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QUEL DIROMPENTE PROFUMO DI MIMOSA... FRA LE MACERIE DEL DOPOGUERRA

QUEL DIROMPENTE PROFUMO DI MIMOSA... FRA LE MACERIE DEL DOPOGUERRA

Fu Teresa Mattei, allora, a suggerire a Luigi Longo il fiore tanto significativo: «un fiore povero» disse, «facile da trovare nelle campagne».

Giovedi, 06/03/2014 - Per questo giorno internazionale della donna, ai settant'anni di Noi Donne, viene voglia di sfogliare le vecchie carte, impolverarsi le mani spolverando i pensieri fra gli scartafacci che giacciono in archivio; per rimettere in movimento quel clima primaverile degli anni Cinquanta, a cui si devono stili, ambizioni e colori della ricorrenza del nostro 8 marzo.



Prima di quegli anni di "coagulo" attorno all'UDI non c'era ancora la simbolica mimosa con il suo giallo vivo e il suo profumo intenso. Fu Teresa Mattei, allora, a suggerire a Luigi Longo il fiore tanto significativo: «un fiore povero» disse, «facile da trovare nelle campagne1».



La "ragazza di Montecitorio" (così veniva soprannominata la giovane Mattei) sentì nella mimosa, probabilmente, in quel profumo indomito e pungente, qualcosa di affine al carattere che la contraddistinse: «io non credo agli eroismi senza paura» diceva, «credo che l'unico eroismo sia di vincere la paura, e fare lo stesso quello che si è deciso di fare».



Non ci sorprende che siano stati proprio lo spirito e l'animosità di Teresa Mattei ad ispirare il famoso capitolo fiorentino di Paisà (1946).



Quando questo film di Roberto Rossellini fu annoverato nella lista delle cento pellicole da salvare per aver mutato con maggior forza ed efficacia la memoria collettiva dell'Italia, l'eco del trionfo e l'onda lunga del successo tornavano ad omaggiare quella tenacia partigiana (sognatrice così tanto da rasentare l'utopia), autonoma, impavida e infine vincente, che salvò l'Italia dal nazi-fascismo.



In questo senso si può dire che, già storicamente, l'8 marzo italiano abbia delle specificità tutte sue. Specificità per cui, contemporaneamente, si accomuna e si differenzia dal contesto novecentesco del Women's day, strettamente imparentato con i maggiori congressi del socialismo internazionale.



Durante il settimo Congresso della Seconda Internazionale socialista, infatti, - tenutosi a Stoccarda tra il 18 e il 24 agosto 1907 - i maggiori sostenitori del marxismo tedesco, russo e francese (come Rosa Luxemburg, Clara Zetkin del Die Gleichheit, Bebel, Martov e Jaurès) discussero gli argomenti all'ordine del giorno, fra cui: il voto delle donne, quindi il suffragio universale femminile.



E' qui che furono stilati i punti di una lotta internazionale che mirava alla conquista di diritti, riconoscimenti e libertà a favore delle donne.



Tra l'agosto del 1907 e il febbraio del 1908, evidentemente, si smossero anche acque atlantiche, se sul magazine "The Socialist Woman", Corinne Brown poté scrivere un articolo femminista teso a spronare tutte le donne socialiste a lavorare per la propria emancipazione. Fu la stessa Signora Brown che, poi, il 3 maggio del 1908 a Chicago, istituì finalmente "il giorno della Donna".



Se per i francesi il giorno della donna rievoca l'esperienza nazionale della Comune parigina, e per i tedeschi lo strapotere (evidente anche agli occhi del preoccupato re di Prussia) di un intero popolo armato in rivolta contro ingiustizie e vessazioni; in Italia, l'8 marzo ricorda quella urgente "koiné" politico-partitica non esclusivamente socialista, raccolta sotto l'egida dell'Unione Donne Italiane, all'indomani della Seconda Mondiale.



Quando, tra la fine della guerra e i prmi anni Cinquanta, l'UDI si prendeva con le unghie i suoi spazi - con un fare spesso frainteso, perché reputato persino "eversivo" o "abusivo" - essa dovette lottare addirittura affinché la giornata della donna fosse avvertita come ricorrenza dal valore nazionale.



Come se in Italia i diritti e le libertà non fossero conquiste da ottenere, difendere e garantire una volta per tutte, ma traguardi sdrucciorevoli difficili da tutelare, perché sottoposti ad una continua erosione.

Come se in Italia, qualcosa di identitario fosse rimasto tanto sgranato da impedire una compatta e solidale identificazione popolare nelle battaglie di partigianeria.

Come se proprio l'Italia più istituzionale mancasse, infine, di esecutività.



A questo deficit tutto italiano già si riferiva la stessa Teresa Mattei quando osservava che «nemmeno un terzo di quanto è stato sancito dalla costituzione si è realizzato». «All’epoca eravamo convinte che quelle leggi sulla parità sarebbero entrate subito in vigore, ma sono rimasti principi sulla carta».



Si sente ancora oggi (dopo settant'anni del periodico, di megafoni, di fogli volanti e banchetti cosiddetti "abusivi") il bisogno di concretezza, la voglia di incorporare definitivamente un messaggio che non ha più scuse per non farsi assimilare.



Marta Mariani

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