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Ripartire dall'elaborazione della violenza - Intervista a Titti Carrano

Ripartire dall'elaborazione della violenza - Intervista a Titti Carrano

Post legge 1540 - Donne dentro i movimenti e sul territorio

Mercoledi, 23/10/2013 -

L’associazione nazionale D.i.R.e., fondata nel 2006 con sede a Roma, raccoglie dentro un unico progetto politico 54 Centri Antiviolenza e le Case delle Donne che in vent’anni di attività hanno dato voce, sul territorio nazionale, a saperi e studi sul tema della violenza alle donne, supportando migliaia di donne ad uscire insieme ai propri figli/e dalla violenza e a conquistare la libertà. Noidonne ha incontrato Titti Carrano, Presidente dell'Associazione, per raccogliere la sua opinione sul decreto 93 adesso legge 1540, a partire dalle critiche sollevate da tante operatrici e rappresentanti dei movimenti femministi italiani in netto contrasto con le manifestazioni di piena soddisfazione di molti esponenti dei due principali partiti italiani. 




Titti Carrano, una sua opinione sul Decreto convertito in legge.



“L’associazione Di.Re si è espressa più volte sollevando delle critiche sulle scelte del Governo di affrontare ancora una volta il problema della violenza contro le donne con leggi che rispondono ad una logica di sicurezza e di repressione, come se il problema fosse di natura emergenziale e non lo è. Ci aspettavamo, soprattutto dopo la ratifica della Convenzione di Istanbul, un cambio di rotta da parte del legislatore proprio perché la Convenzione è chiara: c’è un obbligo da parte dello Stato non di tutela, ma di rimozione degli ostacoli che esistono per l’effettivo godimento da parte delle donne dei loro diritti fondamentali. Invece si continuano ad usare misure repressive come se fosse l’unica strada. Inoltre nella Convenzione si chiarisce che la violenza maschile contro le donne non è un fenomeno criminale che desta allarme sociale. Nella relazione accompagnatoria al Decreto Legge si parla invece di violenza contro le donne e di femminicidio come allarme sociale, il che significa non riconoscere le profonde radici e culturali del problema.”



Come valuta il finanziamento ai centri anti-violenza?



“La cosa più importante, ed era questo il punto critico del vecchio piano, (si tratta del Piano nazionale contro la violenza e lo stalking approvato nel novembre 2010 dall'allora Ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna di durata triennale, e dunque in scadenza ndr) è una chiara definizione di che cos’è un centro anti-violenza e di che cosa distingue i centri anti-violenza rispetto a tante altre strutture private di assistenza. I centri si caratterizzano per una particolare metodologia della violenza, nascono dal movimento delle donne, sono gestiti da sole donne. Bisognerà vedere concretamente se questi finanziamenti andranno a questi centri o verranno distribuiti a pioggia a tante realtà che esistono ma che non possono definirsi centri-antiviolenza. Abbiamo un piano in scadenza a novembre, non ha funzionato proprio perché non c’era una specificità né una concretezza negli interventi, non c’era nemmeno un adeguato riconoscimento dei centri anti-violenza equiparati a servizi pubblici o privati assistenziali. Il centri antiviolenza non erogano assistenza ma sono luoghi di libertà dove negli anni si è svelata la violenza, e ci sono state grandi elaborazioni culturali. Perché non partire da un sapere acquisito? Perché non valorizzare ciò che è stato fatto finora? L’elaborazione dei centri antiviolenza c’è da vent’anni, dunque partiamo da quello che è stato prodotto e poi continuiamo a cambiare.”



Quali sono le azioni su cui puntare?



“Il piano di prevenzione dovrà necessariamente contenere una serie di azioni di educazione nelle scuole, di prevenzione, di sensibilizzazione di formazione di tutti gli operatori che intervengono nelle situazioni di violenza. Tutte le azioni previste dall’articolo 5 difficilmente riusciranno ad essere realizzate perché la copertura dei 10 milioni è per l’intero Piano in più anni.”

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