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Ricordando la Somalia con rabbia

Ricordando la Somalia con rabbia

Africa/ Missioni di pace - Parlare ancora una volta del problema della pace nel mondo, e se non sia il caso di affrontarlo in modi diversi e soprattutto più umani, porta anche a riparlare della Somalia

Giulia Salvagni Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2005

Quanti brutti ricordi riaffiorano alla notizia della recente pubblicazione del libro "Peace-Keeping, pace o guerra? Una riposta italiana: l’operazione Ibis in Somalia” scritto dal generale Bruno Loi (Brigata Folgore) oggi in pensione. Nel 1992, l'operazione "Restore hope", sotto l'egida dell'Onu, coinvolse 12mila uomini, in gran parte provenienti dalla Brigata paracatudisti Folgore. Il comunicato di presentazione del libro spiega: “Il Contingente italiano svolse un ruolo fondamentale, iniziando una vasta opera di disarmo delle bande e di ricostruzione del tessuto amministrativo del Paese, trovandosi, suo malgrado, impegnato in scontri a fuoco che comportarono la perdita di numerose vite. Le divergenze intercorse tra comando italiano e statunitense costrinsero il governo dello Stivale a ritirare i soldati”.
Questo articolo, che non è una recensione, segue il filo della memoria tornando ad un passato neanche tanto lontano, e lo fa con l’aiuto di un cronista del settimanale Panorama, Marco Gregoretti, che si è occupato a lungo della vicenda delle torture e degli stupri durante la missione Ibis. Al riguardo, l’odierno comunicato ricorda: “Alcuni anni dopo, i militari italiani reduci dalla missione furono investiti da pesanti polemiche giornalistiche su casi di violenze nei confronti di civili. Le commissioni d'inchiesta e i tribunali interessati ridimensionarono la questione scagionando tutti i vertici dell'operazione”. In quegli anni, per i servizi che produsse, Marco Gregoretti vinse anche il premio giornalistico Saint-Vincent. “Magra consolazione, i colpevoli non sono mai stati puniti, ed i fatti sono stati raccontati solo in minima parte” commenta.
Difficile dimenticare le foto e le denunce riportate dalla stampa in quei giorni, erano secondo lei una montatura?
Posso rispondere per quel che riguarda il mio lavoro. Le foto mi furono consegnate tutte da militari che avevano partecipato alla missione Ibis. Una sequenza era particolarmente odiosa: una donna legata mani e piedi a un veicolo militare veniva stuprata da cinque paracadutisti che se la ridevano (tra loro c'era anche un sottoufficiale) con una bomba illuminante cosparsa di marmellata. Stefano, il paracadutista autore di quelle fotografie, nei giorni successivi a quello stupro scrisse una lettera toccante e angosciata, direi piena di lacrime, ai genitori. Scriveva delle urla della donna e dei suoi incubi che non lo hanno più abbandonato. La commissione governativa presieduta da Ettore Gallo, una commissione priva di poteri e di budget (non poterono andare neanche in Somalia a fare delle verifiche con testimoni che aspettavano di raccontare la loro verità) riconobbe che era tutto vero. E che erano veri o verosimili anche altri episodi. La giustizia ordinaria invece mise sotto processo Stefano perché aveva fatto il nome del sottoufficiale che aveva fotografato. La procura militare, infine, dopo le dichiarazioni del capo della procura Antonino Intelisano che condannava le gesta dei soldati, non fece nulla. Ma proprio nulla.
Cosa intende con "I fatti sono stati raccontati in minima parte"?
Personalmente ho scritto tanti altri articoli su quelle vicende. Quando la commissione Gallo stava per essere chiusa, un maresciallo del Tuscania (il reparto che aveva in Somalia compiti di polizia militare) decise di rendere noto al procuratore militare il suo memoriale. Si facevano i nomi, oltre al resto, di alti ufficiali che avevano partecipato a stupri collettivi usando il terribile gioco della bottiglia. Uno di questi era un maggiore promosso a colonnello: lo stesso che dirigeva le operazioni in piazza Alimonda a Genova quando fu ucciso Carlo Giuliani. Nel memoriale si raccontavano anche i litigi di Ilaria Alpi con il generale Loi, delle foto che Ilaria, di nascosto, aveva realizzato di uno di quegli stupri con alti ufficiali, del fatto che Ilaria fosse stata vista dagli stessi ufficiali e che dovette scappare di corsa di notte dal porto vecchio di Mogadiscio...Risultato? Alla fine quel maresciallo è stato messo in condizione di uscire dall'Arma a cui era legato da almeno due generazioni. In quel periodo in Somalia fu ucciso anche il maresciallo Vincenzo Li Causi, uno dei migliori agenti del controspionaggio italiano della rete Sty Behind. Era amico del maresciallo del Tuscania autore del memoriale e di Ilaria Alpi. Morì ucciso in patria anche il maresciallo del nono battaglione Col Moschin Mandolini che a Mogadiscio era il capo scorta del generale Loi. Fu ucciso a Livorno. Aveva contratto una malattia probabilmente causata dall'uranio impoverito. Forse voleva denunciare il fatto che già in Somalia venivano usati proiettili all'uranio impoverito. Una notizia confermata indirettamente dalle disposizioni della Nato che metteva in guardia i militari impegnati in quella missione sui danni provocati dall'uranio impoverito. E suggeriva i modi per evitare rischi e pericoli.
A turbare quella missione, ci fu pure l’attacco al chek-point “Pasta” durante il quale morirono tre militari italiani.
Era il due luglio. Il chek-point Pasta era controllato dai militari italiani. Nei giorni prima gli emissari di un signore della guerra portarono a un ufficiale italiano il cadavere di una donna a loro dire stuprata e uccisa dai nostri soldati. Intimarono l'ufficiale di lasciare il chek-point. L'invito non fu raccolto, anche perché era un ricatto difficilmente accettabile. Allora scoppiò il finimondo. Il chek point venne attaccato all'orientale: davanti donne e bambini a tirare pietre, dietro uomini con Kalashnikov e razzi. Morirono tre soldati italiani. Ci sono le registrazioni audio e i racconti di chi era presente che descrivono una situazione di caos e di disorientamento totale.
Hanno qualche senso per lei le operazioni di Peace keeping?
Come cronista e come giornalista devo soltanto raccontare, nella maniera più completa possibile, cosa succede prima, durante e dopo. Come cittadino credo, rafforzato anche dalle notizie conosciute come giornalista, che la più grande ipocrisia, politica, storica, diplomatica, finanziaria e militare sia chiamarle missioni di pace.

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