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Non ho l'età: la ricerca dello SPI di Modena che ritrae il futuro della vecchiaia

Non ho l'età: la ricerca dello SPI di Modena che ritrae il futuro della vecchiaia

I nuovi anziani, che tali non si percepiscono, vogliono reinventare questa stagione della loro esistenza

Lunedi, 16/11/2020 - Daniela Pellacani e Sauro Serri, della segreteria provinciale dello SPI di Modena, illustrano la ricerca “NON HO L’ETA’”, condotta da Vittorio Martinelli, presentata a settembre alla Festa nazionale dell’Unità di Modena, ideata e commissionata per descrivere i “nuovi anziani, che cosa è cambiato e sta cambiando negli atteggiamenti, nei comportamenti e nei bisogni" per comprendere le nuove sfide che un sindacato complesso e “confederale” quale lo SPI deve affrontare per lo sviluppo della propria azione ridefinendo priorità, gerarchie e obiettivi per il futuro.
“Dopo anni di pubblicazioni di rapporti delle cose fatte e delle modifiche intervenute sulla condizione degli anziani, lo strumento del rapporto si è rivelato sempre meno utile perché, grazie alle nuove tecnologie, la rete fornisce le stesse notizie, più aggiornate e in modo più veloce rendendo di fatto il nostro rapporto perché preparato al momento dell'arrivo al nostro corpo attivo già ‘invecchiato’. Ecco perché questa volta abbiamo deciso di fare qualcosa che  provasse a leggere la condizione degli anziani proiettando la nostra analisi in un futuro in cui l’invecchiamento attivo diventa sempre più necessario per valorizzare al meglio le risorse di questa parte della popolazione che, dall’analisi dell’andamento demografico, in breve tempo rappresenterà non più un quarto, ma un terzo della popolazione.
L’invecchiamento attivo permette di rimettere in campo le esperienze di vita e trasforma l’anziano da soggetto passivo e fruitore di welfare ad agente di promozione e modificazione in funzione delle nuove esigenze del welfare.
La ricerca non è stata costruita ed elaborata in un’ottica di genere, ma da alcune specificità di risposte potrà essere utile sviluppare, in un secondo momento, alcuni approfondimenti di genere.
Delle persone intervistate, al tema della buona anzianità il 60per cento delle donne ha collegato il desiderio di aggiornamento e di conoscenza dimostrando una maggiore curiosità rispetto agli uomini (47per cento). Questo è un primo dato importante che, associato a quello dell' importanza delle relazione interpersonali, ci pone di fronte all'esigenza di riflettere su dinamiche importanti per lo sviluppo di attività adeguate quali la memoria, la scrittura o la scrittura/lettura accanto all'impegno attivo delle volontarie. Le donne partecipano molto a questo genere di iniziative. Se a ciò si aggiunge il grande numero di pensionate impegnate nel volontariato è ampiamente dimostrato che queste grandi disponibilità e curiosità collegate alla socialità costituiscono un patrimonio enorme e da salvaguardare.
Vittorio Martinelli, l'autore della ricerca, afferma che occorre creare un nuovo vocabolario poiché Anziano è un termine che ha perso di precisione, di capacità descrittiva per un’età della vita che si è molto ampliata e che contiene differenze molto rilevanti.
In sede di ricerca sono emerse definizioni che indicano tre distinte fasi dell’anzianità: l’adolescenza dell’anzianità, l’anzianità, il ritiro. Le parole che riassumono in modo efficace queste caratteristiche possono essere: adulto maggiore, senior, anziano.
L’adolescenza dell’anzianità è un periodo complesso dove la trasformazione del corpo, la carica progettuale e la crisi di sicurezza convivono in un miscuglio molto simile appunto all’adolescenza. È una fase di passaggio che richiede l’acquisizione della propria età, la capacità di convivere con un cambiamento che spesso riguarda molti aspetti della propria vita dall’attività fisica al lavoro, dalla sessualità alle relazioni familiari. Adulto maggiore è parsa una definizione abbastanza descrittiva di questo periodo.
L’anzianità (quando non presenta gravi problemi di salute o di autonomia) è una fase più assestata rispetto alla precedente dove convivono sia primi elementi di difficoltà segnati dall’anagrafe sia tratti positivi dove spicca la dimensione della libertà, dal lavoro, economica, del tempo, forse anche del pensiero. A questo si somma la ricchezza dell’esperienza. Per questo la parola senior appare più efficace a descrivere questa seconda fase dell’anzianità, perché richiama in qualche modo la conoscenza, un percorso, un bagaglio di vita che si può accantonare oppure provare a frugarci dentro.
Infine il ritiro, la terza fase che ha caratteristiche molto legate alle risorse fisiche e psichiche individuali ma che spesso è caratterizzata da un allentamento dei legami relazionali, delle forme partecipative alla vita sociale. Di recente il dibattito culturale, la legislazione e i comportamenti delle persone hanno evidenziato una nuova attenzione al tema della morte con una prospettiva meno incentrata sull’esorcizzare ma piuttosto sul considerarla parte della vita. È in questo quadro che il ritiro comincia a caratterizzarsi come percorso di riordino delle cose e della vita, una specie di selezione degli oggetti che ci raccontano e di una rilettura del proprio cammino; riordinare cose e pensieri diventa un modo per affrontare meglio la morte. È un aspetto che nella dimensione sociale incomincia ad evidenziarsi oggi decisamente di più rispetto a generazioni precedenti. Qui la parola anziano è risultata la più descrittiva e pertinente.”

