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Minacciare di stupro una donna non è giustificabile con la maleducazione

Minacciare di stupro una donna non è giustificabile con la maleducazione

La richiesta di archiviazione per le presunte minacce di stupro a Nadia Conticelli fa comprendere come la violenza di genere non sia considerata ancora come un reato contro la persona

Martedi, 15/03/2022 - Semmai avessimo avuto dei dubbi sulla permanenza di un particolare retaggio culturale, relativo alla violenza di genere come reato contro la morale ed il buon costume, ecco che è arrivato un dispositivo giudiziario a confermarlo. Difatti un pubblico ministero della Procura della Repubblica di Torino ha richiesto l’archiviazione per un procedimento penale avente ad oggetto presunte minacce di stupro, avvenute su Facebook, nei riguardi di Nadia Conticelli, attuale capogruppo del Pd al Consiglio comunale di Torino. A motivare tale decisione è la circostanza per la quale le probabili intimidazioni sono state considerate dal magistrato “frasi inurbane e molto maleducate”.
La donna, (all'epoca dei fatti consigliera regionale), aveva provveduto a denunciare nel 2018 i leoni da tastiera che la avevano oltraggiata con minacce verbali a seguito di un post di "due consiglieri della Lega (che) fotografarono parte di un mio post, travisandone il ragionamento e trasformando i social in un'arena di gladiatori. Gli insulti tutti a sfondo sessuale, rivolti a me e alle mie figlie, da 'lurida tr...' all'augurio e alla minaccia di stupro e anche peggio". "Una pioggia di nefandezze che ti si scarica addosso frugando in ciò che hai più caro nella tua vita personale e di fa sentire fragile, esposta, e si rischia di perdere la bussola di dove stia il torto e dove la ragione, dove la vittima e dove la violenza. Abbiamo reagito, non è stato facile, e abbiamo denunciato", ha commentato la consigliera Pd.
"Oggi - rimarca Nadia Conticelli - a quattro anni di distanza dal fatto e a ventisei anni di distanza da quando lo stupro è diventato reato contro la persona e non contro la morale, scopriamo con rabbia incredula che gli insulti a sfondo sessuale rivolti alle donne sono questione di 'educazione' e non un reato". E, ancor peggio, come disserta una delle avvocate difensore, in fondo si trattava di discussione politica. Perché deve essere normale che quando si è a corto di argomenti politici di confronto alle donne in questo paese si dica di 'comprarsi un vibratore', che si inciti allo stupro di tre ragazzine adolescenti, o che una donna che difenda i diritti dei profughi lo faccia 'perché sono molto dotati'? ".
Le domande che si pone Nadia Conticelli sono più che legittime, soprattutto alla luce della normativa attualmente vigente, che si richiama alla legge n. 66 del 15 febbraio 1996 denominata “Norme contro la violenza sessuale”, nella quale si afferma il principio per cui lo stupro è un crimine contro la persona, che viene costretta nella sua libertà sessuale, e non è un reato contro la morale pubblica, come era previsto invece prima di quella data. La modifica era nell’aria già da dieci anni prima, ma la concezione maschilista al riguardo del reato di violenza sessuale era dura a sconfiggere, suffragata com’era dalla moralità sbagliata della società del tempo. Alla fine, però, anche grazie a diverse associazioni femministe che presentarono una proposta popolare firmata da 300.000 donne, si arrivò all’atteso 15 febbraio 1996, che avrebbe costituito la svolta.
Si è usato il condizionale, perché numerose sono state le pronunce giudiziarie che da allora in poi non hanno rispettato in pieno la ragione della nuova normativa e, tanto per citarne una di indelebile memoria, si ricorda che nel febbraio 1999 la Corte di Cassazione assolse un istruttore di scuola guida condannato per stupro in primo e in secondo grado, sulla base del ragionamento per cui fosse impossibile commettere violenza carnale su una ragazza che indossava i jeans. Le interpretazioni discrezionali dei giudici, tendenti a minimizzare la violenza o normalizzarla, hanno indubbiamente condizionato e condizionano ancora le singole decisioni. Invece la cultura dello stupro proprio nelle aule giudiziarie dovrebbe essere debellata, soprattutto considerando le conseguenze fisiche e psicologiche che dopo un tale accadimento possono generarsi in una donna.
Il magistrato di Torino ha tenuto conto di come si potesse sentire Nadia Conticelli di fronte ad una minaccia di violenza sessuale, anche se solo a carattere verbale? Ha per caso valutato il medesimo magistrato il timore della donna che le figlie potessero vedersi a loro volta coinvolte in quel clima d’odio sviluppatosi viralmente in rete? Parrebbe di no, solo a considerare che, richiedendo l’archiviazione del procedimento penale, ha considerato tali minacce impunibili, ascrivendo tali atti come idonei a ledere invece le norme della buona educazione. Probabilmente nell’attribuire la minaccia di violenza sessuale alla rozzezza degli odiatori sociali ha mancato l’obiettivo di valutare quelle parole come avvelenate dalla cultura dello stupro, che non vuole considerare la sessualità quale un diritto imprescindibile di una persona, in questo caso di una donna, che ne è titolare.
Si è così tornati inevitabilmente indietro nel tempo, come se fossero trascorsi invano quasi cinquant’anni da quel febbraio 1996 ma, soprattutto, inesorabilmente indietro rispetto al refrain comune in base al quale, se le donne subiscono soprusi a carattere sessuale, devono trovare il coraggio di denunciarli. Ammesso che lo trovino potrebbero scontrarsi, come nel caso in esame, in una lettura del fatto denunciato sbagliata e fuorviante, a riprova della necessità di una maggiore specializzazione sui procedimenti aventi ad oggetto la violenza di genere. Come si evince dal “Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria”, approvato il 17 giugno dalla Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio e la violenza di genere, solo nel 12 per cento delle procure emerge la giusta attenzione ai temi della violenza ed un elevato livello di consapevolezza al riguardo.
La Commissione ha rilevato che, al di là di singole realtà, la specializzazione e la formazione degli operatori giudiziari, complessivamente intesi, nei reati di violenza contro le donne è risultata gravemente lacunosa cosicché il percorso di adeguamento ai principi della Convenzione di Istanbul può dirsi solo avviato. Poi capita che arrivino richieste di archiviazione, come quella presentata alla Procura della Repubblica di Torino al proposito delle presunte minacce di stupro all’indirizzo di Nadia Conticelli, e si comprende come quell’avvio non c’è stato per nulla. Non può essere considerata la maleducazione come elemento giustificativo di tali minacce, a pena di affossare quella particolare consapevolezza che mosse il legislatore del 1996, quando con la legge n. 66 intese tutelare la persona vittima del reato e non la morale pubblica. Nella vicenda che ha visto come protagonista la consigliera comunale torinese la buona educazione non risulta il soggetto leso, deve essere chiaro una volta per tutte, a meno che non si ripiombi in un incubo lungo secoli dal quale tutte vorremo risvegliarci una volta per tutte.

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