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 Tornare al Sé: essere stabili nel tempo dell’incertezza  -  di Grazia Roncaglia

Tornare al Sé: essere stabili nel tempo dell’incertezza - di Grazia Roncaglia

L’approccio trauma-orientato (Trauma Informed Care), per coltivare la consapevolezza nell’educazione

Domenica, 09/08/2020 - Sono insegnante di scuola primaria da oltre 25 anni a Torino, desidero condividere alcune riflessioni che spero possano essere utili ai lettori adulti, scaturite dall’emergenza sanitaria in cui ci siamo trovati e ancora ci troviamo e dalle esperienze educative che ho condiviso con i miei alunni di classe V primaria, che ovviamente hanno prima attraversato la mia esperienza personale.

Nel mio essere maestra in una scuola pubblica, da molti anni sono impegnata in una ricerca metodologica volta all’educazione alla consapevolezza di sé, delle relazioni sociali e etiche, coinvolgendo gli aspetti corporei, emotivi e cognitivi nella relazione educativa. Lavoro in classe in modo sistemico educando i bambini a "guardare con gli occhi del gruppo", per il benessere di ciascuno e di tutti.

Nei mesi precedenti il lockdown stavo lavorando con l’AEEES (Associazione per l’Educazione Etica, Emotiva e Sociale) all’adattamento per la scuola italiana del See Learning, il programma educativo secolare voluto dal Dalai Lama e da Daniel Goleman, promosso dalla Emory University, che si sta diffondendo in tutto il mondo.

Nell’ultimo mese prima della chiusura delle scuole, in classe stavo proponendo e praticando insieme ai bambini le attività per sviluppare la resilienza che suggerisce il programma secondo l’approccio trauma-orientato (Trauma Informed Care), che è guidato dalla comprensione di come stress e traumi possano influenzare il benessere emotivo e fisico delle persone e delle comunità. Possiamo considerare la resilienza come “la capacità di identificare e utilizzare i punti di forza individuali e collettivi per vivere pienamente nel momento presente e prosperare gestendo i compiti della vita quotidiana” secondo la definizione di Elaine Miller-Karas.
Dopo la chiusura delle scuole ho spesso pensato che non avrei potuto proporre un tema migliore, come ultima esperienza insieme a bambini che per cinque anni sono cresciuti attraverso un’educazione volta all’autoconoscenza e all’autoregolazione.

In classe ho sempre considerato ogni bambino nella sua unicità e ogni classe come un'energia collettiva più grande rispetto a quella delle singole unità che la compongono.
Credo infatti che il cuore di ogni pedagogia sia coltivare la consapevolezza dell'interdipendenza e del pensiero sistemico. Questo è stato il primo “insegnamento” che ho tratto dall’emergenza Covid-19, che ci ha chiusi nelle case e socialmente distanziati, imponendoci molte rinunce personali per garantire la sicurezza sociale. Nel nostro mondo sempre più dinamico e globalizzato, sia il benessere personale che l'azione etica richiedono una certa consapevolezza su come ci relazioniamo con noi stessi e con gli altri. Le scuole di oggi incontrano la necessità di preparare gli studenti ad essere cittadini globali, che possano navigare in un mondo sempre più complesso in modo responsabile, in grado di contribuire alla crescita propria e altrui nel rispetto di sé, degli altri e del pianeta.
Insegnare significa lasciare un segno. Credo che sia molto importante essere consapevoli dei segni che vogliamo lasciare. Attraverso il nostro modo di essere adulti, nei differenti ruoli di genitori o insegnanti, possiamo educare ad apprezzare il silenzio, all’incontro con sé stessi e all’autoconoscenza, attraverso l’ascolto del corpo, della mente e del cuore. Anche e soprattutto nelle situazioni di difficoltà o emergenza.
Senza mai dimenticare che, al di là delle nostre parole, i bambini assorbono e introiettano l’esempio degli adulti di riferimento. Apprendono soprattutto per via diretta, attraverso il modellamento.

Noi siamo il modello, dunque siamo investiti di grande responsabilità.
I bambini ci osservano, studiano e misurano le nostre azioni e reazioni. Allora sarà fondamentale, di fronte a un’emergenza, rimanere noi stessi stabili per offrire un esempio di centratura, di regolazione delle emozioni, di azioni ponderate con discernimento.
I bambini avranno paura se questa è l’emozione che ci sta dominando, e anche laddove si cerchi di nasconderla, occorre non dimenticare che i “bambini ci sentono”, perché, insieme agli animali e alle persone prossime al fine vita, sono “grandi empatici”. Queste tre categorie mi fanno fare una considerazione: un forte sviluppo del cervello neocorticale può inibire la funzione del sistema limbico, che è quello della cura, dell’amorevolezza e del mondo delle emozioni, sulle quasi si fonda l’empatia, ovvero il “sentire” ciò che l’altro prova.