“Nella descrizione delle persone anziane che colpiscono l’immaginario individuale e sociale emergono cinque aspetti:
La bellezza dell’intelligenza, spesso i simboli di una bella anzianità sono uomini e donne di scienza o di forte autorevolezza morale.
Il fascino della libertà come se l’anzianità consentisse idee, espressioni e comportamenti meno filtrati dalle convenzioni sociali o la possibilità di valutazioni meno legate alla ponderazione e più all’emozione del momento. Insomma una libertà che ad una certa età è consentita ma non lo è in altre: assomiglia alla libertà degli artisti.
La tranquillità della saggezza, una specie di serenità che viene dalla conoscenza, dalla capacità data dall’esperienza di ordinare ciò che è importante, attribuire valori corretti ai casi e alle cose della vita.
L’impegno sociale e culturale come capacità di restituire alla società parte di ciò che si è raccolto, di sostenere il proprio fare con forti riferimenti etici e ideali.
La seduzione di un amore incondizionato, come può essere l’amore dei nonni, illimitato, gratuito.
Siamo dunque, anche nell’immaginario collettivo, oltre l’anziano del secolo scorso, quello che fuori dal ciclo economico perde identità individuale e ruolo sociale. Si rilevano energie nuove, una ricchezza che si traduce in nuovi comportamenti e nuovi bisogni.”

Un altro aspetto interessante per le donne pensionate è il rapporto con il lavoro a cui affidano un valore di forte riconoscimento delle proprie identità, di socialità e di gratificazione. Forse tipico tratto socioculturale femminile emiliano, il 51% delle donne pensionate - contro una percentuale di uomini pensionati assai inferiore - ha associato il lavoro all'identità e richiesto al sindacato pensionati di occuparsi dei pensionati/lavoratori evidenziando in tal modo l’importanza del lavoro come elemento di emancipazione e di conseguenza, stanti le disparità economiche/salariali ancora presenti, l'importanza e la necessità del ruolo di tutela da parte del sindacato riconoscendogli un importante valore collettivo

Nuovi bisogni, nuove opportunità e nuovi servizi.
Se ne possono indicare quattro.
Nuova progettualità, cioè il desiderio e la volontà di programmare nuove attività nei campi ricreativo, lavorativo, culturale, per non circoscrivere la propria vita all'interno di azioni importanti, però tradizionali e di ruolo(la cura dei nipoti, aiuto ai figli...) e rilanciare la curiosità; fare ciò che prima si era accantonato.
Libertà, intesa come libertà ...da un’organizzazione subita della giornata. Ma anche libertà di… autonomia, di tempo, pensiero ed espressione.
Scambio e restituzione come nuova dimensione della socialità, che non è solo stare insieme ad altri ma avere un ruolo riconosciuto nella comunità, sentirsi “baricentro emotivo”, non sprecare vita.
Riflessione che non è una specificità dell’anzianità, ma che qui acquista il valore del riordino, della rilettura della propria esperienza che sarà condizione dello scambio e della condizione di “esperti di riferimento”.

Nuovi bisogni per nuovi anziani (o senior, o adulti maggiori), dunque. È una generazione che ha più risorse ed energie, non vuole abbandonare la curiosità, ritiene di avere ancora tante cose da fare, competenze da spendere, non vuole ritirarsi dai propri interessi, non vuole chiudersi nelle attività di accudimento.


