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Teresa Mannino e le 'sue' ginocchia sbucciate

Teresa Mannino e le 'sue' ginocchia sbucciate

Teresa Mannino, in tour con 'Sono Nata il ventitré', racconta la sua infanzia a Palermo e rileva le contraddizioni e le paure dei genitori moderni

Lunedi, 02/03/2015 -
Nell'infanzia è scritto il nostro futuro, nel bene e nel male. Ne è convinta Teresa Mannino, attrice palermitana conosciuta al grande pubblico per i suoi sketch a Zelig e per la pubblicità di un gestore telefonico in cui cercava con un po' di goffaggine di concupire Raoul Bova. In tournée per i teatri dello Stivale con lo spettacolo Sono nata il ventitré, di cui è regista insieme a Giovanni Donini, Teresa Mannino - nei giorni scorsi al Duse di Bologna - racconta la donna e la coppia moderna. Lo fa con un monologo, in cui prende a prestito Ulisse e l'Odissea per restituire il giusto peso al concetto di eroe: «Ha impiegato 10 anni a percorrere un tratto di mare per cui bastavano dieci giorni, nel frattempo ha goduto dell'amore divino di Circe, ha rifiutato quello immortale di Calipso, si è lasciato tentare da Nausicaa, è tornato da Penelope che lo aspettava tessendo e le ha annunciato che sarebbe ripartito subito...Ma che uomo è uno così?».

Ancora, tratteggia le nevrosi e insicurezze da cui i genitori odierni sono afflitti, con forsennate corse a cercare risposte in improbabili manuali, del tipo 'Come togliere le ruotine alla bici di tuo figlio'. «Perché oggi - le sue parole - per una cosa così vai prima dallo psicologo e al bimbo glielo dite insieme, lo preparate...Ai miei tempi, a Palermo, si andava in bici in mutande, senza freni e ci si fermava coi talloni dei piedi...».

Novanta minuti in cui la Mannino racconta la vita e la 'sua' vita. Di terza figlia, quella per cui l'acqua pulita per fare il bagno non c'era mai; quella bruttina, che a differenza della sorella non suscitava tenerezza neppure nei vicini di casa; quella che ha dovuto rifare le foto della prima comunione col costume sotto il vestito perché le foto non erano venute; quella che ha voluto laurearsi in Filosofia, che «non serve a nulla», le diceva il papà, per fare poi l'impiegata senza vocazione. In un'ora e mezza di aneddoti autobiografici, ambientati tutti tra il condominio in cui viveva, le strade e il mare di Palermo, la Mannino rivela tutta la sua capacità di sintetizzare emotività e cultura, dolore e gioia, presentandosi senza indugi per come è oggi, figlia amata in maniera incondizionata e mamma apprensiva senza necessità di esserlo.

Perché i suoi traumi, questo è il senso, non erano poi tali. Perché forse è meglio un'educazione all'autonomia che non all'eccellenza. «Ci sono ragazzi specializzati nelle discipline più sofisticati, con master all'estero, che non sanno allacciarsi le scarpe». Ne vale la pena? E' il quesito che lei pone, senza esplicitarlo, di risata in risata, coinvolgendo il pubblico con domande a bruciapelo. E la risposta, anch'essa non esplicitata, ma indotta, è che no, forse si sta esagerando con la protezione, la sicurezza, che blocca la crescita. Perché in fondo «chi non ha avuto le ginocchia sbucciate? Chi non ha giocato a guardia e ladri...coi ladri?». Lei sì. E lei oggi, di trauma in trauma, di paura in paura, di rischio in rischio, è Teresa Mannino.

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