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Rianimazione neonatale e dilemmi etici

Rianimazione neonatale e dilemmi etici

Istituto Italiano di Bioetica - In molte situazioni la rianimazione neonatale si presenta come un vero e proprio accanimento terapeutico

Prodomo Raffaele Sabato, 31/01/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2015

I potenti mezzi tecnologici oggi disponibili nel campo della rianimazione pediatrica pongono acuti dilemmi etici in molte situazioni in cui la rianimazione si presenta come un vero e proprio accanimento terapeutico. Si pensi a quelle malformazioni gravi incompatibili con la sopravvivenza o più semplicemente ai nati prematuri. Un esempio della prima evenienza è dato dal cosiddetto caso “Davide”. Davide è un neonato pugliese nato qualche anno fa con una grave malformazione, la totale assenza dei reni, denominata sindrome di Potter. Per questa malattia non esistono cure efficaci e la morte è inevitabile dopo pochi giorni dalla nascita. Appena nato i medici proposero di iniziare la dialisi peritoneale, una tecnica di sostituzione della funzione renale che, tuttavia, avrebbe solo dilazionato l’esito fatale. A fronte della richiesta dei genitori di avere un minimo di tempo per riflettere sull’opportunità o meno di tale terapia, i medici inoltrarono istanza al Tribunale dei minori ottenendo la sospensione della patria potestà e l’autorizzazione del giudice alla dialisi.

Davide morì dopo pochi giorni, nonostante la dialisi.

Durante la fase del contenzioso legale la storia ebbe un grande impatto mediatico con prese di posizione contrapposte. Resta l’amara considerazione che forse una più attenta valutazione delle evidenze scientifiche disponibili, attestanti l’incurabilità della malformazione per la quale non è praticabile il trapianto renale (ragion per cui la dialisi peritoneale diventa un mero e precario prolungamento del processo del morire) avrebbe consentito di evitare una serie di spiacevoli conseguenze: ai genitori un trauma ulteriore, a Davide l’inutile sofferenza in rianimazione e a molti politici italiani l’ennesima brutta figura in campo bioetico (ad esempio la ridicola affermazione di un parlamentare cattolico di centro-destra che Davide avrebbe potuto essere trapiantato e avere una vita normale!).

Se le gravi malformazioni sono evento fortunatamente raro, altre situazioni più frequentemente si presentano a sfidare la coscienza morale collettiva: il riferimento va alle tante nascite premature di bambini per il resto sani e normoconformati. Qui il problema è dato dall’immaturità del neonato venuto al mondo troppo in anticipo e non in grado di sopravvivere da solo se non con l’ausilio della rianimazione neonatale. Il problema è posto dal fatto che fare sopravvivere questi neonati pretermine non è sempre un buon affare, il prezzo della sopravvivenza è spesso quello di subire danni neurologici che comportano invalidità gravi di tipo motorio o psichico. Consci della questione i neonatologi hanno cercato la soluzione in linee guida che propongano limiti precisi alla rianimazione indiscriminata di neonati in qualunque epoca gestazionale, indicando un discrimine tra terapia corretta e accanimento terapeutico. La cosiddetta Carta di Firenze, ad esempio, proponeva di trattare sempre tutti i neonati a partire dalla 25° settimana di gestazione, non trattare nessun neonato prima della 22° settimana, e decidere caso per caso nella zona grigia intermedia tra la 22° e la 25° settimana. Il criterio cronologico proposto non è ovviamente arbitrario ma trova giustificazione nella rilevazione statistica che associa al trattamento nelle varie epoche gestazionali un numero sempre più ampio di danni neurologici sempre più gravi quanto più immaturo è il neonato.

Un quadro di riferimento operativo così preciso e dettagliato offre sicuramente un utile orientamento ai medici impegnati nelle rianimazioni neonatali, avendo tra l’altro l’indiscusso merito di definire con coraggio cosa è accanimento terapeutico e quale atteggiamento va preso in tali casi: l’assoluta desistenza di qualunque pratica rianimatoria che non sia rivolta alla riduzione delle sofferenze. Ma possiamo accontentarci di questo? Il rifiuto dell’accanimento terapeutico comporta anche un rifiuto della sperimentazione clinica?

Se osserviamo retrospettivamente la storia del trattamento dei neonati prematuri vediamo che essa si dipana lungo una strada di progressivo avanzamento e spostamento dei limiti: quello che in una determinata epoca sembrava impossibile si è gradualmente reso praticabile, neonati con un peso e un grado di immaturità funzionale sempre più bassi sono stati salvati e messi in condizione di crescere sani. Perché dunque dovremmo pensare che non ci saranno più avanzamenti e progressi in tale campo? L’unico modo per garantire il progresso e, contestualmente, il rispetto della dignità umana è quello di prevedere un canale sperimentale per i neonati al limite della trattabilità. In questo modo la rianimazione di neonati prima della 22° settimana che, se proposta come terapia ordinaria, sarebbe senz’altro un accanimento terapeutico, potrebbe essere un trattamento sperimentale eticamente accettabile per un gruppo selezionato di neonati, al quale verrebbero offerte tutte le garanzie di una corretta ricerca clinica.

In altre parole, il canale sperimentale consentirebbe di trasformare l’accanimento terapeutico di oggi in una terapia standard di domani. Resta il problema odierno di affermare la cultura delle cure palliative e dell’astensione terapeutica anche in ambito pediatrico-neonatale. Un ambito in cui forse per la giovane età dei soggetti si tende troppe volte a voler fare tutto il possibile e, a volte, anche l’impossibile con il perenne pericolo di sconfinare nell’accanimento. Un dato su tutti: la percentuale dei bambini che muore a seguito di una malattia incurabile passando l’ultima fase della propria vita in una sala di rianimazione si è progressivamente accresciuta negli anni arrivando oggi a superare abbondantemente il 90%. Appare lecito porsi un quesito: ma i bambini devono morire tutti in rianimazione?

 



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