Definizione di “restituzione” e ruolo della “narrazione”
Al campione di cittadini intervistati sono state proposte cinque affermazioni che hanno registrato ciascuna un ampio consenso e che descrivono una necessità ed insieme una disponibilità ad investire sulla restituzione. Le prime tre affermazioni descrivono un atteggiamento, le ultime due la richiesta di nuovi servizi:
- si invecchia quando non si scambia più con gli altri
- restituire ciò che si è imparato è un modo positivo di invecchiare
- restituire ciò che si è imparato è un’esigenza individuale, ma anche un vantaggio sociale
- ci vorrebbero dei luoghi dove restituire esperienza e conoscenza
- per restituire sarebbe utile qualcuno che ti aiutasse a riordinare, esperienze e pensieri

Inoltre all’intervistato è stato chiesto di immedesimarsi nella seguente situazione: Se lei fosse in un periodo di difficoltà della sua vita, per il lavoro o per la famiglia, troverebbe interessante ascoltare l’esperienza di persone che hanno già vissuto e confrontarsi con loro? L’80 per cento del campione risponde Sì e dunque esplicita un’ampia disponibilità.
C’è dunque molto interesse a considerare la restituzione di vita vissuta e di esperienza come una risorsa dell’individuo ma anche della comunità, sia da parte di chi può restituire sia da parte di chi può essere interessato a raccogliere esperienza.
Una disponibilità così alta alla restituzione è spiegabile perché c’è una dimensione sociale importante, perché lì è rintracciabile un nuovo ruolo e una nuova identità, perché restituire è continuare una parte di sé, perché restituire implica, richiede il riordinare la propria vita, individuarne un senso o almeno un percorso (e dunque risponde ad un bisogno profondo).
Gli anziani di oggi propongono una nuova progettualità e curiosità, una nuova libertà, l’esigenza e la disponibilità alla restituzione, una riflessione che ha la caratteristica di riordino di cose e pensieri; se queste stesse caratteristiche vanno a definire un nuovo e più adeguato livello di servizi (quelli del tempo libero, delle attività culturali, dell’attività fisica e quelli del volontariato) occorre anche prevedere servizi aventi l'obiettivo dello scambio e della restituzione di esperienza accanto ad un nuovo approccio al tema del lavoro.
Il principale obiettivo dei servizi rivolti agli anziani legato all’invecchiamento attivo oggi potrebbe essere integrato da quello dello scambio e della restituzione.
Se ieri la dignità della persona anziana era il fulcro dei servizi; oggi si può guardare all’anziano come risorsa.
La figura di riferimento ieri è stata l’assistente sociale; oggi può essere affiancata da quella dello psicologo o comunque di un facilitatore dello scambio e della restituzione.
Da questa ricerca emerge che per il 54 per cento degli intervistati una delle condizioni essenziali per una buona anzianità è anche il bisogno di avere conoscenze per districarsi nel mondo digitale senza essere un nativo digitale: quindi formazione anche nell’età della pensione e non solo durante la vita lavorativa. Per gli anziani questo bisogno è al secondo posto dietro solo alla relazione con gli altri.

La necessità di relazioni è ovviamente risultata al primo posto, anche perché la rilevazione è stata effettuata durante il lockdown e raccoglie nel sondaggio il 74 per cento delle scelte. L’impressione è che durante la fase 1 abbiano sofferto sia la fascia molto giovane, sia la fascia molto anziana. Senza relazioni, senza luoghi di scambio: un destino comune che, invece del conflitto generazionale, dovrebbe dare vita a un’alleanza.
Per quanto riguarda il lavoro, come spiega Martinelli in un suo commento: “Un altro cambiamento che caratterizza questa nuova generazione di anziani è il rapporto con il lavoro. Perché tantissime persone che vanno in pensione continuano a lavorare facendo lo stesso o altri lavori, magari con modalità diverse e ridotte? Dalla ricerca emerge come la maggioranza individui la ragione nel fatto che il lavoro dà identità, ruolo sociale e gratificazione e anche perché senza lavoro si è soli. Ci possono essere anche motivi economici ma sono collocati in secondo piano. Qui c’è tanta modenesità, un’idea alta del lavoro, strumento di dignità e crescita, nella sua dimensione individuale e sociale insieme.