Tuttavia non ci viene richiesto di essere perfetti, semplicemente di essere autentici.Le volte che in classe mi sono commossa o che ho incontrato emozioni forti i bambini hanno vissuto con rispetto la mia umanità, mi hanno incontrata, compresa, conosciuta meglio e si sono sentiti loro stessi autorizzati ad essere umani e vulnerabili.
Il secondo insegnamento “con corona” è stato proprio questo: avvicinarci, accogliere e abbracciare la nostra vulnerabilità individuale e sociale. Non certo nasconderla, o fare finta di niente, sperando che tutto passi presto. Questo ci porta inevitabilmente a guardare la situazione in profondità, e a comprendere che ciò che l’umanità sta attraversando ora, non sarà semplicemente “archiviato” tra poco senza lasciare segni e conseguenze.
Credo che sia importante accettare l’incertezza dell’oggi e del prossimo domani, che se non viene negata può aiutarci ad apprezzare maggiormente ciò che abbiamo, e che finora abbiamo considerato scontato, dovuto, certo. La scuola, le strette di mano, gli abbracci, giocare al parco o in palestra… Erano tutti “diritti acquisiti” fino a ieri, e oggi non lo sono più.

Nella metodologia che ho chiamato “coltivare la consapevolezza nell’educazione”, viene proposto un graduale cammino che parte dall'essere e sviluppa la consapevolezza dei pensieri, dei sentimenti e delle emozioni - giungendo infine all'agire, che si concretizza nel comportamento e nel linguaggio.

I bambini già dalla classe prima sono infatti incoraggiati, in modo progressivo e con attività piacevoli e adeguate nei tempi, a contattare “l’isola del Sé”, o il proprio posto silenzioso, che ovviamente non è un luogo fisico ma lo stato in cui incontrano e vivono le qualità della mente amichevole. È la zona di sicurezza o zona di resilienza alla quale è sempre possibile fare ritorno nel momento del bisogno se abbiamo già sperimentato la via per arrivarci e la profonda sensazione di agio e di casa che la abita. Il respiro è uno dei mezzi di trasporto che utilizziamo per arrivare davvero. Arrivare dove? Dentro, a osservare e gustare i benefici della mente amichevole, dove mi sento al sicuro, protetto dalla calma e dalla pace che provo. È uno stato mentale innato, vasto, illimitato, lucido, creativo, colmo di benevolenza e empatia e privo di ostilità e aggressività. È una resa totale al momento presente. Come arrivare finalmente a casa davvero, in un luogo intimo e sicuro in cui mi sento in contatto con me stesso.

Dopo aver gustato l’esperienza di questo stato, i bambini amano ritornarci e chiedono di farlo insieme come una routine, ma presto comprendono che possono anche farlo autonomamente, nel momento del bisogno, in modo discreto e veloce. E sono la maggior parte quelli che mi hanno scritto nei primi giorni di sospensione delle lezioni, prima che cominciassimo a incontrarci via web, per raccontarmi di come superavano i momenti di noia, di stress da convivenza, le tensioni in famiglia o la preoccupazione per la diagnosi di Covid ad entrambi i genitori. Attraverso il respiro, attraverso le “risorse personali”, attraverso il “radicamento” (grounding) o il “monitoraggio” delle sensazioni del corpo.

Questi semplici strumenti, secondo le ultime ricerche trauma orientate, agiscono direttamente sul sistema nervoso autonomo, consentendoci il ritorno alla zona di agio.
Inaspettatamente, quella “cassetta degli attrezzi” che avevo immaginato avrebbero usato nella vita una volta spiccato il volo per la scuola media, è venuta utile ben prima!
Condivido questo perché anch’io, a livello personale, attingo gli strumenti da questa stessa “cassetta”, per rimanere salda come una montagna o radicata come un albero e non perdere il mio centro nei momenti difficili.

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Grazia Roncaglia, insegnante, formatrice e scrittrice, ha scritto due libri per l’educazione all’autoconoscenza e alla consapevolezza di bambini e ragazzi:
"Felice...Mente, un percorso di meditazione per bambini e ragazzi", edizioni Età dell'Acquario, 2014
"Connesso a me stesso, agli altri, al Pianeta", edizioni Età dell'Acquario, 2017
Il cuore della sua pedagogia è raccontata nell’ultimo libro, rivolto a insegnanti e genitori
"Verso un'educazione risvegliata: coltivare l'arte della meditazione a scuola e in famiglia", Lindau, 2020
www.meditascuola.it

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