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(Ri)comincio da me: consapevolezza e reintegro lavorativo e sociale delle donne detenute

(Ri)comincio da me: consapevolezza e reintegro lavorativo e sociale delle donne detenute

Il carcere negli occhi delle donne: a Modena un progetto, un libro e una mostra con le opere delle detenute della Casa circondariale Sant’Anna per riflettere sulla detenzione femminile

Mercoledi, 27/12/2023 -

I risultati del progetto “(Ri)comincio da me” - realizzato nella sezione femminile della Casa circondariale S. Anna di Modena e promosso da Centro documentazione donna, Casa delle donne contro la violenza, Gruppo Carcere-Città, Csv Terre Estensi, in collaborazione con il Comune di Modena e la Direzione della Casa circondariale Sant’Anna, sostenuto dai fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese – sono stati presentati lo scorso 30 novembre presso la Casa delle Donne di Modena con la partecipazione della Prefetta di Modena, dell’Assessora alle Politiche Sociali, del Direttore della Casa Circondariale S.Anna. Nello stesso pomeriggio è stata inaugurata la mostra a cura di Federica Benedetti “(In)Curabile bellezza. Donne che fanno comunità”, che è stata aperta al pubblico fino al 9 dicembre.

Il percorso è raccontato nel libro “No Name. Il carcere negli occhi delle donne” a cura di Caterina Liotti ed edito da Mucchi. L’obiettivo dell’iniziativa, di tipo culturale, era accendere i riflettori su una realtà, quella della detenzione femminile che, per le sue ridotte dimensioni numeriche resta invisibile, sconosciuta ai più e raccontata sempre attraverso gli stereotipi della fragilità, della vittimizzazione, della scarsità di risorse culturali ed economiche delle detenute piuttosto che sulle “sofferenze aggiuntive” (rispetto agli uomini), determinate dalle specificità in termini di vita quotidiana, differenti bisogni e meccanismi relazionali.  

Il progetto “(Ri)comincio da me. Percorsi di consapevolezza e sostegno da donna a donna per il benessere psicofisico e reintegro lavorativo e sociale delle donne detenute” ha dato continuità, con laboratori di vario genere, all’impegno portato avanti dal 2018 dalle sopra citate associazioni dentro alla sezione femminile della Casa circondariale S.Anna di Modena. Negli anni sono stati realizzati percorsi di incontro e scambio relazionale per offrire alle detenute occasioni di riflessione sulle proprie storie di vita, dentro la quale si è collocato anche il reato, con l'obiettivo di contribuire a ricucire le ferite aperte dalla dolorosa esperienza del carcere.

Il progetto realizzato quest’anno, a partire dalla primavera 2023, ha coinvolto circa 25 detenute e una decina tra volontarie e operatrici che si sono incontrate nella biblioteca della sezione femminile raccogliendo bisogni disattesi, rabbia, voglia di libertà, paure, sofferenze, cercando di costruire momenti di consapevolezze e sostegno, incanalati nel laboratorio di educazione all’arte di cui la mostra è il risultato. 

Il progetto “(Ri)comincio da me” ha prodotto sia la mostra che il libro.  

LA MOSTRA “(IN)CURABILE BELLEZZA. DONNE CHE FANNO COMUNITA’”
La mostra a cura di Federica Benedetti “(In)Curabile bellezza. Donne che fanno comunità” con opere di Chiara Negrello, Marianna Toscani e Collettivo No Name della sezione femminile del S.Anna, è stata esposta fino al 9 dicembre 2023 presso la Casa delle Donne di Modena, e successivamente allestita anche all’interno della Casa circondariale di Modena, al fine di creare un ulteriore momento di incontro con le detenute autrici dei collages esposti. La mostra ha voluto restituire l’esperienza del laboratorio di educazione all’arte che ha fatto incontrare la comunità, forte e coesa, delle pescatrici del Delta del Po (nelle fotografie di Chiara Negrello, tratte dalla serie Like the Tide) con un gruppo eterogeneo di donne che vivono il carcere. Un incontro che parte dal coraggio e dalla determinazione di donne detenute, volontarie e operatrici che - pur nell’anonimato del modo in cui hanno scelto di definirsi, Collettivo No Name - si sono messe in gioco facendo nascere una comunità basata sui valori della sorellanza e della cura come emerge nei loro collages (su fotografie di Marianna Toscani). Una narrazione nuova che racconta qualcosa di apparentemente inconciliabile con la durezza del luogo in cui tutto ciò è avvenuto: la nascita di uno spazio di inaspettata bellezza.