Ma c’è anche altro: la rottura (nei comportamenti concreti) della scansione tayloristica della vita, rinchiusa nello schema consecutivo studio, lavoro, pensione, dove lo studio è funzionale al lavoro e la pensione è vita senza lavoro. Uno schema del Novecento, congruo alla produzione industriale ma che negli anni è risultato insufficiente e superato a favore di un alternarsi di formazione, lavoro e riposo nel corso di tutta la vita adulta. E dunque anche l’anzianità oggi vede un nuovo mix di questi tre elementi. Peraltro il lavoro senior è uno dei primi elementi della restituzione”. Curioso è che mentre da una parte si ritiene che il lavoro sia elemento di riconoscimento/identità ad una successiva domanda su assistenza a non autosufficenti nelle donne prevale l’attività di cura/assistenza a domicilio rispetto ad altre soluzioni esterne.
Sembra che le donne, anche da pensionate, aggiunge Pellacani, rivendicano un ruolo attivo/lavorativo nella società ma nel contempo non si riesce a rompere il ruolo di accudimento/cura da sempre a loro carico e che durante il COVID è stato di certo di maggior peso.

Non autosufficienza e rigenerazione urbana
È stato chiesto ai modenesi su quali servizi e politiche è più utile puntare. Le risposte sono polarizzate su due opzioni: ricorso alla casa protetta per il 41 per cento (opzione privilegiata dagli uomini), potenziare i servizi domiciliari per il 49,8 per cento (opzione privilegiata dalle donne). Lo scarto minimo - la differenza tra le due opzioni è inferiore alla percentuale di chi non sa o non risponde - “sembra dire alla politica di tenere aperte le due opzioni per poter scegliere in relazione a specifiche e concrete condizioni. Ancora una volta l’approccio non è ideologico, di principio, non si tratta di stabilire a priori ciò che è giusto o sbagliato, ma occorre valutare e decidere nel merito in relazione alle condizioni della persona anziana, all’offerta di servizi, alle energie e risorse della famiglia”. Quasi il 90 per cento degli intervistati si dichiara d’accordo con l’ipotesi: “il futuro delle case protette è quello di diminuire progressivamente la dimensione, personalizzare i servizi, fino a diventare abitazioni simili a quelle private e con servizi condivisi come mensa, sanità, assistenza e socialità”. Raccoglie consensi il cohousing, “descritto come un’esperienza residenziale data dalla coesistenza di abitazioni private e spazi comuni che rendono possibile la custodia di un proprio spazio da abitare e la condivisione di servizi che permettono aiuto, sostegno e scambio".


Covid – 19 e ricerca
questo lavoro di ricerca è stato svolto per una parte poco prima dell’esplosione della pandemia. La lettura dei risultati, dunque, non può prescindere da quanto successo. Cosa emerge? “Che non ci sono più gli anziani di una volta. Dal punto di vista demografico sono tanti e nei prossimi anni cresceranno, in questa regione che fa concorrenza al longevo Giappone. Hanno buona salute e solide posizioni economiche alle quali fare affidamento. Non hanno lo sguardo rivolto al passato, ma piuttosto a un divenire ancora lungo e fortemente contrassegnato dalla libertà di agire. La vecchiaia è una dimensione lontana ed estranea, è una stagione alla quale non ci si prepara perché di ‘cattivo augurio’, se segnata dalla mancanza di autonomia, dal bisogno degli altri, dalla perdita della libertà. I nuovi anziani, che tali non si percepiscono, vogliono reinventare questa stagione della loro esistenza e ciò a prescindere dalla pandemia”.

Poi occorre arricchire sia il nostro vocabolario che le nostre modalità e, in conclusione, arriva una provocazione: in analogia alla parata del gay pride si propone di istituire il "Silver Pride" o anche "Age Pride", il giorno in cui si marcia per l'orgoglio dell'anzianità. "Vorremmo che fosse pensata come una manifestazione aperta a tutti, indipendentemente dall'età, che celebri l'accettazione sociale della condizione di anziano e l'autoacettazione delle persone silver, della lotta all'ageismo nei loro confronti. La data a cui penso è l'11 marzo, data estremamente evocativa, è il giorno l’11 marzo 2020, nel quale l'oms ha definito pandemia l'infezione da covid 19, che ha annoverato tra le sue vittime tanti anziani sacrificati e malcurati in quanto vecchi".

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