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Ninnilluzzo - di Matilde Tortora

Ninnilluzzo - di Matilde Tortora

Un breve racconto sul piccolo zio che morì di spagnola nel 1918 e sui ricordi della nonna Matilde

Lunedi, 20/04/2020 - Ninnilluzzo
di Matilde Tortora


Non ho mai saputo quale fosse il suo nome, sono centodue anni che ancora oggi lo chiamo Ninnilluzzo, quel fratello maggiore di mio padre, che morì di febbre spagnola, bambino di poco più di otto anni, nel 1918.
Egli non ebbe il tempo di indossare appieno il suo nome, fu ipostatizzato in quel nomignolo affettuoso con cui si chiamavano i bambini allora e per molti decenni si continuò a farlo.
Anche io da bambina ero Nennella e quando pure, erano gli anni Cinquanta, mi capitava di ascoltare alla radio una canzone allora in voga, che diceva “la spagnola sa amare così, bocca a bocca la notte e il dì”, questo ritornello mi inquietava per la sua troppa esplicita sensualità, ma anche mi chiedevo come era possibile dire impunemente la parola “la spagnola”, e credere pure che ci sarebbe stato possibile l’amore?
La nonna Matilde, da quel giorno e per tutta la vita, smise di guardarsi allo specchio. Il nonno Andrea ebbe un permesso speciale per tornare a casa, un breve tempo, quello delle esequie del figlio bambino amato e perduto. Né so se ci furono le esequie, in quella piena pandemia.
Ero così fiera di avere lo stesso nome della nonna, cominciavo a sapere di essere Matilde, per cui a sentirmi chiamare o alludere a me come Nennella, temevo ogni volta di non potere anch’io fare in tempo a indossare appieno il mio nome.
La nonna Matilde non cessò mai il suo proposito, anche quando si pettinava i bellissimi folti capelli, mai ricorse allo specchiarsi. E non seppe, solamente molti anni dopo, che le persone che la scorgevano dai vetri l’avevano soprannominata “la signora col cappellino”, ritenendo essi che indossasse pur in casa cappelli, quando invece erano i nastri con cui fermava i bei folti capelli, a parere, di lontano, dei copricapi.
Di lei conservo alcuni ventagli, di buona fattura, tre pettinini d’osso e un binocolo da teatro.
Mi è stato detto che Ella li aveva ricevuti, i ventagli e il binocolo, da signore amiche che venivano a farle visita il giorno del suo onomastico il 14 marzo, e infatti per moltissimo tempo di noi si è festeggiato non il compleanno che è consuetudine invalsa da pochi anni, quanto piuttosto il giorno dell’onomastico.
Come se si sapesse che avere un nome fosse decisamente un importante compleanno traslato, come se ognuno di noi con l’indossarlo il nostro proprio nome, potessimo davvero essere e portare a compimento l’essere nati.
Mi sono stupita, quando mi sono iscritta a facebook che non mi chiedesse il giorno del mio onomastico. Mi ha chiesto solamente in che anno sono nata.
E uso tuttora quei bei ventagli e metto sui capelli quei suoi pettinini d’osso, e ripenso alle parole di Amleto e leggermente a volte quei pettinini mi pungono il capo, avverto una prossimità e quasi un cozzare di teste, e di cappellini che non erano cappellini. Anche il binocolo lo adopero.
Le donne si consentivano di uscire per la festa del santo patrono del paese, per ricambiare qualche visita, per qualche incombenza pressante: per tanti decenni, fino a che io ero bambina, le donne non uscivano di casa, che poche volte l’anno. Ora che ci rifletto, erano in una protratta quarantena. Senza motivo però o forse con molti sottaciuti motivi. Come se l’essere donne fosse questo stesso il pericolo.
Ed ora, che ho più anni della nonna Matilde, ora che tante volte sono uscita, tanto ho viaggiato, tanto a lungo ho indossato il mio nome, ora mi trovo anch’io confinata. Non posso uscire, né ricevere visite, e chissà se avrò mai anch’io in regalo qualche bel ventaglio da lasciare in eredità! O un binocolo piccolo, smaltato bianco, con piccoli fregi in simil oro, forgiato piccolo proprio per le mani delle donne.
Quel binocolo l’ho tanto usato, quando in tutti questi anni sono andata a teatro, l’ho tanto preservato e accarezzato. Come tanto ho amato andare a teatro e lì riappropriarmi pure di tutti i nomi che mi competono, di chiunque io possa essere o essere stata, grazie ai tanti personaggi femminili e maschili che sulla scena mi narravano, mi restituivano a me stessa.
Ora lo uso, stando alla finestra, a guardare gli alberi di lontano, a farmeli parere vicini. E a ripensare con infinita pietà a Ninnilluzzo e ai tanti di oggi di cui non sapremo mai il nome, a quanti e sono davvero tanti perfino del nome sono stati privati, se pure essi abbiano avuto il modo, gli anni, un’intera vita ad indossarlo. A che pro?


Nota dell'autrice
Le foto sono del corteo di nozze della nonna Matilde. Mi sono tanto care, sono così eloquenti...Si avviano... tutto comincia, tutte le persone ad assistervi.
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