IL LIBRO NO NAME. IL CARCERE NEGLI OCCHI DELLE DONNE”
La pubblicazione “No Name. Il carcere negli occhi delle donne” a cura di Caterina Liotti, edita da Mucchi (XXI pubblicazione della Collana Storie Differenti del Centro documentazione donna), fa da catalogo alla mostra “(In)Curabile bellezza. Donne che fanno comunità” e da strumento di approfondimento sulle dinamiche osservate dentro la sezione femminile del S.Anna dal gruppo di progetto: Anna Perna, Paola Cigarini e Caterina Liotti hanno scritto sui temi della sorellanza, dei bisogni disattesi e della spersonalizzazione. Significativi poi i contributi di contestualizzazione dell’operazione realizzata, forniti da Grazia Zuffa, autrice di ricerche nazionali sul tema, che inquadra nel contesto italiano le problematiche legate alla detenzione femminile, e da Claudia Löffelholz, Direttrice della Scuola di alta formazione Fondazione Modena Arti Visive, che indaga come il linguaggio dell’arte possa aiutare a costruire una società più inclusiva, empatica e solidale. 

LA DETENZIONE FEMMINILE IN ITALIA
La detenzione femminile in Italia è pressoché invisibile, sia per le dimensioni numeriche che per la scarsa pericolosità sociale. Al 31 ottobre 2023 sono 2525 le donne presenti negli istituti penitenziari italiani (su 59715 detenuti): circa 600 sono detenute in uno dei quattro carceri femminili presenti sul territorio italiano (Trani, Pozzuoli, Roma e Venezia), mentre tutte le altre sono distribuite nelle 44 sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili. Modena è una di queste. «Questi numeri, ma anche la storica assenza di una prospettiva di genere della società - spiegano le organizzatrici - contribuiscono a rendere invisibili le donne detenute e i loro specifici bisogni, sia per l’organizzazione penitenziaria che per l’opinione pubblica, e quindi ad aumentarne i disagi e le sofferenze. Solo negli ultimi anni alcune ricerche e azioni di monitoraggio a livello nazionale, hanno provato ad accendere i riflettori su tale realtà caratterizzata da scarse risorse, pochissime opportunità di lavoro, studio e formazione, molto spazio all’inattività e all’isolamento e quindi maggior esposizione ai rischi di sopraffazione dagli stress costituiti dagli ostacoli ambientali. A ciò si aggiunge l’interazione con ciò che si incontra dentro. Il rapporto con le altre detenute, il vissuto familiare, il ruolo genitoriale, la tossicodipendenza, la relazione con le agenti di polizia penitenziaria, ma anche con educatrici e assistenti sociali, quello con gli uomini rimasti fuori (e quelli dentro), attraverso la coscienza di sé, del proprio esistere, del proprio corpo. La lontananza dagli affetti, la separazione dai figli soprattutto, ma anche dai genitori e dai partner, è infatti per le donne detenute uno dei fattori maggiori di sofferenza e di condizionamento in negativo. In carcere è ancora oggi difficile avere colloqui, incontri o notizie delle persone care, nonostante il mantenimento delle relazioni esterne sia segnalato dall’Organizzazione mondiale della sanità come fattore di protezione della salute psicofisica delle persone detenute. Nonostante il difficile ruolo del volontariato che ostinatamente tenta un incontro tra il “dentro” e il “fuori”. Guardare alle detenute attraverso il pensiero femminile della differenza, significa contribuire a costruire, insieme, il carcere dei diritti».


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