzando lo stato delle cose. Quei piani regionali definiti, quell’Osservatorio Nazionale, di cui tanto si parlava, cosa stanno producendo in definitiva? È giusto chiedere e pretendere che quelle linee guida producano effetti concreti, e incidano in modo efficace con cambiamenti migliorativi nelle esistenze delle persone, e delle donne in particolare. Potenziare l’approccio di genere rappresenta un vantaggio, ma per farlo serve andare oltre gli atti formali, e avere il coraggio necessario per riformare, con modernità ed empatia, il sistema Italia.


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